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La speranza dell’uomo - Contents
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    Capitolo 2: Il popolo eletto

    Per più di mille anni gli israeliti avevano atteso la venuta del Salvatore, riponendo in quest’evento le loro più radiose speranze. Avevano espresso il nome del Redentore nel canto, nelle profezie, nei riti del tempio e nelle preghiere in famiglia. Eppure, alla sua venuta, non lo riconobbero. Il Figlio di Dio era per loro “come una radice ch’esce da un arido suolo; non avea forma né bellezza da attirare i nostri sguardi, né apparenza, da farcelo desiderare”. Isaia 53:2. “È venuto in casa sua, e i suoi non l’hanno ricevuto”. Giovanni 1:11.SU 15.1

    Tuttavia, Dio aveva scelto Israele perché mantenesse tra gli uomini la conoscenza della sua legge, dei simboli e delle profezie che annunciavano il Salvatore. Egli voleva che gli israeliti fossero per il mondo fonte di salvezza. Il popolo ebraico aveva, fra gli altri popoli, il compito che Abramo aveva avuto nella terra delle sue peregrinazioni, Giuseppe in Egitto, Daniele alla corte di Babilonia: rivelare Dio agli uomini.SU 15.2

    Nel chiamare Abramo, il Signore gli aveva detto: “Ti benedirò... e tu sarai fonte di benedizione... e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra”. Genesi 12:2, 3. Lo stesso insegnamento fu ripetuto tramite i profeti. Le promesse rimasero valide anche dopo che il territorio di Israele era stato devastato dalla guerra e il popolo deportato. “Il resto di Giacobbe sarà, in mezzo a molti popoli, come una rugiada che vien dall’Eterno, come una fitta pioggia sull’erba, le quali non aspettano ordine d’uomo, e non dipendono dai figliuoli degli uomini”. Michea 5:6. Del tempio di Gerusalemme, il Signore aveva dichiarato mediante Isaia: “La mia casa sarà chiamata una casa d’orazione per tutti i popoli”. Isaia 56:7.SU 15.3

    Ma gli israeliti rivolsero le loro speranze verso la grandezza terrena. Sin dal tempo del loro ingresso nella terra di Canaan si erano allontanati dai comandamenti di Dio per seguire i costumi dei pagani. Furono inutili gli ammonimenti divini annunciati dai profeti. Invano essi subirono l’oppressione da parte dei popoli pagani. A ogni riforma seguì nuovamente l’apostasia.SU 15.4

    Dio, se gli israeliti fossero stati fedeli, avrebbe adempiuto il suo piano grazie al loro spirito di consacrazione. Se avessero ubbidito, Egli li avrebbe resi eccelsi “Per gloria, rinomanza e splendore, su tutte le nazioni”. “Tutti i popoli della terra” dice Mosè “Vedranno che tu porti il nome dell’Eterno, e ti temeranno”. Le nazioni, “Udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: Questa grande nazione è il solo popolo savio e intelligente!” Deuteronomio 26:19; 28:10; 4:6. Ma a causa della loro infedeltà, il piano di Dio veniva realizzato solo attraverso continue difficoltà e umiliazioni.SU 15.5

    Gli israeliti furono deportati a Babilonia e dispersi fra i popoli pagani. Nel dolore, molti rinnovarono la loro fedeltà al patto di Dio. Mentre le loro arpe erano appese ai salici, mentre erano tristi per il tempio in rovina, la luce della verità brillò tramite loro e la conoscenza di Dio si diffuse tra le nazioni. Il sistema pagano dei sacrifici era una degenerazione di quello indicato da Dio; molti pagani sinceri impararono dagli ebrei il significato del servizio divinamente ispirato e con fede accolsero la promessa del Redentore.SU 16.1

    Molti fra gli esiliati affrontarono la persecuzione. Non pochi persero la vita perché si rifiutarono di trasgredire il sabato e osservare le festività pagane. Quando gli idolatri insorsero per soffocare la verità, il Signore condusse i suoi figli di fronte ai re e ai capi, perché insieme ai loro popoli beneficiassero della conoscenza di Dio. Ripetutamente i più grandi sovrani furono indotti a proclamare la superiorità di quel Dio che i loro prigionieri ebrei adoravano.SU 16.2

    Durante la deportazione babilonese, gli israeliti guarirono completamente dal peccato dell’adorazione delle immagini. Poi, nei secoli successivi, soffrirono per l’oppressione da parte di nemici pagani, finché non si convinsero pienamente che la loro prosperità dipendeva dall’ubbidienza alla legge di Dio. Ma in molti l’ubbidienza non aveva come movente l’amore, bensì l’egoismo. Offrivano a Dio un servizio esteriore come strumento di una grandezza nazionale. Non divennero la luce del mondo, ma si separarono dal mondo per sfuggire alla tentazione dell’idolatria. Nelle sue istruzioni a Mosè, Dio aveva posto dei limiti ai contatti degli israeliti con gli idolatri; ma tutto ciò era stato frainteso. Il Signore voleva evitare che il suo popolo si conformasse alle consuetudini dei pagani. Queste indicazioni, invece, servirono per erigere un muro fra Israele e tutte le altre nazioni. I giudei consideravano Gerusalemme come una parte del regno dei cieli, e temevano che il Signore usasse misericordia verso i Gentili.SU 16.3

    Dopo il ritorno da Babilonia, approfondirono gli insegnamenti divini. In tutto il paese furono costruite sinagoghe dove i sacerdoti e gli scribi spiegavano la legge; vennero fondate scuole per insegnare, insieme alle arti e alle scienze, anche i princìpi della giustizia. Ma tutte queste istituzioni persero la loro identità. Durante la deportazione molti avevano accolto idee e costumi pagani che vennero introdotti anche nel servizio religioso. In molti casi si conformarono alla condotta degli idolatri.SU 16.4

    Allontanandosi da Dio, gli ebrei persero di vista gran parte degli insegnamenti del servizio religioso stabilito dal Cristo stesso, che in ogni sua parte era il simbolo della sua missione ed era ricco di vitalità e di bellezza spirituali. Ma gli ebrei trascurarono il significato spirituale delle cerimonie e si interessarono solo alle forme. Riposero la loro fiducia nei sacrifici e nelle prescrizioni, invece di rivolgersi a colui che vi veniva presentato. Per compensare ciò che avevano perso, i sacerdoti e i rabbini moltiplicarono le richieste della legge, che più diventavano rigide, meno manifestavano l’amore di Dio. Misurarono la loro santità in base al numero delle cerimonie, mentre i loro cuori traboccavano di orgoglio e ipocrisia.SU 17.1

    Con le minute e gravose imposizioni di questi capi religiosi, osservare la legge diventava impossibile. Coloro che desideravano servire Dio, e cercavano di osservare i precetti dei rabbini, si addossavano un carico pesante. Non riuscivano a trovare pace dalle accuse di una coscienza turbata. Satana agiva così perché il popolo si scoraggiasse, la sua concezione del carattere di Dio si impoverisse e la fede d’Israele venisse disprezzata. In questo modo egli sperava di dimostrare che l’accusa pronunciata quando si ribellò nel cielo, secondo la quale le richieste di Dio erano ingiuste ed era impossibile osservarle, era corretta. Perfino Israele, affermava, non aveva osservato la legge.SU 17.2

    Gli ebrei desideravano la venuta del Messia, ma non si erano fatti un’idea esatta della sua missione. Essi non cercavano la redenzione dal peccato, ma la liberazione dai romani. Speravano in un Messia liberatore, capace di infrangere la potenza degli oppressori e conferire a Israele un dominio universale. In questo modo si preparavano a respingere il Salvatore.SU 17.3

    Al tempo della nascita del Cristo, la nazione era oppressa da dominatori stranieri e tormentata da lotte interne. Agli ebrei era stato permesso di conservare la forma di un governo autonomo, ma niente poteva nascondere la realtà del giogo romano o poteva conciliarli con questo regime. I romani rivendicavano il diritto di nomina e destituzione del sommo sacerdote. Quel posto era spesso acquisito con la frode, la corruzione e anche il crimine. Così il sacerdozio divenne sempre più corrotto. I sacerdoti conservavano ancora una grande autorità, ma la usavano per fini egoistici e venali. Il popolo doveva sottostare alle loro esose richieste come pure alle pesanti tasse dei romani. Per questa situazione il malcontento era generale. Le sollevazioni popolari si ripetevano. Rivolte e violenza, sospetto e apatia spirituale stavano minando il cuore della nazione.SU 17.4

    L’odio verso i romani, l’orgoglio nazionale e religioso condussero ancora gli ebrei ad aderire rigorosamente alle loro forme di adorazione. I sacerdoti cercarono di conservare una reputazione di santità con la cura scrupolosa nelle cerimonie religiose. Il popolo, oppresso e privo di conoscenza, e i capi assetati di potere aspettavano la venuta di colui che avrebbe sconfitto i loro nemici e restituito il regno a Israele. Essi avevano studiato le profezie ma non avevano una vera visione spirituale. Avevano trascurato quelle che parlano dell’umiliazione del Cristo nella prima venuta e frainteso quelle della gloria del suo ritorno. Era l’orgoglio che ispirava questa loro visione. Interpretarono le profezie secondo i loro desideri egoistici.SU 18.1

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