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Gesù di Nazaret - Contents
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    Capitolo 75: Davanti ad Anna e Caiafa

    Gesù fu spinto oltre il torrente Cedron, al di là dei giardini e degli uliveti, attraverso le strade deserte della città addormentata. Era mezzanotte passata e le grida della folla turbolenta turbavano il silenzio notturno. Il Salvatore, legato e sorvegliato, avanzava a fatica. Coloro che lo avevano arrestato lo condussero in fretta al palazzo di Anna, che era stato sommo sacerdote prima di Caiafa.GDN 533.1

    Anna era capo del corpo sacerdotale, e per la sua età veneranda il popolo lo considerava sempre come sommo sacerdote. I suoi consigli erano ricercati e seguiti come se fossero la voce stessa di Dio. Perciò si volle portare Gesù prima da lui, poiché era vittima dei complotti dei sacerdoti. Si voleva che Anna assistesse all'interrogatorio del prigioniero, per timore che Caiafa, meno abile, non riuscisse ad attuare i loro piani. L'abilità, l'astuzia e la sottigliezza di Anna erano necessarie per ottenere a ogni costo la condanna di Gesù.GDN 533.2

    Gesù doveva comparire davanti al sinedrio; prima però fu sottoposto a un giudizio preliminare in presenza di Anna. I romani avevano tolto al sinedrio la facoltà di eseguire le condanne a morte. Infatti le condanne capitali pronunciate dal sinedrio dovevano essere ratificate dall'autorità romana. Perciò era necessario trovare contro Gesù delle accuse che potessero essere ritenute valide dai romani, e altre che lo fossero dagli ebrei. Un buon numero di sacerdoti e anziani si erano convinti della verità dell'insegnamento di Gesù, ma non lo avevano confessato per timore di essere scacciati dalla sinagoga. I sacerdoti si ricordavano molto bene della domanda di Nicodemo: “La nostra legge giudica forse un uomo prima che sia stato udito e che si sappia quello che ha fatto?” Giovanni 7:51. Questa domanda era stata sufficiente, allora, per dividere il consiglio e sventare il piano che era stato architettato.GDN 533.3

    Ma ora Giuseppe di Arimatea e Nicodemo non sarebbero stati convocati. Certo, altri avrebbero ugualmente potuto parlare in difesa della giustizia, ma occorreva che tutti i membri del sinedrio si schierassero contro Gesù. I sacerdoti presentarono due accuse: bestemmia e sedizione. Con quella di bestemmia Gesù sarebbe stato condannato dagli ebrei, mentre con quella di sedizione sarebbe stato condannato dai romani. Anna cercò di dimostrare la validità della seconda accusa. Interrogò Gesù sui suoi discepoli e sulla sua dottrina, sperando di potersi servire di qualche sua risposta come pretesto di condanna. Si augurava che Gesù dicesse qualcosa da cui si potesse provare che voleva fondare una società segreta per stabilire un nuovo regno. Avrebbe potuto così consegnarlo ai romani con l'accusa di turbare la pace e fomentare la ribellione.GDN 533.4

    Gesù lesse l'intenzione dei sacerdoti come in un libro aperto, e dichiarò che nessun patto segreto lo legava ai discepoli e che non li riuniva di nascosto, nelle tenebre, per dissimulare le sue intenzioni. Il suo insegnamento era palese. “Io ho parlato apertamente al mondo; ho sempre insegnato nelle sinagoghe e nel tempio, dove tutti i giudei si radunano; e non ho detto nulla in segreto”. Giovanni 18:20.GDN 534.1

    Il Salvatore sottolineò la differenza tra il proprio modo di fare e i metodi dei suoi accusatori. Per lunghi mesi lo avevano spiato, cercando di farlo cadere in tranelli per poterlo accusare e ottenere con l'inganno quello che era impossibile per vie legittime. Ora erano sul punto di attuare il loro progetto. La cattura nel cuore della notte mediante la plebaglia, gli insulti e le violenze, prima di essere condannato o persino accusato: ecco il loro modo di comportarsi, ben diverso dal suo. Tutto il loro procedimento era contrario alla legge. I sacerdoti violavano le loro stesse leggi, secondo le quali ogni uomo doveva essere trattato come un innocente prima della condanna.GDN 534.2

    Gesù chiese al suo esaminatore: “Perché m'interroghi?” I sacerdoti e gli anziani non avevano forse inviato delle spie per sorvegliare i suoi movimenti e riferire ogni sua parola? Quegli uomini non erano forse stati presenti tutte le volte che la gente si era riunita e non avevano informato i sacerdoti sulle sue parole e sulle sue azioni? “Domanda a quelli che mi hanno udito, quello che ho detto loro; ecco, essi sanno le cose che ho dette”. Versetto 21.GDN 534.3

    Anna non ebbe nulla da replicare. Temeva che Gesù rivelasse qualcosa circa la sua maniera di procedere che avrebbe preferito tenere nascosto, e anche per questo tacque. Allora una delle guardie, adirata perché Anna taceva, diede uno schiaffo a Gesù, dicendogli: “Così rispondi al sommo sacerdote?” Versetto 22.GDN 534.4

    Gesù calmo replicò: “Se ho parlato male, dimostra il male che ho detto; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” Versetto 23. Gesù non espresse alcuna parola di condanna. La sua risposta tranquilla nasceva da un cuore senza peccato, benevolo, che non cedeva alla collera.GDN 534.5

    Gesù soffriva molto per i maltrattamenti e gli insulti. Nessuna offesa gli veniva risparmiata da coloro che aveva creato e per i quali stava per compiere un sacrificio infinito. Soffriva in proporzione alla sua santità e al suo odio per il peccato. Era per lui una pena continua essere giudicato da uomini che si comportavano da nemici e che erano dominati da Satana. Con la sua potenza divina avrebbe potuto annientare coloro che lo tormentavano così crudelmente; la sua prova diventava perciò sempre più penosa.GDN 535.1

    Gli ebrei attendevano un Messia che si manifestasse in maniera spettacolare e potesse mutare, con un atto di volontà, la mente degli uomini costringendoli a riconoscere la sua sovranità. Pensavano che si sarebbe innalzato sopra tutti, attuando così le loro ambiziose speranze. Essendo trattato con disprezzo, Gesù fu tentato di manifestare la sua divinità. Con una parola o con uno sguardo avrebbe potuto costringere i suoi persecutori a riconoscere che era il Signore dei re, dei governatori, dei sacerdoti e del tempio. Non gli era difficile mantenere la posizione che aveva scelto, identificandosi con l'umanità.GDN 535.2

    Gli angeli del cielo osservavano tutto quello che si faceva contro il loro amato condottiero e desideravano ardentemente liberarlo. Agli ordini di Dio essi sono onnipotenti; in una certa occasione, guidati da Cristo, costrinsero alla ritirata l'esercito assiro composto da centottantacinquemila uomini. Sarebbe stato facile, testimoni come erano delle scene vergognose del processo di Gesù, manifestare la propria indignazione consumando i nemici di Dio; ma non fu ordinato loro di farlo.GDN 535.3

    Colui che avrebbe potuto distruggere i suoi nemici, preferiva sopportarne la crudeltà. L'amore per il Padre e l'impegno già preso prima della fondazione del mondo in favore dei peccatori, lo inducevano ad accettare senza lamenti le volgari offese di coloro che era venuto a salvare. Sentiva che sopportare tutte le offese e tutti i maltrattamenti faceva parte della sua missione fra gli uomini. L'unica speranza di salvezza dell'umanità era riposta nella sua accettazione dei soprusi degli uomini.GDN 535.4

    Benché Gesù non avesse offerto alcun pretesto ai suoi accusatori, era stato legato come un colpevole. Occorreva almeno salvare le apparenze della giustizia e dare al processo una forma di legalità. Le autorità volevano affrettare i tempi e, sapendo che Gesù era stimato dal popolo, temevano che al diffondersi della notizia del suo arresto qualcuno tentasse di liberarlo. Inoltre, se il processo e l'esecuzione non fossero avvenuti subito, sarebbe stato necessario rinviarli di una settimana per via della Pasqua, e ciò avrebbe fatto correre il rischio di dover modificare i loro piani. Per condannare Gesù si contava soprattutto sui clamori della plebaglia a cui si mescolava la feccia di Gerusalemme. Un ritardo di una settimana avrebbe potuto calmare l'eccitazione e rendere possibile una reazione. La parte migliore del popolo avrebbe potuto schierarsi con Gesù e molti avrebbero avuto modo di far conoscere le potenti opere che aveva compiuto in loro favore. L'indignazione del popolo si sarebbe così riversata sul sinedrio e Gesù, rimesso in libertà, avrebbe ricevuto nuovi omaggi dalla folla. I sacerdoti e gli anziani decisero, prima che la notizia del loro piano si diffondesse, di consegnare Gesù ai romani.GDN 535.5

    Occorreva innanzi tutto trovare un capo d'accusa. Anna ordinò che Gesù fosse condotto da Caiafa. Costui apparteneva al partito dei sadducei, tra i quali si trovavano i più accaniti nemici di Gesù. Caia-fa, sebbene avesse un carattere debole, era duro, implacabile e senza scrupoli quanto Anna, e non avrebbe lasciato nulla di intentato pur di sopprimere Gesù. Era molto presto, ed era ancora buio, ma la turba armata condusse il suo prigioniero al palazzo del sommo sacerdote rischiarando la strada con torce e lanterne. Mentre i membri del sinedrio si radunavano, Anna e Caiafa interrogarono di nuovo Gesù, ma senza successo.GDN 536.1

    Caiafa presiedeva il tribunale. Accanto a lui c'erano i giudici e tutti coloro che si interessavano del processo; alcuni soldati romani erano di guardia intorno al palco, ai piedi del quale si trovava Gesù; tutti gli sguardi erano fissi su di lui. In mezzo all'agitazione generale, Gesù si manteneva calmo e sereno. L'atmosfera che lo circondava sembrava pervasa da un sacro influsso.GDN 536.2

    Caiafa considerava Gesù come un suo rivale; il sommo sacerdote era geloso per la prontezza con cui il popolo ascoltava quel Maestro e, almeno in apparenza, ne seguiva gli insegnamenti. Guardando quel prigioniero, Caiafa non poteva non ammirarne la dignità e la nobiltà, né sottrarsi alla convinzione che l'uomo che gli stava davanti era simile a Dio. Ma subito respinse con sdegno un simile pensiero e chiese a Gesù con tono beffardo e altero di compiere davanti ai giudici uno dei suoi potenti miracoli. Il Salvatore sembrò non udire quelle parole. I presenti si resero conto della grande differenza tra l'atteggiamento eccitato e maligno di Anna e Caiafa e quello dolce e solenne di Gesù. Perfino quella folla indurita si chiedeva se un uomo così, simile a Dio, dovesse essere condannato come un criminale.GDN 536.3

    Caiafa, sentendo che l'ascendente di Gesù sui presenti aumentava, affrettò il processo. I nemici di Gesù erano molto perplessi; erano decisi a condannarlo, ma non sapevano ancora come lo avrebbero fatto. I membri del sinedrio erano farisei e sadducei, e fra questi due partiti regnavano animosità e contrasti. Essi, per evitare controversie, non trattavano determinati argomenti. Gesù con poche parole avrebbe potuto metterli gli uni contro gli altri, distogliendoli dall'ira contro di lui. Caiafa era consapevole di ciò e voleva evitare una disputa.GDN 536.4

    Tanti testimoni avrebbero potuto dichiarare che Gesù aveva accusato gli scribi e i sacerdoti chiamandoli ipocriti e assassini, ma non era conveniente presentare queste testimonianze. I sadducei, nelle loro aspre polemiche, avevano usato un linguaggio simile contro i farisei. Inoltre, queste testimonianze non avrebbero avuto nessun valore per i romani che erano seccati per le pretese dei farisei.GDN 537.1

    Vi erano molte prove secondo cui Gesù aveva tenuto in poco conto le tradizioni giudaiche e aveva parlato con poco rispetto delle loro cerimonie. Ma senza contare che gli stessi farisei e sadducei avevano idee contrastanti sulla tradizione, un problema di questo genere non aveva alcun valore agli occhi dei romani. Non osavano accusarlo di trasgressione del sabato, per paura che un'inchiesta avrebbe potuto mettere in luce il carattere del suo ministero. La divulgazione delle sue guarigioni avrebbe potuto impedire la realizzazione dei piani dei sacerdoti.GDN 537.2

    Si erano comprati dei falsi testimoni perché accusassero Gesù di aver promosso tentativi di sedizione per stabilire un governo indipendente, ma furono costretti a ritirarsi perché durante l'interrogatorio caddero in contraddizione.GDN 537.3

    All'inizio del suo ministero Gesù aveva detto: “Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere”. Con quel linguaggio figurato, tipico dei profeti, aveva annunciato la sua morte e la sua risurrezione. “Ma egli parlava del tempio del suo corpo”. Giovanni 2:19, 21. Gli ebrei attribuirono a quelle parole un significato letterale e le applicarono al tempio di Gerusalemme. Era la sola dichiarazione di Gesù di cui i sacerdoti si potessero servire per accusarlo, e tentarono di farlo falsandone il significato. I romani si erano interessati della costruzione e dell'abbellimento del tempio; ne erano fieri, e si indignavano quando qualcuno lo disprezzava. Su questo si trovavano d'accordo romani ed ebrei, farisei e sadducei, perché tutti provavano per il tempio una grande venerazione.GDN 537.4

    Riuscirono a trovare due testimoni che non si contraddissero come i precedenti. Uno di loro, comprato per accusare Gesù, dichiarò: “Costui ha detto: Io posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”. Matteo 26:61. Le parole di Gesù venivano falsate, perché se fossero state riferite fedelmente non sarebbero apparse sufficienti per ottenere dal sinedrio una sentenza di condanna. Se Gesù, come pretendevano gli ebrei, fosse stato solo un uomo, una simile dichiarazione avrebbe manifestato una folle presunzione, senza essere però una bestemmia. Neanche così alterate quelle parole contenevano qualcosa che i romani potessero considerare come un crimine degno di morte.GDN 537.5

    Gesù ascoltò pazientemente questa falsa deposizione e non disse nulla in sua difesa. Alla fine i suoi accusatori, imbarazzati e confusi, si infuriarono. Il processo non andava avanti: pareva che i loro complotti fallissero. Caiafa, disperato, non sapendo più che cosa fare, ricorse all'estrema risorsa: spingere Gesù a condannare se stesso. Il sommo sacerdote si alzò dal suo seggio con il viso sconvolto dalla collera; dalla voce e dall'aspetto si vedeva che avrebbe voluto annientare quel prigioniero. Gli gridò: “Non rispondi tu nulla? Non senti quello che testimoniano costoro contro di te?” Versetto 62.GDN 538.1

    Gesù restò silenzioso: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca. Come l'agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, egli non aprì la bocca”. Isaia 53:7.GDN 538.2

    Infine Caiafa, alzando la mano destra verso il cielo, si rivolse a Gesù con questa formula solenne di giuramento: “Ti scongiuro per il Dio vivente di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. Matteo 26:63.GDN 538.3

    Gesù non poteva tacere a una simile domanda. Se c'è un tempo per tacere, c'è anche un tempo per parlare. Gesù non aveva risposto finché non era stato citato in giudizio direttamente. Sapeva che rispondere ora significava la morte sicura. Ma siccome questa domanda era posta dalla più alta autorità della nazione e veniva rivolta in nome dell'Altissimo, Gesù non volle mancare di rispetto alla legge. Inoltre, era in questione la sua relazione con il Padre, ed era invitato a manifestare chiaramente il suo carattere e la sua missione.GDN 538.4

    Gesù aveva insegnato ai discepoli: “Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli”. Matteo 10:32. Gesù volle in quella circostanza che il suo insegnamento venisse confermato dal suo esempio.GDN 538.5

    Tutte le orecchie erano tese, e tutti gli sguardi fissi sul suo volto mentre rispondeva “Tu l'hai detto”. Una luce divina parve rischiarare il suo pallido volto, mentre aggiungeva: “Anzi vi dico che da ora in poi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza, e venire sulle nuvole del cielo”. Matteo 26:64.GDN 538.6

    Per un attimo la divinità di Gesù si manifestò attraverso il suo aspetto umano. Il sommo sacerdote si sgomentò di fronte allo sguar do scrutatore del Salvatore. Pareva che quello sguardo leggesse i suoi pensieri e penetrasse nel suo cuore. Mai più Caiafa avrebbe dimenticato quello sguardo penetrante del Figlio di Dio perseguitato.GDN 538.7

    Gesù dichiarò: “Da ora innanzi vedrete il Figliuol dell'uomo sedere alla destra della Potenza, e venire su le nuvole del cielo”. Le parole di Gesù tracciavano una scena completamente rovesciata. In quel giorno il Signore della vita e della gloria sarà seduto alla destra di Dio, come Giudice di tutta la terra. Le sue sentenze saranno definitive. Tutti i segreti saranno portati alla luce da Dio, e ognuno verrà giudicato secondo le proprie opere.GDN 539.1

    Le parole di Gesù fecero fremere il sommo sacerdote. Tremava al pensiero della risurrezione e di un giudizio. Non gli piaceva l'idea di dover rendere conto di tutto il suo operato. Contemplò in rapida successione le scene del giudizio finale: vide le tombe che si aprivano e restituivano i loro morti, con i segreti che egli sperava invece nascosti per sempre. Temette per un istante di trovarsi davanti al Giudice eterno, che leggeva nella sua anima e svelava i segreti che egli voleva nascondere per l'eternità.GDN 539.2

    Ma questa scena sparì ben presto dalla sua mente. Come saddu-ceo, le parole di Gesù lo avevano punto nel vivo. Caiafa, respingendo la dottrina della risurrezione, del giudizio e della vita futura, fu preso da furore diabolico. Quest'uomo che stava davanti a lui come prigioniero, osava attaccare le sue teorie più care? Si strappò le vesti per fare impressione sul popolo e chiese che il prigioniero fosse subito condannato come bestemmiatore: “Egli ha bestemmiato; che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la sua bestemmia; che ve ne pare?” Versetto 65. Tutti furono d'accordo con lui.GDN 539.3

    Una convinzione mista di passione spinse Caiafa a compiere quel gesto. Egli era furibondo perché credeva nelle parole di Gesù; invece di accettare la verità e Gesù come Messia, si stracciò le vesti sacerdotali in segno di opposizione. Questo atto aveva un profondo significato, che Caiafa comprese solo in parte. Quell'azione compiuta per impressionare i giudici e indurli a condannare Gesù, in realtà condannava colui che l'aveva compiuta. In base alla legge di Dio si era squalificato per il sacerdozio e aveva pronunciato la propria condanna a morte.GDN 539.4

    Un sommo sacerdote, infatti, non doveva strapparsi le vesti. La legge levitica lo proibiva, pena la morte. Nessuna circostanza e nessuna occasione autorizzavano un sacerdote a strapparsi le vesti. Gli ebrei usavano strapparsi gli abiti alla morte dei loro amici, ma i sacerdoti non dovevano farlo. Cristo stesso aveva dato a Mosè un co mandamento esplicito a questo proposito. Cfr. Levitico 10:6.GDN 539.5

    Tutto quello che il sacerdote indossava doveva essere intatto e senza macchia. I suoi paramenti rappresentavano il carattere di Cristo. Dio non poteva accettare nulla che non fosse perfetto, nella veste e nella condotta, nelle parole e nello spirito. Dio è santo, e il servizio terreno doveva dare un'idea della sua gloria e della sua perfezione. La santità del servizio divino poteva essere rappresentata adeguatamente solo da qualcosa di perfetto. L'uomo può lacerare il proprio cuore per mostrare uno spirito umile e contrito; e Dio apprezza questo. Ma le vesti sacerdotali non dovevano essere strappate, perché ciò avrebbe falsato la rappresentazione delle realtà divine. Le vesti rotte del sommo sacerdote diventavano un simbolo del fatto che si interrompevano le sue relazioni con Dio. In questo modo cessava di essere un suo rappresentante e non poteva più essere accettato da Dio come un sacerdote officiante. L'atto di Caiafa era dunque il frutto della passione e dell'imperfezione.GDN 540.1

    Strappandosi le vesti, Caiafa violava la legge di Dio per seguire una tradizione umana. Una legge stabilita dagli uomini permetteva infatti al sacerdote che aveva udito una bestemmia di strapparsi in segno di orrore le vesti, senza commettere colpa. Le leggi umane in questo modo avevano sostituito la legge di Dio.GDN 540.2

    Il popolo seguiva con interesse ogni atto del sommo sacerdote, e Caiafa faceva sfoggio della sua pietà. Ma con quel suo gesto ingiuriava colui di cui Dio ha detto: “Il mio nome è in lui”. Esodo 23:21. Era proprio lui a rendersi colpevole di bestemmia. E nel momento in cui era oggetto della condanna divina, condannava Gesù come bestemmiatore.GDN 540.3

    Quando Caiafa si lacerò l'abito, senza volerlo annunciò quale sarebbe stata ormai la posizione della nazione ebraica davanti a Dio. Quel popolo, fino a quel momento eletto da Dio, si separava da lui e cessava di appartenergli. Quando Gesù sulla croce gridò: “È compiuto!” (Giovanni 19:30) e la cortina del tempio si strappò in due, il Signore annunciò che il popolo ebraico aveva respinto definitivamente colui che era stato prefigurato da tutti i loro tipi, colui che era la realtà di tutti i loro simboli. Israele si era ormai diviso per sempre da Dio. Caiafa poteva ben strapparsi la sua veste ufficiale, che lo indicava come il rappresentante del grande Sommo Sacerdote; quella veste ormai non aveva più alcun significato né per lui né per il suo popolo. Ormai il sommo sacerdote poteva davvero strapparsi la veste per manifestare il suo sgomento per se stesso e per tutto il popolo.GDN 540.4

    Il sinedrio aveva condannato Gesù a morte. Ma la legge ebraica non consentiva che qualcuno fosse giudicato di notte; un processo legale poteva avvenire solo di giorno e in una seduta plenaria del consiglio. Nonostante ciò, il Salvatore fu trattato come un criminale già condannato e abbandonato agli insulti e ai maltrattamenti della folla che con i soldati si era riunita nell'ampio cortile del palazzo del sommo sacerdote. Attraverso quel cortile Gesù fu condotto nelle stanze del corpo di guardia, e lungo il tragitto fu deriso per le sue pretese di essere Figlio di Dio. Venivano ripetute con sarcasmo le sue parole: “Vedrete il Figlio dell'uomo sedere alla destra della Potenza, e venire sulle nuvole del cielo”. Gesù, mentre aspettava il giudizio legale, non aveva alcuna protezione e la plebaglia, che aveva visto con quale crudeltà era stato trattato mentre si trovava nel consiglio, si scagliò contro di lui per sfogare tutti gli elementi diabolici della propria natura. La nobiltà di Gesù e il suo aspetto divino ne eccitavano ancora di più il furore. La sua dolcezza, la sua innocenza, la sua pazienza sublime riempivano quella folla di odio satanico. La misericordia e la giustizia non vennero tenute in alcun conto. Nessun criminale è stato mai trattato con tanta crudeltà quanto il Figlio di Dio.GDN 540.5

    Ma un dolore ancora più profondo straziava il cuore di Gesù, e non per opera di un nemico: mentre si trovava davanti a Caiafa, uno dei suoi discepoli lo rinnegava.GDN 541.1

    Dopo la fuga nel Getsemani, due dei suoi discepoli, Pietro e Giovanni, avevano osato seguire a una certa distanza la folla che trascinava Gesù. I sacerdoti conoscevano bene Giovanni come discepolo di Cristo, e lo fecero entrare nella sala, con la speranza che dopo aver visto l'umiliazione del Maestro non credesse più nella sua divinità. Tramite Giovanni poté entrare anche Pietro.GDN 541.2

    Siccome era l'ora più fredda della notte, quella che precede l'alba, nel cortile era stato acceso un fuoco; un gruppo di persone si scaldava intorno a quel fuoco, e Pietro ebbe il coraggio di accostarvi-si. Non voleva essere riconosciuto come discepolo di Gesù; unendosi alla folla con aria indifferente, sperava di essere scambiato con uno di coloro che avevano condotto Gesù nella sala.GDN 541.3

    Ma mentre la luce della fiamma illuminava il volto di Pietro, la portinaia lo scrutò con curiosità: lo aveva visto entrare con Giovanni e, avendone osservato il volto abbattuto, aveva pensato che fosse un discepolo di Gesù. La donna era al servizio di Caiafa e, volendo sapere qualcosa di più preciso, rivolse a Pietro questa domanda: “Non sei anche tu dei discepoli di quest'uomo?” Giovanni 18:17. Pietro cominciò a tremare e a confondersi. Subito gli occhi di tutti si fissarono su di lui. Sebbene egli assicurasse di non capire, la donna insisteva, dicendo ai presenti che quell'uomo era stato con Gesù. Allora Pietro rispose adirato: “Donna, non lo conosco”. Luca 22:57. Era il primo rinnegamento, e subito il gallo cantò. Pietro, ti vergogni già del tuo Maestro? Così presto rinneghi il tuo Signore? Giovanni, entrando nell'aula del tribunale, non cercò di nascondere il fatto che era discepolo di Gesù e non si unì alla gente triviale che insultava il suo Maestro. Non venne interrogato perché non aveva assunto un atteggiamento ambiguo e non aveva suscitato sospetti. Si era ritirato in un angolo dove poteva restare inosservato, per essere il più possibile vicino a Gesù. Di là poté vedere e udire tutto quello che accadde durante il processo.GDN 541.4

    Pietro non aveva voluto farsi riconoscere, e con la sua aria indifferente era sceso sul terreno del nemico, dove divenne facile preda della tentazione. Se avesse dovuto combattere per il Maestro, sarebbe stato un soldato coraggioso; ma si mostrò vile appena un dito sprezzante si puntò contro di lui. Molte persone, che son pronte a combattere per Gesù, rinnegano la loro fede appena diventano oggetto di scherno. Frequentando compagnie pericolose, ci si mette sulla strada della tentazione. Si invita il tentatore e si giunge a dire e a fare cose che non si sarebbero mai compiute in altre circostanze. Il discepolo di Gesù che ai nostri giorni dissimula la propria fede per timore delle sofferenze e della vergogna, rinnega il Maestro, come fece Pietro nel cortile del palazzo.GDN 542.1

    Pietro, benché manifestasse un atteggiamento indifferente, era profondamente afflitto per le ingiurie e i maltrattamenti a cui Gesù era sottoposto. Inoltre era sorpreso e irritato perché Gesù accettava la sua umiliazione e quella dei discepoli. Per nascondere meglio i suoi sentimenti, si era unito ai persecutori di Gesù. Ma il suo comportamento non era naturale perché non corrispondeva a quello che sentiva e, pur cercando di parlare con indifferenza, rivelava indignazione per gli insulti rivolti al Maestro.GDN 542.2

    Pietro fu indicato come discepolo di Gesù una seconda volta. Allora dichiarò con giuramento: “Non conosco quell'uomo”. Matteo 26:72. Gli venne offerta ancora un'occasione. Un'ora dopo, uno dei servi del sommo sacerdote, parente prossimo di colui al quale Pietro aveva tagliato l'orecchio, gli disse: “Non ti ho forse visto nel giardino con lui?” Giovanni 18:26. “Certo, anche tu sei di quelli, perché anche il tuo parlare ti fa riconoscere”. Matteo 26:73.GDN 542.3

    A quelle parole Pietro andò su tutte le furie. Siccome i discepoli di Gesù si distinguevano per la correttezza del loro linguaggio, Pietro, per ingannare coloro che lo interrogavano, cominciò a rinnegare il suo Maestro con maledizioni e giuramenti. In quel momento il gallo cantò ancora. Pietro lo udì e si ricordò delle parole del Salvatore: “Prima che il gallo abbia cantato due volte, mi rinnegherai tre volte”. Marco 14:30.GDN 542.4

    Mentre quei vergognosi giuramenti erano ancora sulle labbra di Pietro e il canto del gallo riecheggiava nelle sue orecchie, il Salvatore distolse lo sguardo dai suoi accusatori e guardò a lungo il povero discepolo. Gli occhi di Pietro si incontrarono con quelli del Maestro. Il discepolo vi lesse non la condanna, ma solo una pietà e un dolore profondi.GDN 543.1

    Quel viso pallido e sofferente, quelle labbra tremanti, quello sguardo di compassione e perdono, trafissero il cuore di Pietro. La sua coscienza si risvegliò, ed egli si ricordò che poche ore prima aveva promesso al Maestro di seguirlo in prigione e alla morte, e che si era offeso quando il Salvatore, nella camera alta, gli aveva detto che lo avrebbe rinnegato tre volte. Pietro aveva appena affermato di non conoscere Gesù, ma ora si rendeva conto che il Salvatore conosceva lui e leggeva con chiarezza nel suo cuore, in quel cuore del quale lo stesso Pietro non vedeva ancora tutta la falsità.GDN 543.2

    Molti ricordi si risvegliarono in lui. Ripensò alla tenera misericordia del Salvatore, alla sua bontà, alla sua generosità, alla sua pazienza verso i discepoli smarriti, e al suo avvertimento: “Simone, Simone, ecco, Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno”. Luca 22:31, 32.GDN 543.3

    Si rendeva conto, con sgomento, della sua ingratitudine, della sua falsità, del suo spergiuro. Guardò ancora il Maestro, mentre una mano sacrilega lo colpiva sul viso. Non potendo sopportare quella scena, si precipitò fuori con il cuore straziato.GDN 543.4

    Pietro avanzò nella solitudine e nelle tenebre senza sapere dove andare, e infine si ritrovò nel Getsemani. Gli tornò subito in mente la scena di poche ore prima. Rivide il viso sofferente del Signore, macchiato di sangue e sfigurato dall'angoscia. Si ricordò, straziato dal rimorso, che Gesù aveva pianto e lottato solo, in preghiera, mentre coloro che avrebbero dovuto stargli vicino si erano addormentati. Ricordò la solenne raccomandazione: “Vegliate e pregate, affinché non cadiate in tentazione”. Matteo 26:41. Rivide la scena del tribunale, e si sentì disperato per avere contributo ad accrescere l'umiliazione e il dolore del Salvatore. Nel luogo stesso in cui Gesù aveva affidato il suo spirito agonizzante davanti al Padre, Pietro cadde con il viso al suolo, invocando la morte.GDN 543.5

    Pietro aveva preparato la strada al suo grande peccato quando si era messo a dormire invece di vegliare e di pregare, trascurando la raccomandazione del Maestro. Tutti i discepoli, dormendo in quell'ora di crisi, persero una grande opportunità. Gesù sapeva che essi avrebbero dovuto affrontare una grande prova; sapeva anche che Satana voleva indebolire i loro sensi perché non fossero pronti per i momenti più difficili. Per questo li avvertì. Se i discepoli avessero vegliato e pregato, la fede di Pietro si sarebbe rafforzata e non avrebbe rinnegato il Maestro. Se i discepoli avessero vegliato con Gesù durante la sua agonia, sarebbero stati pronti per le sofferenze della croce. Avrebbero compreso, almeno in parte, la natura della sua angoscia; si sarebbero ricordati che aveva predetto le sue sofferenze, la sua morte e la sua risurrezione. In quell'ora di prova, qualche raggio di speranza avrebbe squarciato le tenebre e sostenuto la loro fede.GDN 543.6

    Appena si fece giorno, il sinedrio si radunò nuovamente e Gesù fu ricondotto nella sala del consiglio. Egli aveva dichiarato di essere il Figlio di Dio, e quelle sue parole erano diventate un capo d'accusa. Ma questo non era sufficiente per farlo condannare perché molti, assenti nella seduta notturna, non avevano udito quella sua dichiarazione. Inoltre si sapeva che il tribunale romano non avrebbe trovato in quell'imputazione nessun motivo di condanna a morte. Per conseguire il loro scopo, volevano che Gesù ripetesse la sua dichiarazione, così avrebbero potuto fare passare la sua pretesa messianicità come un tentativo di sedizione.GDN 544.1

    Chiesero a Gesù: “Se tu sei il Cristo, diccelo”. Ma Gesù tacque. Insistettero, ed egli rispose con tristezza: “Se ve lo dicessi, non credereste; e se io vi facessi delle domande, non rispondereste”. E perché non avessero scuse, aggiunse quest'avvertimento solenne: “Ma da ora in avanti il Figlio dell'uomo sarà seduto alla destra della potenza di Dio”.GDN 544.2

    “Sei tu, dunque, il Figlio di Dio?”, chiesero a una voce. “Egli rispose loro: ‘Voi stessi dite che io lo sono’. E quelli dissero: ‘Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? Lo abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca’”. Luca 22:70-71.GDN 544.3

    Condannato per la terza volta dalle autorità ebraiche, Gesù doveva morire. Non restava che una sola cosa: ottenere dai romani la ratifica della sentenza e consegnare Gesù nelle loro mani.GDN 544.4

    Seguì una terza scena di maltrattamenti e derisioni, peggiore di quella che Gesù aveva subìto da parte di una plebaglia ignorante. Ciò avvenne in presenza degli stessi sacerdoti e rettori, e con la loro approvazione: essi erano ormai privi di qualsiasi sentimento di pietà e umanità. Se le loro argomentazioni erano deboli e se non erano riusciti a imporgli il silenzio, disponevano ancora di altre armi, quelle che sono state usate in ogni tempo per far tacere gli eretici: la sofferenza, la violenza e la morte.GDN 544.5

    Quando i giudici pronunciarono la condanna di Gesù, un furore satanico si impadronì della folla. Le loro grida erano simili a quelle di animali selvaggi. La plebaglia si precipitò verso Gesù gridando: “È colpevole, sia messo a morte!” Senza l'intervento dei soldati romani, Gesù non sarebbe vissuto abbastanza per esser inchiodato sulla croce, ma sarebbe stato fatto a pezzi in presenza dei suoi giudici. Le autorità romane si opposero con la forza alla violenza della plebaglia.GDN 545.1

    Quei pagani erano indignati per la violenza usata contro qualcuno la cui colpevolezza non era stata ancora provata. Gli ufficiali romani affermarono che gli ebrei, condannando Gesù, infrangevano l'autorità romana, e che condannare qualcuno a morte sulla base della sua sola testimonianza era perfino contrario alla legge ebraica. Quell'intervento rallentò per un momento la procedura; ma i capi del popolo erano ormai insensibili sia alla pietà sia alla vergogna.GDN 545.2

    I sacerdoti e i capi, dimenticando la dignità del proprio ruolo, rivolsero contro il Figlio di Dio gli epiteti più offensivi. Si beffavano della sua parentela e dicevano che la sua presunzione di essere il Messia meritava la morte più vergognosa. Gli uomini più corrotti inflissero al Salvatore maltrattamenti obbrobriosi: gettarono sul suo capo un vecchio abito e lo colpirono al viso dicendo: “O Cristo profeta, indovina! Chi t'ha percosso?” Matteo 26:68. Quando gli fu tolto l'abito, un miserabile gli sputò in viso.GDN 545.3

    Gli angeli di Dio registravano fedelmente ogni sguardo, ogni parola e ogni atto ingiurioso di cui il loro condottiero era vittima. Un giorno quei vili schernitori che hanno sputato sul volto sereno e pallido di Cristo lo vedranno nella sua gloria, più splendida di quella del sole.GDN 545.4

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