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Gli uomini che vinsero un impero - Contents
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    Capitolo 30: Chiamati a raggiungere un ideale più elevato

    Paolo, con la sua lettera, sperò di far comprendere ai corinzi l’importanza di un fermo autocontrollo, di una stretta temperanza e di un inflessibile zelo nel servizio di Cristo, usando un eloquente parallelismo tra il combattimento cristiano e le corse che si tenevano vicino a Corinto, a intervalli prefissati. Tra le gare sportive disputate tra greci e romani, le corse erano le più antiche e le più stimate. Esse avevano come spettatori re, nobili e uomini di governo. Vi partecipavano giovani della nobiltà, che non rifuggivano alcuno sforzo o disciplina pur di ottenere il premio.UVI 194.1

    Le competizioni erano governate da un severo regolamento al quale non ci si poteva sottrarre. Quelli che desideravano entrare nella lista dei concorrenti, dovevano prima di tutto sottoporsi a un rigido allenamento. La dannosa indulgenza nell’appetito o qualsiasi altra gratificazione che poteva indebolire il vigore fisico e mentale erano strettamente proibite. Perché un atleta potesse avere la speranza di vincere queste gare di forza e velocità, doveva avere dei muscoli che gli assicurassero potenza, agilità e un perfetto controllo dei propri nervi. Ogni movimento doveva essere preciso, ogni passo rapido e leggero; il corpo doveva raggiungere il più alto livello di preparazione in vista della gara.UVI 194.2

    Mentre gli atleti apparivano nello stadio davanti al pubblico, venivano pronunciati i loro nomi e veniva letto il regolamento della gara. Poi, partivano tutti insieme. L’attenzione degli spettatori li rendeva ancora più determinati nel ricercare la vittoria. I giudici erano seduti vicino al traguardo, in modo che potessero osservare la gara dall’inizio alla fine e aggiudicare il premio al vero vincitore. Se un uomo raggiungeva il traguardo per primo usando dei mezzi illegali, non otteneva il premio.UVI 194.3

    In queste competizioni si correvano grandi rischi. Alcuni non si riprendevano più dal terribile sforzo fisico che avevano subìto. Non era insolito che degli uomini cadessero sul percorso, sanguinando dalla bocca e dal naso e che talvolta uno dei concorrenti cadesse al suolo morto proprio quando stava per assicurarsi il premio. Ma la possibilità di una ferita cronica o di morire non era considerata un rischio troppo grande in confronto all’onore che riceveva il vincitore.UVI 194.4

    Allorché il fortunato atleta raggiungeva il traguardo, l’applauso della vasta moltitudine di spettatori squarciava l’aria echeggiando tra le montagne e le colline circostanti. Poi, davanti a tutti gli spettatori, il giudice consegnava gli emblemi di vittoria: una corona di alloro e un ramo di palma nella mano destra. I suoi elogi venivano cantati per tutta la regione; i suoi genitori condividevano il suo onore e anche la città nella quale viveva veniva tenuta in grande stima per aver dato i natali a un così grande atleta.UVI 195.1

    Usando queste gare come una figura del combattimento cristiano, Paolo enfatizzò la necessità di prepararsi per ottenere la vittoria con una preliminare disciplina: una dieta priva di bevande alcoliche e un regime di temperanza. “Chiunque fa l’atleta — egli affermò — è temperato in ogni cosa”. 1 Corinzi 9:25 (Luzzi). Gli atleti abbandonavano qualsiasi indulgenza che avrebbe indebolito le loro forze fisiche, e per mezzo di una severa e costante disciplina cercavano di allenare i propri muscoli e di ottenere quella forza e quella resistenza che avrebbero permesso loro di sopportare le fatiche più pesanti durante la gara. Quanto più importante è per il cristiano, del quale sono in gioco gli interessi eterni, sottomettere gli appetiti e le passioni all’intelletto e al volere di Dio! Egli non deve mai permettere che la sua attenzione sia deviata da divertimenti, lussi e comodità. Tutte le sue abitudini e le sue passioni devono essere controllate da una rigida disciplina. L’intelletto illuminato dagli insegnamenti della Parola di Dio e guidato dal suo Spirito deve tenere le redini del controllo.UVI 195.2

    Quando questo è fatto, il cristiano deve esercitare tutte le potenzialità della propria volontà per poter ottenere la vittoria. Nelle corse di Corinto, gli ultimi passi degli atleti venivano compiuti con uno sforzo agonizzante per non diminuire la velocità. Così il cristiano che si avvicina al traguardo, si spingerà avanti con una quantità di zelo e determinazione maggiore di quella che ha utilizzato all’inizio della gara.UVI 195.3

    Paolo presenta il contrasto esistente tra la corona di alloro deteriorabile che riceveva il vincitore della corsa e la corona di gloria immortale che sarà data a colui che conduce con successo la sua gara, per conformare la propria esistenza ai princìpi cristiani. Paolo dichiarò: “Quelli lo fanno per ricevere una corona corruttibile; ma noi, una incorruttibile”. 1 Corinzi 9:25 (Luzzi). Per vincere un premio che perisce gli atleti greci non badavano né a fatiche né a disciplina. Noi stiamo correndo per un premio infinitamente maggiore, cioè per la corona della vita eterna. Con quanta più passione noi dovremmo impegnarci, quanto più volentieri noi dovremmo sacrificarci e disciplinarci!UVI 195.4

    Nell’epistola agli ebrei è indicato l’unico scopo che dovrebbe caratterizzare la corsa cristiana per la vita eterna: “Anche noi... deposto ogni peso e il peccato che così facilmente ci avvolge, corriamo con perseveranza l’arringo che ci sta dinanzi, riguardando a Gesù, duce e perfetto esempio di fede”. Ebrei 12:1, 2 (Luzzi). Invidia, malizia, perversione, maldicenza, avidità, questi sono i pesi che il cristiano deve abbandonare per riuscire ad aver successo nella corsa per l’immortalità. Ogni abitudine o pratica che conduce al peccato e che disonora Cristo deve essere abbandonata, qualsiasi sacrificio comporti. La benedizione del cielo non può riversarsi su colui che viola gli eterni princìpi della giustizia. Un solo peccato accarezzato è sufficiente a causare la degradazione del carattere e a sviare altri.UVI 195.5

    “Se la tua mano ti fa intoppare — disse Gesù — mozzala; meglio è per te entrar monco nella vita, che aver due mani e andartene nella geenna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti fa intoppare, mozzalo; meglio è per te entrar zoppo nella vita, che aver due piedi ed esser gittato nella geenna”. Marco 9:43-54 (Luzzi). Se per salvare il corpo dalla morte, il piede o la mano avrebbero dovuto essere amputati, o anche l’occhio strappato via, con quanto più ardore il cristiano dovrebbe abbandonare il peccato. Esso conduce all’oblio di una morte eterna.UVI 196.1

    I partecipanti alle antiche gare sportive, anche se si sottoponevano all’autocontrollo e a una rigida disciplina, non erano certi della vittoria. “Non sapete voi — chiese Paolo — che coloro i quali corrono nello stadio, corrono ben tutti, ma uno solo ottiene il premio?” 1 Corinzi 9:24 (Luzzi). Per quanto ardentemente e tenacemente i partecipanti potessero impegnarsi, il premio poteva essere consegnato soltanto a uno di loro. Soltanto una mano poteva afferrare la desiderata corona. Alcuni, dopo essersi stremati per ottenere il premio, come stendevano la mano per assicurarselo, scoprivano che un altro, un istante prima di loro, aveva afferrato l’invidiato tesoro.UVI 196.2

    Non è così nella corsa cristiana. Chiunque osserva le condizioni non rimarrà deluso alla fine della corsa. A nessuno di quelli che avranno fatto il loro possibile, mancherà il successo. La corsa non sarà vinta dal più forte. Sia il più debole dei santi che il più forte può rivestire la corona di gloria immortale. Possono vincere tutti quelli che, attraverso la potenza della grazia divina, sottomettono la loro vita alla volontà di Cristo. La pratica nei dettagli della vita, dei princìpi contenuti nella Parola di Dio, sono troppo spesso considerati di poca importanza, come cose troppo insignificanti per richiamare l’attenzione. Ma in vista del traguardo da raggiungere anche le cose più insignificanti possono diventare le più importanti. Ogni azione getta il suo peso sulla bilancia che determina la vittoria o la sconfitta di una vita. E la ricompensa data sarà in proporzione all’energia e all’ardore con i quali si sono impegnati.UVI 196.3

    L’apostolo paragonò se stesso a un uomo che corre in una corsa e che allena ogni parte del suo corpo per vincere il premio. “Io quindi corro — egli disse — ma non in modo incerto, lotto al pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi, tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, che talora, dopo aver predicato agli altri, io stesso non sia riprovato”. 1 Corinzi 9:26, 27 (Luzzi). Per non condurre in modo incerto o negligente la corsa cristiana, Paolo sottopose se stesso a una rigida disciplina. Le parole “tratto duramente il mio corpo” letteralmente significano soffocare per mezzo di una severa disciplina i desideri, gli impulsi e le passioni dell’animo umano.UVI 197.1

    Paolo temeva che, dopo aver predicato agli altri, egli stesso potesse essere squalificato. Lui comprese che se non praticava nella sua vita i princìpi nei quali credeva e che predicava, i suoi sforzi in favore degli altri, non sarebbero valsi a nulla per lui. La sua conversazione, il suo influsso, il suo rifiuto a cedere a qualsiasi autogratificazione, dovevano mostrare che la sua religione non era soltanto una professione ma un vivere quotidianamente in contatto con Dio. Un solo traguardo egli tenne sempre dinanzi e si impegnò a raggiungere: “...la giustizia che vien da Dio, basata sulla fede”. Filippesi 3:9 (Luzzi).UVI 197.2

    Paolo sapeva che il suo combattimento contro il male sarebbe durato sino alla fine della vita. Per questo egli reputò necessario controllare rigidamente se stesso, affinché i suoi desideri carnali non avessero il sopravvento sul suo zelo spirituale. Egli continuò a lottare con tutte le sue forze contro le inclinazioni naturali. Tenne sempre dinanzi a sé il traguardo da raggiungere, e cercò di farlo con una volontaria ubbidienza alla legge di Dio. Le sue parole, le sue azioni, le sue passioni, tutto fu sottomesso al controllo dello Spirito di Dio.UVI 197.3

    Fu proprio questa motivazione interiore di vincere la corsa per ottenere la vita eterna che Paolo desiderò vedere nella vita dei credenti di Corinto. Egli sapeva che per raggiungere l’ideale di Cristo essi avrebbero dovuto lottare tutta la loro vita, senza posa alcuna. Li esortò a lottare, secondo le regole, giorno dopo giorno, cercando la pietà e l’eccellenza morale. Li supplicò di abbandonare ogni peso e di spingersi avanti verso il traguardo della perfezione in Cristo.UVI 197.4

    Paolo indicò ai corinzi l’esperienza dell’antico Israele, le benedizioni che ne ricompensarono l’ubbidienza e i giudizi che seguirono le loro trasgressioni. Ricordò loro la miracolosa maniera in cui gli ebrei erano stati liberati dalla schiavitù d’Egitto, di giorno protetti dalla nuvola e di notte dalla colonna di fuoco. Così essi attraversarono sicuramente il Mar Rosso, mentre gli egiziani che cercarono di attraversarlo nella stessa maniera, furono tutti annegati. Mediante questi interventi Dio aveva riconosciuto Israele come la sua chiesa. “Tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, e tutti bevvero la stessa bevanda spirituale perché beveano alla roccia spirituale che li seguiva; e la roccia era Cristo”. 1 Corinzi 10:3, 4 (Luzzi). Gli ebrei in tutti i loro viaggi, ebbero Cristo come loro guida. La roccia colpita raffigurava il Cristo ferito a motivo delle trasgressioni umane, affinché la sorgente della salvezza potesse riversarsi su tutta l’umanità.UVI 197.5

    Sebbene Dio avesse mostrato il suo favore agli ebrei, a causa della loro avidità per le comodità che avevano lasciato in Egitto, e a causa del loro peccato e della loro ribellione, i suoi giudizi si inflissero su loro. L’apostolo incoraggiò i credenti di Corinto a fare proprie le lezioni contenute nell’esperienza d’Israele. “Or queste cose — affermò — avvennero per servire d’esempio a noi, onde non siam bramosi di cose malvagie, come coloro ne furon bramosi”. 1 Corinzi 10:6 (Luzzi). Egli mostrò come il loro amore per le comodità e il piacere avesse preparato la via ai peccati che provocarono lo sdegno di Dio. Fu proprio quando i figli di Israele indulsero nel mangiare, nel bere e nei divertimenti che persero il timore di Dio, che invece avevano ricercato quando avevano ascoltato la promulgazione della legge da parte dell’Eterno. Fecero un vitello d’oro che rappresentasse Dio e lo adorarono. E fu dopo aver goduto una lussuosa festa connessa con l’adorazione di Baal, che molti ebrei caddero nella licenziosità. Essi provocarono l’ira di Dio, e al suo comando circa tremila persone furono uccise in un solo giorno.UVI 198.1

    L’apostolo scongiurò i corinzi: “Chi si pensa di stare ritto, guardi di non cadere”. Se si fossero esaltati e sentiti troppo sicuri e avessero trascurato di vegliare e di pregare, sarebbero caduti in gravi peccati e avrebbero attirato su loro l’ira di Dio. Tuttavia Paolo non volle che cedessero allo scoraggiamento e alla disperazione. Egli diede loro questa certezza: “Iddio è fedele e non permetterà che siate tentati al di là delle vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscirne, onde la possiate sopportare”. 1 Corinzi 10:12, 13 (Luzzi).UVI 198.2

    Paolo esortò i fratelli a chiedersi quale influsso avessero le loro parole e le loro azioni sugli altri. Essi non dovevano commettere alcun atto, che sebbene innocente, potesse sancire l’idolatria o offendere gli scrupoli di quelli che erano ancora deboli nella fede. “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate alcun’altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio. Non siate d’intoppo né ai Giudei, né ai Greci, né alla chiesa di Dio”. 1 Corinzi 10:31, 32 (Luzzi).UVI 198.3

    Le parole di avvertimento che Paolo diede alla chiesa di Corinto, sono applicabili a qualsiasi tempo e sono specialmente adatte per i nostri giorni. Con il termine idolatria lui non intendeva soltanto l’adorazione di idoli, ma anche l’autosufficienza, l’amore per le comodità e la gratificazione degli appetiti e delle passioni. Una semplice professione di fede in Cristo, una presuntuosa conoscenza della verità, non fa di un uomo un cristiano. Una religione che cerca solo di soddisfare i sensi o che permette l’indulgenza, non è la religione di Cristo.UVI 198.4

    Per mezzo di un parallelismo tra la chiesa e il corpo umano, l’apostolo illustrò abilmente l’intima e armoniosa relazione che dovrebbe esistere tra tutti i membri della chiesa di Cristo. “Noi tutti — egli scrisse — abbiam ricevuto il battesimo di un unico Spirito per formare un unico corpo, e Giudei e Greci, e schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un unico Spirito. E infatti il corpo non si compone di un membro solo, ma di molte membra. Se il piè dicesse: Siccome io non sono mano, non son del corpo, non per questo non sarebbe del corpo. E se l’orecchio dicesse: Siccome io non son occhio, non son del corpo, non per questo non sarebbe del corpo. Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito, se tutto il corpo fosse udito dove sarebbe l’odorato? Ma ora Iddio ha collocato ciascun membro nel corpo, come ha voluto. E se tutte le membra fossero un unico membro, dove sarebbe il corpo? Ma ora ci son molte membra, ma c’è un unico corpo; e l’occhio non può dire alla mano: Io non ho bisogno di te; né il capo può dire ai piedi: Non ho bisogno di voi... Dio ha costruito il corpo in modo da dare maggiore onore alla parte che mancava, affinché non ci fosse divisione nel corpo, ma le membra avessero la medesima cura le une per le altre. E se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; e se un membro è onorato, tutte le membra ne gioiscono con lui. Or voi siete il corpo di Cristo, e membra d’esso, ciascuno per parte sua”. 1 Corinzi 12:13-27 (Luzzi).UVI 199.1

    Poi, con parole che da quel giorno a oggi sono state d’ispirazione e di incoraggiamento a uomini e donne, Paolo presentò l’importanza di quell’amore che dovrebbe caratterizzare il comportamento dei seguaci di Cristo. “Quand’io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho carità, divento un rame risonante o uno squillante cembalo. E quando avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e avessi tutta la fede in modo da trasportare i monti, se non ho carità, non son nulla. E quando distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e quando dessi il mio corpo ad essere arso, se non ho carità, ciò niente mi giova”. 1 Corinzi 13:1-3 (Luzzi).UVI 199.2

    Poco vale esercitare una elevata professione, colui il cui cuore non è colmo di amore per Dio e per il suo prossimo, non è un vero discepolo di Cristo. Sebbene possieda una grande fede, e abbia la potenza di compiere miracoli, senza amore la sua fede è vana. Potrebbe dimostrare una grande generosità, donando tutti i suoi beni per soddisfare i bisogni dei poveri. In realtà solo se farà ciò perché spinto dall’amore, egli potrà diventare oggetto del favore divino. Nel suo zelo potrebbe anche affrontare la morte come un martire. Tuttavia Dio lo considererà come un uomo dominato dall’insensibilità e dall’ambizione, se la sua scelta non sarà ispirata dall’amore.UVI 199.3

    “La carità è paziente, è benigna; la carità non invidia; la carità non si vanta, non si gonfia”. 1 Corinzi 13:4 (Luzzi). La gioia più pura sorge dalla più profonda umiliazione. I caratteri più forti e più nobili sono edificati sul fondamento della pazienza, dell’amore e della sottomissione alla volontà di Dio.UVI 200.1

    La carità “non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non sospetta il male”. 1 Corinzi 13:5 (Luzzi). Un amore come quello di Cristo edifica sulle buone motivazioni e le buone azioni del prossimo. Esso non espone inutilmente le mancanze degli uomini. Non ascolta volentieri le critiche e le insinuazioni volte a screditare il suo prossimo, ma cerca piuttosto di attirare l’attenzione sulle sue buone qualità.UVI 200.2

    L’amore “non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità, soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa”. Questo amore “non verrà mai meno”. 1 Corinzi 13:6-8 (Luzzi). Non perde mai il suo valore, esso è un attributo celeste. E come un prezioso tesoro, verrà portato dal suo possessore attraverso le porte della città di Dio.UVI 200.3

    “Or dunque queste tre cose durano: fede, speranza, carità; ma la più grande di esse è la carità”. 1 Corinzi 13:13 (Luzzi).UVI 200.4

    Tra i credenti di Corinto ce n’erano alcuni che, venendo meno ai loro ideali morali, avevano finito per trascurare alcuni dei princìpi fondamentali della loro fede. Alcuni avevano addirittura negato la dottrina della risurrezione. Paolo affrontò questa eresia dando una chiara testimonianza dell’indiscutibile evidenza della risurrezione di Cristo. Egli dichiarò che Cristo, dopo la sua morte, “risuscitò il terzo giorno, secondo le Scritture” dopo di che “apparve a Cefa, poi ai Dodici. Poi apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali la maggior parte rimane ancora in vita e alcuni sono morti. Poi apparve a Giacomo; poi a tutti gli Apostoli; e, ultimo di tutti, apparve anche a me”. 1 Corinzi 15:4-8 (Luzzi).UVI 200.5

    L’apostolo presentò la grande dottrina della risurrezione con argomenti convincenti. “Se non v’è risurrezione dei morti — egli discusse — neppur Cristo è risuscitato; e se Cristo non è risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione, e vana pure è la vostra fede. E noi siamo anche trovati falsi testimoni di Dio, poiché abbiamo testimoniato di Dio, ch’Egli ha risuscitato il Cristo; il quale Egli non ha risuscitato, se è vero che i morti non risuscitano. Difatti, se i morti non risuscitano, neppur Cristo è risuscitato; e se Cristo non è risuscitato, vana è la vostra fede; voi siete ancora nei vostri peccati. Anche quelli che dormono in Cristo, son dunque periti. Se abbiamo sperato in Cristo per questa vita soltanto, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini. Ma ora Cristo è risuscitato dai morti, primizia di quelli che dormono”. 1 Corinzi 15:13-20 (Luzzi).UVI 200.6

    L’apostolo diresse la mente dei corinzi ai trionfi del giorno della risurrezione, quando tutti i santi dormienti saranno risorti, per vivere eternamente con il loro Signore. “Ecco — affermò Paolo — io vi dico un mistero: Non tutti morremo, ma tutti saremo mutati, in un momento, in un batter d’occhio, al suon dell’ultima tromba. Perché la tromba sonerà, e i morti risusciteranno incorruttibili, e noi saremo mutati. Poiché bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità, e che questo mortale rivesta immortalità. E quando questo corruttibile avrà rivestito incorruttibilità, e questo mortale avrà rivestito immortalità, allora sarà adempiuta la parola che è scritta: La morte è stata sommersa nella vittoria. O morte dov’è la tua vittoria?... ringraziato sia Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo”. 1 Corinzi 15:51-57 (Luzzi).UVI 201.1

    Grande è il premio che Dio ha in serbo per coloro che gli resteranno sempre fedeli. L’apostolo, conoscendo le possibilità che i credenti di Corinto avevano dinanzi, cercò di presentare loro ciò che innalza dall’egoismo e dalla sensualità, ciò che dà più senso all’esistenza umana con la speranza dell’immortalità. Egli li esortò a essere fedeli alla loro santa chiamata in Cristo. “Fratelli miei diletti — Paolo supplicò — state saldi, incrollabili, abbondanti sempre nell’opera del Signore, sapendo che, la vostra fatica non è vana nel Signore”. 1 Corinzi 15:58 (Luzzi).UVI 201.2

    Fu così che l’apostolo cercò di attirare l’attenzione e correggere quelle false idee e quelle pratiche pericolose che si stavano diffondendo nella chiesa di Corinto. Egli parlò apertamente, ispirato dall’amore che nutriva per i suoi fratelli. Una luce proveniente dal trono di Dio illuminò i corinzi, attraverso i suoi avvertimenti e i suoi rimproveri, rivelando peccati nascosti che stavano contaminando la loro vita. Quale sarebbe stato il loro esito?UVI 201.3

    Dopo che la lettera fu inviata, Paolo temette che quello che aveva scritto potesse ferire troppo profondamente coloro che lui invece desiderava ne beneficiassero. Egli si sentì terrorizzato all’idea di aver causato un’ulteriore frattura all’interno della comunità. A volte desiderò di non aver mai detto certe cose. Quelli che, come l’apostolo, sentono una responsabilità per le loro care chiese o per le loro istituzioni, possono meglio apprezzare la sua insoddisfazione e il suo continuo ricorso all’autocritica. I servitori di Dio che hanno la responsabilità della sua opera in questo tempo conoscono qualcosa della stessa esperienza di lavoro, dei conflitti, e delle ansiose preoccupazioni che visse il grande apostolo. Egli si dispiacque delle divisioni esistenti nella chiesa; era stato trattato con ingratitudine e tradito da alcuni di quelli da cui si aspettava simpatia e sostegno. Comprendendo il pericolo che incorrono le chiese in cui alberga l’iniquità, fu spinto a dare una decisa e toccante testimonianza nel rimproverare il peccato. Ma egli era allo stesso tempo aggravato dal timore che potesse aver agito con troppa severità. Con ansietà, egli attese di ricevere alcune notizie circa l’accoglienza che era stata riservata al suo messaggio.UVI 201.4

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