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Profeti e re - Contents
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    Capitolo 9: Elia di Tisbe

    Sui monti di Galaad, a oriente del fiume Giordano, al tempo del re Acab, abitava un uomo devoto e fedele che avrebbe agito coraggiosamente per arginare la dilagante apostasia d’Israele. Pur vivendo lontano da ogni città importante e senza avere nessuna posizione di rilievo, Elia di Tisbe accettò la missione affidatagli, fiducioso che Dio lo avrebbe guidato e gli avrebbe assicurato il successo. Egli pronunciava parole forti, che esprimevano la sua fede e tutta la sua vita fu consacrata a un’opera di riforma. La sua era la voce di chi grida nel deserto per condannare il peccato e opporsi all’ondata straripante del male. Pur presentandosi al popolo per rimproverarlo del peccato, trasmetteva anche un messaggio di speranza a tutti coloro che desideravano essere incoraggiati.PR 70.1

    Elia, vedendo Israele praticare l’idolatria, era sinceramente preoccupato e sentiva crescere dentro di sé una profonda indignazione. Dio era intervenuto potentemente in favore del suo popolo: lo aveva liberato dalla schiavitù e gli aveva dato “la terra di altri popoli... perché osservassero i suoi comandamenti e ubbidissero alla sua legge”. Salmi 105:44, 45. Ma gli obiettivi dell’Eterno erano stati quasi dimenticati. L’incredulità stava rapidamente separando la nazione eletta dalla fonte della sua forza. Considerando questa apostasia, Elia, dall’alto del suo rifugio montano, si sentiva sopraffatto dal dolore. Con l’animo angosciato implorò Dio di frenare la malvagità del popolo e di punirlo, se fosse stato necessario, affinché orientasse diversamente la sua vita e fosse in grado di valutare il suo allontanamento da Dio. Elia desiderava ardentemente che Israele si ravvedesse prima di sprofondare sempre più verso il basso, tanto da costringere il Signore a distruggerlo completamente.PR 70.2

    La preghiera di Elia fu esaudita. Ripetuti appelli, rimostranze e avvertimenti non avevano portato Israele al pentimento. Era perciò giunto il tempo in cui Dio doveva parlare agli israeliti evidenziando le conseguenze dei loro errori. Siccome gli adoratori di Baal affermavano che i tesori del cielo — la rugiada e la pioggia — non venivano dall’Eterno ma dalle forze che regolavano la natura, e che tramite l’energia creativa del sole la terra veniva arricchita e poteva produrre abbondanti raccolti, la maledizione di Dio doveva colpire il suolo contaminato. Alle tribù apostate d’Israele doveva essere dimostrata la follia di confidare nel potere di Baal per ottenere vantaggi terreni. Fino a quando non si fossero pentiti, riconoscendo Dio come fonte di ogni benedizione, non ci sarebbe stata nel paese né rugiada né pioggia.PR 70.3

    A Elia venne affidata la missione di comunicare ad Acab il castigo che gli era destinato. Il profeta non rivendicò l’incarico di essere il portavoce di Dio: il Signore stesso gli affidò il suo messaggio. Fiero dell’onore di essere al servizio di Dio, Elia non esitò a ubbidire all’ordine divino, anche se questo avesse implicato il rischio di una morte rapida decretata dal re. Il profeta si mise subito in viaggio verso Samaria camminando giorno e notte fino a quando non giunse a destinazione. Arrivato al palazzo reale, non chiese di esservi ammesso né attese di essere formalmente annunciato. Indossando il rozzo vestito portato dai profeti del tempo, passò davanti alle guardie, apparentemente senza essere notato, e si trovò alla presenza del sovrano.PR 71.1

    Elia non si scusò per questa sua brusca e inattesa apparizione. Qualcuno, più importante del re d’Israele, lo aveva incaricato di parlare ed egli, levando una mano verso il cielo, affermò solennemente per il Dio vivente che i giudizi dell’Altissimo stavano per abbattersi su Israele. Egli dichiarò: “Com’è vero che il Signore, il Dio d’Israele, vive... Nei prossimi anni non vi saranno né pioggia né rugiada se non quando lo dirò io!” 1 Re 17:1.PR 71.2

    Solo un’incrollabile fede nell’infallibile potenza di Dio diede a Elia la forza di trasmettere il suo messaggio. Se non avesse avuto fiducia assoluta in colui che serviva non avrebbe mai osato presentarsi davanti ad Acab. Dirigendosi verso Samaria Elia aveva camminato sulle rive di ruscelli, valicato colline verdeggianti e attraversato foreste maestose che sembravano sfidare la siccità. Ovunque si posasse lo sguardo tutto era rivestito di bellezza. Il profeta avrebbe potuto chiedersi come quei corsi d’acqua che non avevano mai cessato di scorrere potevano inaridirsi e come quelle colline e quelle vallate verdeggianti sarebbero state bruciate dalla siccità. Il dubbio non lo sfiorò nemmeno. Era profondamente convinto che Dio avesse deciso di umiliare il regno di Israele apostata e che tramite il castigo esso sarebbe giunto a pentirsi. L’ordine divino era stato dato; la parola di Dio era certa e quindi, rischiando la vita, Elia adempì coraggiosamente al suo mandato.PR 71.3

    Come un fulmine a ciel sereno il messaggio del giudizio imminente giunse alle orecchie del re; ma prima che Acab si riavesse e formulasse una risposta, Elia era scomparso, così com’era venuto, senza aspettare di vedere l’effetto prodotto sul re dal suo messaggio. Il Signore lo aveva preceduto preparandogli la strada e dicendo al profeta: “Parti e vai verso oriente. Nasconditi nei pressi del torrente Cherit, a est del Giordano. Laggiù berrai l’acqua del torrente e io manderò dei corvi a portarti da mangiare”. 1 Re 17:3.PR 71.4

    Il re ordinò subito di ritrovare il profeta, ma lo cercarono invano. La regina Gezabele, irritata dal messaggio che annunciava la sospensione delle benedizioni divine, non esitò a parlarne con i sacerdoti di Baal i quali si unirono a lei nel maledire il profeta e nello sfidare l’ira dell’Eterno. Ma tutti gli sforzi per rintracciare colui che aveva pronunciato delle parole di maledizione furono inutili. Non poterono nascondere agli israeliti l’annuncio di questo castigo provocato dalla loro evidente idolatria. La notizia si diffuse rapidamente in tutto il paese. Questo messaggio divino risvegliò in alcuni la paura, ma in generale fu accolto con scherno o con disprezzo.PR 72.1

    Le parole del profeta ebbero un effetto immediato. Coloro che inizialmente si erano beffati dell’annuncio della siccità, dopo alcuni mesi furono costretti a riflettere seriamente perché la terra, non più bagnata dalla rugiada e dalla pioggia, si inaridì e la vegetazione appassì. Col passare del tempo i ruscelli, che non si erano mai prosciugati, diminuirono la loro portata d’acqua e i torrenti a poco a poco si prosciugarono. Nonostante tutto ciò il popolo fu esortato a fidarsi del potere di Baal e a considerare falsa la profezia di Elia. I sacerdoti insistettero ancora sul fatto che la pioggia cadesse grazie alla potenza di Baal. “Non dovete temere il Dio d’Elia — dicevano al popolo — non tremate per le sue parole. È Baal che fa crescere le messi al tempo opportuno e provvede ai bisogni degli uomini e degli animali”.PR 72.2

    Il messaggio di Dio ad Acab dava a Gezabele, ai suoi sacerdoti e a tutti i seguaci di Baal, l’opportunità di mettere alla prova il potere dei loro dei e, se possibile, di dimostrare la falsità delle parole pronunciate da Elia. La profezia di Elia si contrapponeva alle promesse fatte da centinaia di sacerdoti idolatri. Se, nonostante la dichiarazione del profeta, Baal avesse potuto continuare ad assicurare rugiada e pioggia, a far scorrere regolarmente le acque dei torrenti e a far fiorire la vegetazione, il re d’Israele poteva adorarlo e il popolo affermare che egli era Dio.PR 72.3

    Volendo che il popolo restasse nell’errore, i sacerdoti di Baal continuarono a offrire sacrifici ai loro dei e a supplicarli giorno e notte di bagnare la terra. Si impegnarono a placare la collera di questi dei offrendo loro sacrifici grandiosi. Con zelo e perseveranza, degni del migliore obiettivo, essi affollavano gli altari pagani e pregavano ardentemente perché piovesse. Giorno e notte si sentivano le grida delle loro suppliche. Ma nessuna nuvola apparve all’orizzonte, durante il giorno, per mitigare il calore bruciante del sole. Non c’era più rugiada, né pioggia che rinfrescasse la terra arida. Tutti i tentativi dei sacerdoti di Baal risultarono inutili, la decisione divina rimase invariata.PR 72.4

    Passò un anno e non piovve. La terra era come arsa dal fuoco. Il cocente calore del sole aveva distrutto quel poco di vegetazione ancora esistente. I corsi d’acqua si erano prosciugati e le mandrie che muggivano e le greggi che belavano andavano errando qua e là in cerca di pascolo. I campi, un tempo fertili, erano diventati dei deserti. Regnava la desolazione. I boschetti consacrati al culto degli idoli avevano perso tutte le loro foglie; gli alberi della foresta ridotti a scheletri non offrivano più la loro ombra. L’aria era secca e soffocante; tempeste di sabbia accecavano e toglievano il respiro. Città e villaggi, un tempo prosperi, erano diventati luoghi desolati. Fame e sete colpivano uomini e animali provocandone la morte. La carestia, con tutti i suoi orrori, si diffondeva ovunque.PR 73.1

    Eppure, nonostante queste prove evidenti della potenza di Dio, Israele non si pentì né imparò la lezione che Dio voleva insegnargli. Gli israeliti non capivano che colui che aveva creato la natura ne controllava le leggi e poteva farne uno strumento di benedizione o di maledizione. Schiavi del loro orgoglio e della loro idolatria, essi non erano disposti a umiliarsi davanti a Dio e cominciarono a cercare altre motivazioni a cui attribuire le loro sofferenze.PR 73.2

    Gezabele, a sua volta, rifiutò di riconoscere la carestia come un castigo di Dio. Inflessibile nella sua decisione di sfidare il Dio del cielo, insieme al popolo d’Israele denunciò Elia come causa di tutte le loro sofferenze. Non era stato lui a disapprovare le loro forme di culto? Se si fosse riusciti a sbarazzarsi di lui, diceva, la collera degli dei si sarebbe placata e le sofferenze d’Israele sarebbero cessate.PR 73.3

    Sollecitato dalla regina, Acab decise di individuare il luogo dove si era rifugiato il profeta. Mandò dei messaggeri nelle nazioni vicine per cercare l’uomo che odiava e temeva al tempo stesso. Nel suo accanimento per perseguitare l’uomo di Dio fece giurare tutti i suoi sudditi di non sapere dove si trovasse il profeta. Le sue ricerche non diedero risultati. Il profeta era protetto dalla malvagità del re i cui peccati avevano attirato sul paese la punizione di un Dio offeso.PR 73.4

    Non riuscendo a trovare Elia, Gezabele decise di vendicarsi facendo mettere a morte tutti i profeti dell’Eterno che abitavano in Israele. Nessuno doveva rimanere in vita. Furente attuò il suo progetto massacrando molti servi di Dio. Però non tutti morirono. Abdia, maggiordomo della casa di Acab, ma fedele a Dio, aveva “preso cento profeti” e a rischio della vita “cinquanta li aveva nascosti in una caverna e cinquanta in un’altra e aveva procurato loro cibo e acqua”. 1 Re 18:4.PR 73.5

    Passò il secondo anno di carestia senza che il cielo mostrasse nessun segno di pioggia. In tutto il regno la siccità continuò la sua opera devastatrice. Padri e madri, impotenti ad alleviare le sofferenze dei loro figli, assistevano alla loro agonia. Ma Israele rifiutò di umiliarsi davanti a Dio e continuò a mormorare contro l’uomo che con il suo messaggio aveva permesso che sul paese si abbattessero i terribili giudizi divini. Il popolo si dimostrava incapace di riconoscere, nella disperazione e nella sofferenza che lo colpiva, un appello al pentimento, un intervento divino che voleva impedire loro di superare quel limite che li avrebbe privati del perdono.PR 73.6

    L’apostasia di Israele era un male senz’altro peggiore rispetto ai terribili orrori della carestia. Dio cercava di liberare il popolo dalle sue illusioni e convincerlo a riconoscere colui che aveva donato loro la vita e tutto ciò di cui potevano godere. Egli cercava di aiutarli a ritrovare la fede e questo implicava il superamento di questo periodo di grande afflizione.PR 74.1

    “Pensate che io abbia piacere nel veder morire un uomo malvagio? Io, Dio, il Signore, dichiaro che desidero, invece, vederlo cambiare comportamento e vivere... Cessate di essere perversi e ribelli, trasformate i vostri cuori e i vostri spiriti, Israeliti, perché volete morire? Lo ripeto: io, Dio il Signore, non desidero la morte di nessuno. Cambiate vita e vivrete! ... Smettete di agire in modo malvagio, cambiate vita. Perché volete morire?” Ezechiele 18:23, 31, 32; 33:11. Dio aveva mandato a Israele dei messaggeri per invitarlo a riconsacrarsi a lui. Se avessero ascoltato questi appelli, se avessero abbandonato il culto di Baal per rivolgersi nuovamente al Dio vivente, il messaggio di Elia non sarebbe mai stato pronunciato. Ma gli avvertimenti che avrebbero potuto essere “un odore di vita che dà la vita”, risultarono per loro “un odore di morte che procura la morte”. Feriti e irritati nei confronti dei profeti, gli Israeliti nutrivano per Elia un odio irrefrenabile. Se fosse caduto nelle loro mani lo avrebbero consegnato con gioia alla regina Gezabele. Facendo tacere la sua voce avrebbero forse impedito l’adempimento della profezia? Nonostante questa calamità continuarono a perseverare nell’idolatria, peggiorando così quella situazione che aveva provocato il castigo di Dio. L’unica soluzione possibile per Israele era abbandonare i peccati che avevano provocato la punizione dell’Onnipotente e ritornare a lui con tutto il cuore. Infatti potevano contare su questa certezza: “Il mio popolo, a me consacrato, si umilierà, mi pregherà e abbandonerà la sua condotta cattiva per cercare la mia volontà, io, dal cielo, ascolterò, perdonerò il suo peccato e ridarò vita al paese”. 2 Cronache 7:14. Per poter ottenere questa vittoria Dio continuò a impedire che la rugiada e la pioggia cadessero fino a quando non si fosse verificata una radicale riforma.PR 74.2

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