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La speranza dell’uomo - Contents
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    Capitolo 30: La scelta dei dodici

    “Poi Gesù salì sul monte e chiamò a sé quei ch’egli stesso volle, ed essi andarono a lui. E ne costituì dodici per tenerli con sé e per mandarli a predicare”. Marco 3:13-15. A poca distanza dal mar di Galilea, sotto gli alberi del monte, Gesù chiamò i dodici all’apostolato e pronunciò il suo discorso sulla montagna. Gesù amava i campi e le colline, e molti dei suoi insegnamenti furono impartiti all’aperto invece che nel tempio o nella sinagoga. Nessuna sinagoga avrebbe potuto contenere le folle che lo seguivano; ma Gesù preferiva insegnare nei campi soprattutto perché amava la natura. Ogni luogo tranquillo e appartato era per lui un tempio sacro.SU 210.1

    I primi abitanti della terra ebbero il loro santuario sotto gli alberi dell’Eden e là comunicavano con il Cristo. Quando furono banditi dall’Eden i nostri progenitori continuarono ad adorare nei campi e nei boschi dove il Cristo rivolgeva loro le sue parole di grazia. Fu il Cristo a parlare con Abramo sotto le querce di Mamre, con Isacco quando si recava la sera nei campi a pregare, con Giacobbe sulle colline di Bethel, con Mosè sui monti di Madian, con il giovane Davide mentre pascolava il gregge. Su ordine del Cristo, per ben quindici secoli, gli ebrei lasciavano le loro case una settimana ogni anno e abitavano in capanne costruite con rami verdi “di palma, rami dalla verzura folta e salci de’ torrenti”. Levitico 23:40.SU 210.2

    Gesù volle formare i suoi discepoli lontano dalla città, nella quiete dei campi e delle colline, in armonia con le lezioni di abnegazione che voleva insegnare loro. Durante il suo ministero gli piaceva raccogliere la gente, sotto il cielo azzurro, su una collina erbosa o sulla riva del lago. Circondato dalle opere della creazione, volgeva l’attenzione dei suoi uditori dalle cose artificiali degli uomini a quelle della natura e del suo sviluppo in cui erano illustrati i princìpi del suo regno. Se anche oggi gli uomini alzassero i loro occhi verso le colline di Dio e contemplassero le opere meravigliose delle sue mani, potrebbero conoscere meglio le verità divine. Le realtà della natura ripeterebbero loro gli insegnamenti di Gesù. Questa è l’esperienza che fanno tutti coloro che si guardano intorno con il Cristo nel cuore. Si sentono avvolti da una santa atmosfera. I fenomeni della natura sono legati con le parabole del Signore e ne ricordano gli insegnamenti. Nella natura, attraverso la comunione con Dio, la mente si eleva e il cuore trova pace.SU 210.3

    Era tempo di gettare le basi della chiesa che dopo la partenza di Gesù lo avrebbe rappresentato sulla terra. Nessun santuario era a loro disposizione; ma il Cristo condusse i discepoli nel luogo solitario che prediligeva e le sacre vicende di quella giornata rimasero per sempre collegate nella loro mente con la bellezza dei monti, delle valli e del mare.SU 211.1

    Gesù aveva chiamato i discepoli per inviarli come testimoni di ciò che avevano visto e udito. La loro missione era la più importante mai affidata agli uomini, inferiore soltanto a quella del Cristo. Erano i collaboratori di Dio per la salvezza del mondo. Come i dodici patriarchi sono i rappresentanti del popolo d’Israele, così i dodici apostoli sono, nel Nuovo Testamento, i rappresentanti della chiesa.SU 211.2

    Il Salvatore conosceva il carattere degli uomini che aveva scelto, le loro debolezze e i loro errori. Sapeva a quali pericoli sarebbero stati esposti e quali responsabilità avrebbero dovuto portare. Trepidava per loro. Tutta la notte rimase solo sul monte, vicino al mar di Galilea, in preghiera per i suoi, che dormivano tranquilli. Alle prime luci dell’alba li chiamò per parlare con loro.SU 211.3

    I discepoli già da un po’ di tempo partecipavano direttamente al ministero di Gesù. Giovanni e Giacomo, Andrea e Pietro, Filippo, Natanaele e Matteo, erano uniti a lui più degli altri e avevano assistito a molti suoi miracoli. Pietro, Giacomo e Giovanni gli erano stati più vicini, avevano visto i suoi miracoli e udito i suoi insegnamenti. Giovanni era più legato a Gesù, tanto che fu chiamato il discepolo che Gesù amava. Il Salvatore amava tutti i discepoli, ma Giovanni corrispose più degli altri all’amore del Maestro. Essendo più giovane, apriva con fiducia infantile il suo cuore a Gesù. Così si stabilì tra lui e il Maestro un legame di affetto più profondo e il Salvatore si servì di Giovanni per comunicare agli uomini i suoi insegnamenti più importanti.SU 211.4

    Filippo, che sarebbe stato alla testa di uno dei gruppi che componevano gli apostoli, fu il primo discepolo cui Gesù rivolse l’invito di seguirlo. Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e Pietro. Aveva ascoltato gli insegnamenti di Giovanni Battista e lo aveva udito mentre indicava in Gesù l’Agnello di Dio. Filippo era un sincero ricercatore della verità, ma era lento a credere. Aveva seguito Gesù, ma il modo con cui ne parlò a Natanaele rivelava che non era ancora pienamente convinto della divinità del Maestro. Sebbene la voce del cielo avesse proclamato che Gesù era Figlio di Dio, per Filippo era “Gesù figliuolo di Giuseppe, da Nazaret”. Giovanni 1:45. La sua mancanza di fede si manifestò anche quando cinquemila persone vennero sfamate. Per metterlo alla prova Gesù gli chiese: “Dove comprerem noi del pane perché questa gente abbia da mangiare?” La risposta di Filippo rivelò l’insufficienza della sua fede: “Dugento denari di pane non bastano perché ciascun di loro n’abbia un pezzetto”. Giovanni 6:5, 7. Gesù era addolorato. Sebbene avesse visto le sue opere e avesse conosciuto la sua potenza, Filippo non aveva ancora fede. Quando i greci gli chiesero di vedere Gesù, egli non colse l’occasione per presentarli al Salvatore ma andò a riferire la cosa ad Andrea. Anche nelle ore che precedettero la crocifissione, le parole di Filippo furono tali da scoraggiare ogni speranza. Quando Toma disse a Gesù: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo saper la via? Gesù gli disse: Io son la via, la verità e la vita... Se m’aveste conosciuto, avreste conosciuto anche mio Padre”. Giovanni 14:5-7. In quel momento Filippo espresse la sua mancanza di fede, dicendo: “Signore, mostraci il Padre, e ci basta”. Giovanni 14:8. Quel discepolo che era stato per tre anni con Gesù, era ancora così lento di cuore e debole nella fede.SU 211.5

    La fede infantile di Natanaele era in netto contrasto con l’incredulità di Filippo. Aveva un’indole generosa e accettava con fiducia le realtà invisibili. Ma Filippo stava imparando alla scuola del Cristo e il Maestro accettò con pazienza la sua lentezza a credere. Quando lo Spirito Santo venne sparso sui discepoli, Filippo divenne un maestro secondo la volontà di Dio. Sapeva ciò che diceva e insegnava con una tale sicurezza da produrre profonde convinzioni nei suoi uditori.SU 212.1

    Mentre Gesù preparava i discepoli alla loro consacrazione, uno che non era stato chiamato insistette per essere accolto. Era Giuda Iscariota, un uomo che professava di essere un discepolo del Cristo. Si avvicinò sollecitando un posto nella cerchia ristretta dei discepoli. Con fervore e apparente sincerità disse a Gesù: “Maestro, io ti seguirò dovunque tu vada”. Matteo 8:19. Gesù non lo respinse e neppure lo accolse, ma si limitò a dirgli queste melanconiche parole: “Le volpi hanno delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il Figliuol dell’uomo non ha dove posare il capo”. Matteo 8:20. Giuda credeva che Gesù fosse il Messia. Unendosi agli apostoli, sperava di assicurarsi una posizione di prestigio del nuovo regno. Gesù, alludendo alla propria povertà, voleva togliergli quell’illusione.SU 212.2

    I discepoli ci tenevano che Giuda entrasse nella loro cerchia. Siccome aveva un aspetto distinto, era intelligente e aveva capacità organizzative lo raccomandarono a Gesù come un elemento prezioso e si stupirono quando Gesù lo accolse con freddezza.SU 212.3

    I discepoli erano scontenti del fatto che Gesù non avesse cercato di assicurarsi la collaborazione dei capi d’Israele e ritenevano che commettesse un errore a non chiedere l’appoggio di quegli uomini influenti. Se avesse respinto anche Giuda, essi avrebbero dubitato della sua saggezza. Ma l’esperienza successiva di quell’uomo avrebbe dimostrato quanto sia pericoloso lasciarsi guidare da considerazioni umane quando si deve decidere se qualcuno è adatto o no per l’opera di Dio. La collaborazione di uomini come quelli che i discepoli desideravano assicurarsi avrebbe significato la consegna dell’opera nelle mani dei suoi peggiori nemici.SU 213.1

    Quando Giuda si unì ai discepoli, non restò insensibile alla bellezza del carattere del Cristo. Anch’egli subì l’influsso di quella potenza divina che conquistava le anime. Colui che non era venuto per tritare la canna rotta o per spegnere il lucignolo fumante, non avrebbe respinto quell’anima finché vi fosse stato in lei un solo desiderio di luce. Il Salvatore leggeva nel cuore di Giuda e sapeva in quale abisso di iniquità sarebbe precipitato se non fosse stato liberato dalla grazia di Dio. Chiamandolo come collaboratore, il Signore lo poneva in continuo contatto con le manifestazioni del proprio amore disinteressato. Anche Giuda, se avesse aperto il suo cuore al Cristo e avesse permesso alla sua grazia di scacciare il demone dell’egoismo, sarebbe potuto diventare un cittadino del regno di Dio.SU 213.2

    Dio accetta gli uomini come sono, con tutto ciò che di umano vi è nel loro carattere e, se sono disposti a lasciarsi educare e a imparare da lui, li forma per il suo servizio. Vengono scelti nonostante le loro imperfezioni affinché, mediante la conoscenza, la pratica della verità e la grazia del Cristo, siano trasformati alla sua immagine.SU 213.3

    Giuda ebbe le stesse possibilità degli altri discepoli e ascoltò le stesse preziose lezioni. Ma per seguire i propri desideri e le proprie idee, non volle ubbidire alla verità del Cristo. Non volle rinunciare alle proprie idee per accogliere la sapienza che viene dall’alto.SU 213.4

    Il Salvatore mostrò molta tenerezza nei riguardi di colui che lo avrebbe tradito. Insisteva nell’insegnare quei princìpi di benevolenza che distruggono l’avarizia alla radice. Delineava l’odiosità della cupidigia. Più di una volta quel discepolo comprese che il Maestro alludeva al suo carattere e al suo peccato, ma non volle confessare le sue colpe e abbandonarle. Aveva troppa fiducia in sé e, invece di resistere alla tentazione, perseverò nella sua condotta disonesta. Il Cristo era davanti a lui un esempio vivente di ciò che egli stesso sarebbe potuto diventare se avesse accettato i benefici della sua mediazione e del suo ministero. Purtroppo quelle lezioni non vennero ascoltate da Giuda.SU 213.5

    Gesù non rimproverò severamente Giuda per la sua avarizia, ma con divina pazienza lo sopportò facendogli comprendere che conosceva bene il suo cuore. Cercò di far sorgere in lui aspirazioni più nobili. Respingendo l’aiuto divino, Giuda non avrebbe avuto alcuna scusa.SU 214.1

    Invece di lasciarsi trasformare, Giuda preferì conservare i suoi difetti. Accarezzò desideri disonesti, sentimenti di vendetta, pensieri cupi e malvagi. Satana finì per dominarlo completamente e Giuda divenne un rappresentante del nemico del Cristo.SU 214.2

    Quando seguì Gesù, aveva ottime qualità, mediante le quali poteva essere una benedizione per la chiesa. Se avesse accettato volentieri di portare il giogo del Cristo, sarebbe diventato un grande apostolo. Invece, quando gli furono indicati i suoi difetti, il suo cuore si indurì e, animato da spirito di orgoglio e rivolta, mantenne le sue ambizioni egoistiche, rendendosi così indegno dell’opera che Dio gli aveva affidata.SU 214.3

    Tutti i discepoli avevano gravi difetti quando Gesù li chiamò al suo servizio. Persino Giovanni, il discepolo che più si avvicinò mansueto e umile al Maestro, non era per natura né dolce né arrendevole. Egli e suo fratello erano chiamati “figliuoli del tuono”. Marco 3:17. Quando si trovavano con il Maestro, ogni mancanza di rispetto nei suoi confronti suscitava la loro indignazione e il loro spirito polemico. Il discepolo prediletto aveva un temperamento collerico, vendicativo, orgoglioso; era pronto alla critica e ambiva il primo posto nel regno di Dio. Ma egli contemplò giorno dopo giorno la tenerezza e la pazienza di Gesù, tanto diversa dalla violenza del suo carattere, e ascoltò le sue lezioni di umiltà e pazienza. Aprì il suo cuore all’influsso divino; non si accontentò di udire le parole del Salvatore, ma le mise in pratica. Seppe rinunciare al suo io, imparò a prendere su di sé il giogo del Cristo e a portare la propria croce.SU 214.4

    Gesù rimproverava e avvertiva i suoi discepoli. Ma Giovanni e i suoi fratelli, nonostante i rimproveri, non lo lasciarono, anzi si affezionarono a lui ancora di più. Il Salvatore non li abbandonò a causa delle loro debolezze e dei loro errori, ed essi condivisero sino alla fine le sue prove e impararono le sue lezioni. Contemplando il Cristo, il loro carattere si trasformava.SU 214.5

    Gli apostoli erano molto diversi gli uni dagli altri per abitudini e carattere. C’era il pubblicano Levi Matteo; Simone, l’ardente zelota, inflessibile nemico della potenza romana; Pietro, generoso e impulsivo; Giuda, dall’animo meschino; Tommaso, sincero ma timido e dubbioso; Filippo, lento e incline al dubbio; infine gli ambiziosi e aperti figli di Zebedeo, con i loro fratelli. Si trovarono tutti insieme, ciascuno con i propri difetti e le proprie tendenze al male, ereditate e accarezzate, chiamati tutti a partecipare in Cristo e mediante il Cristo alla famiglia di Dio per giungere all’unità della fede, della dottrina e dello spirito. Avrebbero affrontato prove e conosciuto difficoltà per le loro differenze di opinioni, ma con il Cristo nel cuore ogni dissenso sarebbe stato eliminato. Il suo amore li avrebbe spinti ad amarsi, le istruzioni del Maestro avrebbero smussato i contrasti e spinto i discepoli ad avere una sola mente, un solo sentimento e un solo obiettivo. Il Cristo era il fulcro del gruppo ed essi, avvicinandosi a lui, si sarebbero trovati più vicini gli uni agli altri.SU 214.6

    Quando Gesù ebbe finito di impartire le sue istruzioni, li riunì intorno a sé, si inginocchiò, pose le sue mani sui loro capi ed elevò a Dio una preghiera di consacrazione per la loro missione. Così furono consacrati i discepoli del Signore.SU 215.1

    Il Cristo non ha scelto come suoi rappresentanti gli angeli che non sono mai caduti, ma degli esseri soggetti alle stesse passioni degli uomini che cercano di salvare. Il Cristo si è fatto uomo per poter salvare gli uomini. Per la salvezza del mondo era necessaria la collaborazione del divino con l’umano. Bisognava che la divinità si incarnasse per essere un mezzo di comunicazione fra Dio e l’uomo. Così è per i servitori e messaggeri del Cristo. L’uomo ha bisogno di una potenza superiore per poter riacquistare l’immagine di Dio e compiere la sua volontà. Ma con ciò non viene eliminata la parte dell’uomo. L’umanità afferra la potenza divina e il Cristo abita nel cuore mediante la fede. Così l’uomo per la grazia di Dio è in grado di compiere il bene.SU 215.2

    Colui che chiamò i pescatori di Galilea, chiama ancora oggi gli uomini al suo servizio. Desidera manifestare la sua potenza attraverso noi, così come fece con i primi discepoli. Per quanto siamo imperfetti e peccatori, il Signore ci invita a unirci a lui e a seguire i suoi consigli. Ci invita ad accettare i suoi insegnamenti affinché, uniti a lui, possiamo compiere le opere di Dio.SU 215.3

    “Ma noi abbiamo questo tesoro in vasi di terra, affinché l’eccellenza di questa potenza sia di Dio e non da noi”. 2 Corinzi 4:7. Questa è la ragione per cui la proclamazione del messaggio del Vangelo è stata affidata a uomini peccatori anziché ad angeli. È chiaro che ciò che opera attraverso la debolezza degli uomini è la potenza di Dio. Quella potenza che ha soccorso esseri deboli come noi può venire anche in nostro aiuto. Coloro che hanno sperimentato la sofferenza potranno “aver convenevole compassione verso gl’ignoranti e gli erranti”. Ebrei 5:2. Essendosi trovati in pericolo, conoscono i rischi e le difficoltà e possono aiutare coloro che si trovano in simili pericoli. Vi sono uomini di poca fede, tormentati dal dubbio, oppressi dal peso dell’infermità, incapaci di afferrare l’Invisibile. Ma un amico che si avvicini a loro in modo visibile, al posto del Cristo, può essere un mezzo per ancorare a lui la loro fede vacillante.SU 215.4

    Noi dobbiamo collaborare con gli angeli per presentare Gesù al mondo. Gli esseri del cielo attendono la nostra collaborazione. L’uomo è il mezzo tramite il quale altri uomini possono essere avvicinati. Quando ci consacriamo interamente al Cristo, gli angeli si rallegrano di poter annunciare l’amore di Dio mediante la nostra testimonianza.SU 216.1

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