Capitolo 49: Alla festa delle capanne
Gli israeliti dovevano recarsi tre volte l’anno a Gerusalemme per le celebrazioni religiose. Il Signore, dalla colonna di nuvole, aveva dato istruzioni per questi incontri. L’osservanza delle feste fu sospesa durante la cattività; ma quando gli israeliti tornarono in patria, ne venne ripresa la celebrazione. Il Signore voleva che il popolo in queste occasioni si ricordasse di lui. Ma sacerdoti e anziani, salvo poche eccezioni, avevano perso di vista questo obiettivo. Proprio colui che aveva ordinato queste feste e ne aveva stabilito il significato, osservava fino a che punto fossero degenerate.SU 336.1
La festa delle Capanne era l’ultima dell’anno. Dio voleva che in quell’occasione gli israeliti meditassero sulla sua bontà e sulla sua misericordia. Tutto il popolo, durante l’anno trascorso, era stato guidato dal Signore e aveva ricevuto la sua benedizione. Giorno e notte Egli aveva vegliato. Il sole e la pioggia avevano reso fertile la terra; si era mietuto il grano nelle valli e nelle pianure della Palestina; si erano raccolte le olive, e l’olio prezioso riempiva i vasi; le palme avevano offerto il loro frutto e i grappoli purpurei dell’uva erano già passati sotto il torchio.SU 336.2
Quella festa durava sette giorni e gli abitanti della Palestina, oltre ai numerosi israeliti dispersi nella diaspora, lasciavano le loro case vicine o lontane e salivano a Gerusalemme manifestando la loro esultanza. Giovani e vecchi, ricchi e poveri, portavano doni come ringraziamento al Signore che aveva coronato l’anno con le sue benedizioni e aveva concesso loro l’abbondanza. Si raccoglievano nei boschi rami e piante per rallegrare l’ambiente ed esprimere la gioia di tutti; la città assumeva l’aspetto di un magnifico giardino.SU 336.3
Quella festa non manifestava soltanto la riconoscenza per il raccolto, ma ricordava anche le attenzioni del Signore per Israele nel deserto. Gli israeliti riproducevano il loro soggiorno sotto le tende, dimorando in capanne fatte di rami verdi, che venivano innalzate nelle strade, nei cortili del tempio e sulle terrazze delle case. Anche le colline e le valli intorno a Gerusalemme si coprivano di quelle abitazioni di foglie e formicolavano di gente. Si celebrava la festa con canti sacri e ringraziamenti. Poco prima che iniziasse, c’era il giorno delle espiazioni in cui il popolo, dopo la confessione dei peccati, si riconciliava con Dio. Così la gioia era completa. “Celebrate l’Eterno, perch’egli è buono, perché la sua benignità dura in perpetuo”. Salmi 106:1. Si cantavano queste parole in coro con l’accompagnamento di ogni genere di strumenti i cui suoni si mescolavano con gli osanna della folla. Il tempio, dove si svolgevano i riti di espiazione, era il centro dell’esultanza generale. Lungo i due lati della scalinata di marmo bianco dell’edificio sacro, il coro dei leviti dirigeva il canto. Gli adoratori, agitando rami di palma e mirto, ripetevano il ritornello, mentre la melodia riecheggiava in altre voci vicine e lontane sino a far risuonare come un concerto di lodi tutte le colline circostanti.SU 336.4
Di notte il tempio e il cortile venivano illuminati. La musica, i rami di palma agitati, gli osanna festosi, la grande folla, l’illuminazione delle lampade, le file di sacerdoti, la solennità delle cerimonie: tutto questo produceva una profonda impressione sui partecipanti. Ma la più suggestiva e la più lieta cerimonia della festa era quella che commemorava il soggiorno nel deserto.SU 337.1
Alle prime luci del giorno s’udiva il suono squillante e prolungato delle trombe d’argento dei sacerdoti; ad esso rispondevano altre trombe il cui suono mescolato a grida di gioia riecheggiava per le colline e le vallate. Era il primo saluto al giorno festivo. Il sacerdote riempiva una brocca con l’acqua del torrente Cedron, la sollevava al suono delle trombe e saliva gli spaziosi gradini del tempio, con passo lento e misurato, a suon di musica, cantando: “I nostri passi si son fermati entro le tue porte, o Gerusalemme”. Salmi 122:2.SU 337.2
Poggiava poi la brocca sull’altare, al centro del cortile dei sacerdoti. L’acqua della brocca veniva versata in un catino d’argento mentre in un altro si versava il vino di un’altra brocca. Vino e acqua, poi, scorrevano attraverso un condotto, nel torrente Cedron, per finire nel mar Morto. L’acqua consacrata che veniva versata ricordava come per ordine divino una sorgente era sgorgata da una roccia per dissetare i figli d’Israele. Poi il popolo prorompeva in canti di gioia: “L’eterno è la mia forza ed il mio cantico... Voi attingerete con gioia l’acqua dalle fonti della salvezza”. Isaia 12:2, 3.SU 337.3
I figli di Giuseppe, mentre si preparavano per recarsi alla festa delle Capanne, notarono con sorpresa che Gesù non manifestava l’intenzione di andarvi. Lo osservavano attentamente e sapevano che non aveva più partecipato ad assemblee nazionali sin dal tempo della guarigione di Betesda. Gesù infatti, per evitare inutili contrasti con i capi di Gerusalemme, aveva limitato il suo ministero alla Galilea. Sembrava trascurare le grandi feste religiose e ciò, insieme all’avversione manifestata dai sacerdoti e dai rabbini, lasciava perplessi coloro che lo circondavano, persino i suoi discepoli e i suoi familiari.SU 337.4
Gesù, che aveva più volte parlato dell’importanza della legge di Dio, sembrava ora indifferente ai servizi divini. Sembrava che tutto lo mettesse in contrasto con le autorità religiose e lo esponesse alle critiche: la sua amicizia con i pubblicani e con le persone di cattiva reputazione, il suo disinteresse per le cerimonie dei rabbini, la sua critica alla tradizione sabatica. I suoi fratelli ritenevano che commettesse un errore a inimicarsi i grandi e i savi della nazione. Pensavano che essi avessero ragione e che Gesù avesse sbagliato a mettersi in contrasto con loro. Pur non essendosi schierati tra le file dei suoi discepoli, erano rimasti profondamente colpiti dalla sua vita irreprensibile e dalla potenza delle sue opere. La popolarità di cui Gesù godeva in Galilea lusingava la loro ambizione ed essi speravano sempre che una manifestazione della sua potenza inducesse i farisei a riconoscerlo per quello che diceva di essere. Accarezzavano con orgoglio l’idea che fosse veramente il Messia, il principe d’Israele.SU 338.1
Ansiosi di vedere l’adempimento dei loro desideri, insistettero perché Gesù salisse a Gerusalemme. “Partiti di qua e vattene in Giudea, affinché i tuoi discepoli veggano anch’essi le opere che tu fai. Poiché niuno fa cosa alcuna in segreto, quando cerca d’esser riconosciuto pubblicamente. Se tu fai codeste cose, palesati al mondo”. Giovanni 7:3, 4. Il “se” metteva in evidenza il dubbio e l’incredulità. Gli attribuivano codardia e debolezza. Se sapeva di essere il Messia, perché quella strana riservatezza e inattività? Se realmente possedeva una tale potenza, perché non si recava con coraggio a Gerusalemme per farsi riconoscere? Perché non compiva in Gerusalemme le opere straordinarie che aveva compiuto in Galilea? Gli dissero di non rimanere nascosto in un’oscura provincia e di non limitare le sue opere potenti a contadini e pescatori ignoranti. Lo invitarono a recarsi nella capitale, a conquistare l’appoggio dei sacerdoti e dei capi, e a unire tutta la nazione nel tentativo di stabilire il nuovo regno.SU 338.2
I fratelli di Gesù ragionavano così perché erano spinti da un motivo egoistico, presente spesso nel cuore di coloro che hanno l’ambizione di farsi notare. È lo stesso spirito che domina nel mondo. Si erano offesi perché Gesù, invece di cercare un trono terreno, aveva detto di essere il pane della vita. Furono amaramente delusi quando molti discepoli lo abbandonarono. Essi stessi si erano staccati da lui per evitare di riconoscerlo come inviato di Dio, secondo la testimonianza delle sue opere.SU 338.3
“Gesù quindi disse loro: Il mio tempo non è ancora venuto; il vostro tempo, invece, è sempre pronto. Il mondo non può odiar voi; ma odia me, perché io testimonio di lui che le sue opere sono malvagie. Salite voi alla festa; io non salgo ancora a questa festa, perché il mio tempo non è ancora compiuto. E dette loro queste cose, rimase in Galilea”. Giovanni 7:6-9. I suoi fratelli gli avevano parlato con tono autoritario, imponendogli quello che avrebbe dovuto fare. Egli respinse il rimprovero e lo rivolse contro di loro dicendo che non facevano parte dei suoi discepoli, ma del mondo. “Il mondo non può odiar voi; ma odia me, perché io testimonio di lui che le sue opere sono malvagie”. Il mondo non odia coloro che hanno uno spirito simile al suo; anzi li ama come sua proprietà.SU 338.4
Gesù non era venuto in questo mondo per il desiderio di una vita comoda o di grandi onori e non cercava l’occasione per impadronirsi della potenza e della gloria. Egli non ambiva a tutto ciò. Questo mondo era il luogo dove il Padre lo aveva inviato. Egli era venuto per dare vita al mondo, per attuare il grande piano della redenzione. Stava operando in favore di una razza decaduta; non doveva né essere presuntuoso né esporsi senza necessità al pericolo per non anticipare così la crisi finale. C’era un tempo stabilito per ogni evento del suo ministero, ed Egli lo aspettava pazientemente. Il mondo lo avrebbe odiato, la sua opera si sarebbe conclusa con la morte, ma il Padre non voleva che vi si esponesse prematuramente.SU 339.1
La fama dei miracoli di Gesù si era diffusa da Gerusalemme in tutti i luoghi dove gli ebrei erano dispersi e, sebbene Gesù avesse evitato per vari mesi di partecipare alle feste, quella fama non era diminuita. Molti, accorsi dalla diaspora in occasione della festa delle Capanne con il desiderio di vederlo, chiesero subito informazioni sul suo conto.SU 339.2
Anche i farisei e gli anziani lo attendevano, ma con la speranza di trovare un pretesto di condanna. Chiedevano con ansietà dove fosse, ma nessuno lo sapeva. Gesù era al centro dei pensieri di tutti. Nessuno osava riconoscerlo come Messia per timore dei sacerdoti e degli anziani; ma ovunque si discuteva segretamente e appassionatamente su di lui. Molti credevano che fosse stato inviato da Dio, mentre altri lo ritenevano un seduttore.SU 339.3
Nel frattempo Gesù era giunto a Gerusalemme. Vi si era recato attraverso una via poco frequentata per evitare il flusso dei pellegrini. Infatti, se si fosse unito a una delle carovane, non sarebbe potuto entrare in città inosservato e ci sarebbe stato il rischio di una dimostrazione popolare in suo favore e la conseguente opposizione delle autorità. Per evitare tutto ciò, Gesù volle fare il viaggio da solo.SU 339.4
Nel mezzo della festa, Gesù entrò nel cortile del tempio tra la folla. Alcuni avevano detto che non avrebbe osato mostrarsi ai sacerdoti e agli anziani, perciò la sua presenza fu una grande sorpresa per tutti. Essi tacquero e rimasero colpiti dalla sua dignità e dal suo contegno sicuro in mezzo a nemici potenti che cospiravano contro la sua vita.SU 340.1
Gesù parlò alla folla attonita come nessun uomo aveva mai fatto. Le sue parole rivelavano un’ampia conoscenza delle leggi e delle istituzioni d’Israele, del sistema dei sacrifici e degli insegnamenti dei profeti, molto superiore a quella dei sacerdoti e dei rabbini. Egli abbatté le barriere del formalismo e della tradizione. La vita futura sembrava dischiusa ai suoi occhi. Parlava con una grande autorità delle realtà terrene e di quelle del cielo, delle realtà umane e di quelle divine, come se vedesse l’invisibile. Le sue parole erano chiare e convincenti e, come era accaduto a Capernaum, il popolo rimase attonito nell’ascoltare il suo insegnamento, “perché parlava con autorità”. Luca 4:32. Con varie immagini avvertì i suoi ascoltatori annunciando loro le sciagure che avrebbero colpito chi rifiutava le benedizioni che era venuto ad accordare. Aveva dato loro ogni prova possibile per dimostrare che veniva da Dio e li esortò con insistenza al pentimento. Egli non sarebbe stato rigettato e ucciso dalla sua nazione se fosse riuscito a farli ravvedere da una colpa simile.SU 340.2
Tutti stupivano per la sua conoscenza della legge e dei profeti, e dicevano: “Come mai s’intende costui di lettere, senz’aver fatto studi?” Giovanni 7:15. Per essere autorizzati a impartire insegnamenti religiosi, bisognava avere studiato nelle scuole dei rabbini. Gesù e Giovanni Battista furono considerati ignoranti perché non avevano ricevuto questo tipo di istruzione. Coloro che li avevano ascoltati erano rimasti stupiti per la loro conoscenza delle Scritture. Essi non si intendevano di “lettere”; non avevano certo imparato dagli uomini, ma il Dio del cielo era il maestro che aveva trasmesso loro la più alta sapienza.SU 340.3
Mentre Gesù parlava nel cortile del tempio, la folla pendeva dalle sue labbra. Coloro che si erano mostrati più violenti, si sentivano disarmati. Per il momento ogni altro interesse era dimenticato.SU 340.4
Egli continuò a insegnare nei giorni seguenti sino a quando giunse l’ultimo giorno, il gran giorno della festa”. Giovanni 7:37. La mattina di quel giorno, mentre il popolo era stanco per quel succedersi di cerimonie, si udì la voce di Gesù nei cortili del tempio: “Se alcuno ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, fiumi d’acqua viva sgorgheranno dal suo seno”. Giovanni 7:37, 38. Lo stato d’animo del popolo conferiva una forza particolare a questo invito. Le persone avevano assistito a molte cerimonie fastose, i loro occhi erano stati abbagliati da luci e colori, le loro orecchie deliziate da musica melodiosa. Nulla però, in tutto il ciclo delle cerimonie, aveva soddisfatto le necessità dello spirito e appagato quelle anime assetate di realtà eterne. Gesù le invitò a dissetarsi alla fonte della vita, perché sgorgassero dal loro seno fiumi d’acqua per la vita eterna.SU 340.5
Quella mattina il sacerdote aveva appena celebrato il rito che ricordava la roccia colpita nel deserto. Quella roccia era il simbolo di Gesù che con la sua morte avrebbe fatto zampillare fonti di salvezza per tutti gli assetati. Le parole del Cristo erano acqua di vita. In presenza della folla Egli si offriva per essere percosso affinché l’acqua della vita sgorgasse nel mondo. Percuotendo Gesù, Satana pensava di distruggere il Principe della vita, ma dalla roccia zampillò un’acqua viva. Mentre Gesù parlava così al popolo, uno strano timore fece fremere i loro cuori e molti, come la samaritana, erano sul punto di esclamare: “Dammi di cotest’acqua, affinché io non abbia più sete”. Giovanni 4:15.SU 341.1
Gesù conosceva i desideri dello spirito, desideri che né ricchezze né pompa né onori possono soddisfare. “Se alcuno ha sete, venga a me”. Ricchi e poveri, grandi e piccoli, tutti sono accolti. Egli promette di sollevare lo spirito oppresso, consolare l’afflitto e infondere speranza nello scoraggiato. Molti uditori di Gesù erano tristi per le loro speranze deluse, altri erano amareggiati da tormenti segreti, altri ancora cercavano di placare le loro inquietudini con i beni del mondo e le lodi degli uomini; ma, una volta attuati i loro desideri, si rendevano conto di aver attinto a cisterne rotte, incapaci di estinguere la sete. Nonostante lo sfarzo della festa, rimanevano scontenti e tristi. Quell’invito improvviso: “Se alcuno ha sete”, li riscosse dalle loro malinconiche riflessioni, e le parole che seguirono ravvivarono in loro la speranza. Lo Spirito Santo si servì di quel simbolo perché essi comprendessero il dono inestimabile della salvezza.SU 341.2
L’invito del Cristo alle anime assetate echeggia oggi ancora più forte che in quel giorno nel tempio, in quell’ultimo giorno della festa. La fonte è accessibile a tutti. L’acqua fresca della vita eterna è per tutti coloro che si sentono stanchi ed esausti. Gesù ripete: “Se alcuno ha sete, venga a me e beva”; “Chi ha sete venga: chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita” (Apocalisse 22:17); “Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete; anzi, l’acqua che io gli darò, diventerà in lui una fonte d’acqua che scaturisce in vita eterna”. Giovanni 4:14.SU 341.3