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Patriarchi e profeti - Contents
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    Capitolo 22: Mosè

    Gli egiziani avevano venduto al faraone il bestiame e le terre e con questo atto si erano condannati per sempre alla schiavitù. Con molta saggezza Giuseppe li liberò, offrendo loro la possibilità di essere degli affittuari. In questo modo avrebbero mantenuto le loro proprietà, ora in possesso del re, pagando al sovrano un tributo annuale corrispondente a un quinto dei prodotti del loro lavoro.PP 200.1

    I figli di Giacobbe ricevettero un trattamento diverso. In cambio del servizio reso da Giuseppe all’Egitto, fu concesso loro di abitare in una parte del paese. Inoltre, furono esentati dalle tasse e riforniti di provviste sufficienti a superare l’intero periodo della carestia. Il faraone aveva riconosciuto che l’intervento del Dio d’Israele aveva determinato la prosperità dell’Egitto, in un tempo in cui le altre nazioni morivano di fame. La politica di Giuseppe aveva notevolmente arricchito il suo regno e il sovrano manifestò la sua riconoscenza circondando di favori la famiglia di Giacobbe.PP 200.2

    Il tempo passò e il grande uomo a cui l’Egitto avrebbe dovuto manifestare una profonda gratitudine morì, insieme alla generazione che aveva tratto beneficio dal suo intervento. Poi “...sorse sopra l’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe”. Esodo 1:8. Egli era al corrente dei favori che Giuseppe aveva reso alla nazione, ma non voleva riconoscerli: anzi, per quanto era nelle sue possibilità, intendeva farli dimenticare.PP 200.3

    “Egli disse al suo popolo: Ecco, il popolo de’ figliuoli d’Israele è più numeroso e più potente di noi. Orsù, usiamo prudenza con essi; che non abbiano a moltiplicare e, in caso di guerra, non abbiano a unirsi ai nostri nemici e combattere contro di noi e poi andarsene dal paese”. Esodo 1:9, 10.PP 200.4

    Gli israeliti, infatti, erano diventati molto numerosi; essi “...furon fecondi, moltiplicarono copiosamente, diventarono numerosi e si fecero oltremodo potenti, e il paese ne fu ripieno”. Esodo 1:7. Grazie alla protezione di Giuseppe e al favore del precedente sovrano, erano aumentati così rapidamente da diffondersi in tutto il paese. Tuttavia, per usanze e religione, essi avevano mantenuto la loro identità di popolo.PP 200.5

    Il loro moltiplicarsi aveva suscitato i timori del faraone e del popolo: essi pensavano, infatti, che in caso di guerra gli israeliti si sarebbero alleati con i nemici dell’Egitto. D’altra parte, un preciso interesse politico impediva la loro espulsione dal paese: molti di loro erano operai abili e competenti, il cui lavoro arricchiva notevolmente la nazione. Il re stesso aveva bisogno di questa manodopera per la costruzione dei suoi magnifici palazzi e dei templi. Egli incluse gli ebrei nella classe sociale di quegli egiziani che avevano venduto tutti i loro possedimenti alla corona e li sottopose a dei sorveglianti: il loro asservimento divenne totale. “...E gli Egiziani presero in avversione i figliuoli d’Israele, e fecero servire i figliuoli d’Israele con asprezza, e amareggiaron loro la vita con dura servitù adoprandoli nei lavori d’argilla e di mattoni, e in ogni sorta di lavori nei campi. E imponevano loro tutti questi lavori, con asprezza... Ma più l’opprimevano, e più il popolo moltiplicava e s’estendeva...”. Esodo 1:12, 13.PP 200.6

    Il re e i suoi consiglieri avevano sperato di piegare Israele sotto il peso della fatica. In questo modo, essi intendevano indebolirlo dal punto di vista numerico, soffocandone lo spirito d’indipendenza. Il fallimento del loro progetto determinò il ricorso a un espediente più crudele. Tutte le levatrici ricevettero infatti l’ordine di sopprimere alla nascita i neonati ebrei di sesso maschile. Satana aveva ispirato quest’ordine: egli sapeva che tra gli israeliti sarebbe sorto un liberatore. Inducendo il re a uccidere i bambini ebrei, sperava di vanificare il progetto divino. Ma le levatrici ebbero timore di Dio e non osarono eseguire quel terribile comando. Il Signore approvò la loro decisione e le protesse. Allora il re, adirato per l’insuccesso del suo piano, allargò e inasprì l’applicazione dell’ordine, ordinando a ogni egiziano di individuare e uccidere le vittime inermi. “Allora Faraone diede quest’ordine al suo popolo: Ogni maschio che nasce, gettatelo nel fiume; ma lasciate vivere tutte le femmine”. Esodo 1:22.PP 201.1

    Durante l’esecuzione del decreto nacque un figlio ad Amram e Jokebed, due devoti israeliti della tribù di Levi. Era davvero un bel bambino. I genitori, credevano che il tempo della liberazione d’Israele fosse vicino: Dio avrebbe presto suscitato un liberatore per il suo popolo. Così, essi decisero di non permettere il sacrificio del piccolo. La loro fede in Dio li incoraggiò a tal punto che “...non temettero il comandamento del re”. Ebrei 11:23.PP 201.2

    La madre riuscì a nascondere il bambino per tre mesi. Con il passare del tempo, vedendo che non era più possibile tenerlo, se non con gravi rischi per la sua vita, preparò un cesto di giunchi, lo rese impermeabile con bitume e pece e vi pose il neonato. Poi lo nascose tra le piante, presso la riva del fiume. Non ebbe il coraggio di rimanere a sorvegliarlo, perché temeva per la vita di entrambi. Sua figlia Miriam, però, che si teneva a una certa distanza, osservava con attenzione, ansiosa di vedere quale sarebbe stata la sorte del fratellino. Ma Miriam non era la sola a occuparsi del bimbo. Con appassionate preghiere, la madre aveva affidato il piccolo alla protezione di Dio. Alcuni angeli invisibili, che vegliavano sulla fragile culla, condussero la figlia del faraone in quella direzione. La curiosità della donna egiziana fu attratta da quella piccola cesta. Non appena ella vide quel magnifico bambino, comprese subito quali fossero le sue origini. Le lacrime del piccolo la commossero e provò simpatia per la madre sconosciuta che era ricorsa a un simile strattagemma per preservare la preziosa vita della sua creatura. Decise di salvare il neonato: l’avrebbe adottato come figlio. Miriam aveva osservato di nascosto tutta la scena: intuendo che il bambino era in buone mani, si avvicinò con circospezione e domandò: “...Devo andare a chiamarti una balia tra le donne ebree che t’allatti questo bimbo?” Esodo 2:7. Il permesso le fu accordato. La fanciulla corse dalla madre per portarle la lieta notizia e ritornò subito con lei dalla figlia del faraone. “...Porta via questo bambino, allattamelo, e io ti darò il tuo salario” (Esodo 2:9) disse la principessa.PP 201.3

    Dio aveva ascoltato le preghiere di quella madre: la sua fede era stata ricompensata. Con profonda gioia e gratitudine, ella si dedicò in piena libertà al suo importante incarico di educatrice. Approfittò di ogni opportunità per insegnare al bambino la fede in Dio; era sicura che fosse stato salvato per compiere una grande missione. Jokebed sapeva che un giorno avrebbe dovuto restituire il piccolo alla madre adottiva: da quel momento, egli sarebbe stato circondato da influssi che facilmente avrebbero potuto allontanarlo da Dio. Perciò si dedicò alla sua educazione con una cura superiore a quella che aveva dimostrato per gli altri figli. Cercò di imprimere nella mente del piccolo il rispetto per Dio e l’amore per la verità e la giustizia; pregò intensamente affinché egli potesse essere protetto da ogni influsso negativo. Gli fece comprendere l’insensatezza e la gravità del culto agli idoli e il fanciullo imparò molto presto a ubbidire e a pregare l’unico vero Dio, il Dio d’Israele, il solo che potesse ascoltarlo e liberarlo da ogni pericolo.PP 202.1

    Trattenne il ragazzo con sé per tutto il tempo che le fu possibile, ma quando ebbe circa dodici anni fu costretta a lasciarlo. Dopo essere vissuto in un’umile capanna, Mosè fu ammesso al palazzo reale, presso la figlia del faraone, che lo considerò “come un figlio”. Tuttavia anche in questa sua nuova condizione il ragazzo non dimenticò gli insegnamenti materni, appresi durante l’infanzia: essi lo protessero dai pericoli rappresentati dall’orgoglio, dall’infedeltà e dal vizio, così frequenti in quella splendida corte.PP 202.2

    Come furono importanti i risultati dell’educazione impartita da quella donna ebrea, benché schiava e in esilio! Tutta la vita di Mosè, la grande missione che egli realizzò come capo d’Israele, attestano il valore dell’opera di una madre cristiana. Questo è il più importante dei compiti. La madre è in gran parte responsabile del destino dei propri figli; occupandosi di formarne la mente e il carattere, la sua azione ha una portata che va al di là del tempo, perché coinvolge la salvezza dell’individuo. Ella getta un seme che germoglierà e porterà frutto, nel bene o nel male. La sua opera non consiste nel dipingere un bel ritratto su una tela, o ricavare una forma dal marmo, ma nell’imprimere nell’animo umano l’immagine della divinità. Soprattutto durante i primi anni di vita, la madre ha una grande responsabilità nella formazione del carattere dei figli: le conseguenze di questa prima fase educativa si rifletteranno su tutta la loro esistenza.PP 203.1

    I genitori devono istruire ed educare i loro figli mentre sono ancora molto piccoli, per farne dei cristiani. I bambini sono stati affidati alle nostre cure perché siano preparati a essere dei re, sovrani in eterno, di un regno offerto loro da Dio: il nostro obiettivo non è quello di portarli a eccellere in termini di successo materiale.PP 203.2

    Tutte le madri devono comprendere che ogni istante ha un valore inestimabile. Il loro influsso sarà valutato nel giorno solenne del giudizio: allora si vedrà che molti fallimenti e delitti sono il risultato dell’ignoranza e della trascuratezza di genitori che avrebbero dovuto offrire un giusto orientamento ai propri figli. In quel giorno sarà evidente come molti di coloro che hanno illuminato e benedetto il mondo con la loro genialità e con una vita ispirata ai princìpi della verità e del bene, devono il loro successo e il loro influsso positivo in primo luogo ai princìpi che una madre cristiana, dedita alla preghiera, ha insegnato loro.PP 203.3

    Alla corte del faraone Mosè raggiunse un alto livello di formazione civile e militare. Il monarca aveva deciso di fare del nipote adottivo il suo successore al trono e il giovane ricevette quindi un’educazione adeguata alla sua alta posizione. “E Mosè fu educato in tutta la sapienza degli Egizi ed era potente nelle sue parole ed opere”. Atti 7:22. Per la sua abilità come condottiero militare fu ritenuto uno dei migliori ufficiali dell’esercito egiziano: tutti lo consideravano un uomo straordinario. Così il piano di Satana fallì. Proprio il decreto che condannava a morte i bambini ebrei era stato utilizzato da Dio per favorire l’educazione e la preparazione della futura guida del suo popolo.PP 203.4

    Gli anziani d’Israele appresero dagli angeli che il tempo della loro liberazione era vicino e che Mosè era l’uomo di cui Dio si sarebbe servito per realizzare quest’opera. Gli angeli dissero a Mosè che era stato scelto dall’Eterno per liberare il suo popolo dalla schiavitù. Supponendo che sarebbe stato necessario uno scontro militare, egli pensò che il suo compito fosse quello di guidare gli ebrei contro l’esercito egiziano. In questo caso, il suo attaccamento alla madre adottiva e al faraone avrebbero potuto costituire un ostacolo al compimento della volontà divina.PP 203.5

    Secondo le leggi egiziane, l’erede al trono dei faraoni doveva diventare membro della casta sacerdotale. Mosè, come possibile erede avrebbe dovuto essere iniziato ai misteri della religione nazionale. Pur studiando con grande impegno e interesse, non si lasciò convincere a partecipare al culto degli dèi egiziani. Fu minacciato di essere escluso dalla successione al regno: se avesse continuato nella sua adesione alla fede ebraica, la principessa lo avrebbe rinnegato. Ma la sua decisione di rendere omaggio esclusivamente a Dio, il Creatore del cielo e della terra, fu irremovibile. Discutendo con i sacerdoti e gli adoratori delle divinità egizie, Mosè dimostrò l’insensatezza della loro superstiziosa venerazione di oggetti inanimati. Nessuno poteva confutare le sue argomentazioni o cambiare le sue idee. La sua ostinazione fu tollerata, in considerazione della sua alta posizione e del favore di cui godeva presso il re e presso il popolo. “Per fede Mosè, divenuto grande, rifiutò d’esser chiamato figliuolo della figliuola di Faraone, scegliendo piuttosto d’esser maltrattato col popolo di Dio, che di godere per breve tempo i piaceri del peccato; stimando egli il vituperio di Cristo ricchezza maggiore de’ tesori d’Egitto, perché riguardava alla rimunerazione”. Ebrei 11:24-26. Mosè era degno di assumere il dominio tra i grandi della terra, di avere il primato alla corte del regno allora più potente e impugnarne con onore lo scettro. La sua preparazione intellettuale lo distinse tra i grandi uomini di tutti i tempi; come storico, poeta, filosofo, generale, legislatore, non aveva rivali. Tuttavia, benché avesse il mondo in suo potere, egli ebbe la forza morale di rifiutare le seducenti prospettive di ricchezza, grandezza e fama, “scegliendo piuttosto di esser maltrattato col popolo di Dio, che di godere per breve tempo i piaceri del peccato”. Mosè sapeva quale sarebbe stata la ricompensa riservata a chi avesse servito Dio con umiltà e ubbidienza: tutta la gloria che il mondo gli offriva fu oscurata da questa promessa. Il magnifico palazzo del faraone e il suo trono rappresentavano certo un potente richiamo, ma egli sapeva che in quella corte fastosa avrebbe dovuto affrontare delle tentazioni che potevano allontanare dalla sua mente il pensiero di Dio.PP 204.1

    Mosè seppe guardare al di là del magnifico palazzo e del regno, per intravedere gli alti onori che un giorno sarebbero stati riservati alle persone fedeli a Dio, in un regno in cui il male non sarebbe più esistito. Ispirato dalla fede, vide la corona eterna che il Re dei cieli avrebbe deposto sulla fronte di coloro che avrebbero vinto la lotta contro il peccato. Questa fede lo indusse ad abbandonare i potenti per unirsi a un popolo umile, povero e disprezzato, che aveva scelto di ubbidire a Dio piuttosto che essere partecipe del male. La sua permanenza presso il faraone si protrasse fino all’età di quarant’anni. Pensava spesso alle tristi condizioni del popolo d’Israele: visitava i suoi fratelli schiavi e li incoraggiava, assicurando loro che presto Dio li avrebbe liberati. Spesso l’ingiustizia e l’oppressione di cui erano vittime provocavano in lui un sentimento di rancore che avrebbe voluto soddisfare con la vendetta. Un giorno, mentre era immerso in queste riflessioni, vide un egiziano che picchiava un ebreo: lo aggredì e lo uccise. Solo l’israelita era stato testimone di questa sua azione: Mosè seppellì immediatamente il corpo dell’egiziano nella sabbia. Aveva dimostrato di essere pronto a difendere la causa del suo popolo: egli sperava di vederlo insorgere per rivendicare la sua libertà. “Or egli pensava che i suoi fratelli intenderebbero che Dio li voleva salvare per mano di lui; ma essi non l’intesero”. Atti 7:25. Non erano ancora pronti per la libertà. Il giorno seguente, Mosè vide due ebrei che litigavano: uno di loro aveva chiaramente torto e Mosè lo rimproverò. Ma quest’ultimo, contestandogli il diritto di interferire, lo accusò del delitto. “...Chi ti ha costituito principe e giudice sopra di noi?” gli domandò e aggiunse: “Vuoi tu uccidere me come uccidesti l’Egiziano?” Esodo 2:14.PP 204.2

    Gli egiziani vennero ben presto a conoscenza del fatto, e la notizia giunse al faraone stesso, con un resoconto notevolmente aggravato. L’episodio venne sottolineato con forza: Mosè avrebbe presto organizzato il suo popolo per rovesciare il governo e insediarsi sul trono; il regno non sarebbe stato sicuro finché egli fosse rimasto in vita. Il sovrano decise subito di far uccidere Mosè che, intuito il pericolo, fuggì verso l’Arabia.PP 205.1

    Il Signore lo guidò ed egli trovò rifugio presso Iethro, sacerdote e principe di Madian, anch’egli fedele al culto di Yahweh. Dopo qualche tempo Mosè sposò una delle figlie di quest’uomo e rimase al suo servizio per quarant’anni, in qualità di guardiano del gregge.PP 205.2

    Assassinando l’egiziano, egli era caduto nello stesso errore dei suoi padri: cercare di compiere con le proprie mani l’opera che Dio stesso aveva promesso di realizzare. Il Signore non voleva liberare il suo popolo con la forza delle armi, come Mosè aveva pensato, ma attraverso un potente intervento miracoloso, in modo che il merito della liberazione potesse ricadere esclusivamente su di lui. Ma Dio si servì perfino di questa azione sconsiderata per realizzare il suo progetto. Mosè, infatti, non era preparato alla grande missione a cui era stato destinato; doveva ancora imparare le stesse lezioni di fede che erano state insegnate ad Abramo e Giacobbe. Doveva imparare a non contare sulla forza e sulla saggezza umane, ma sulla potenza di Dio. Nella solitudine delle montagne, imparò molte lezioni. Attraverso una vita dura, piena di difficoltà e privazioni, imparò a essere paziente e a controllare i suoi impulsi.PP 205.3

    Prima di gestire una qualsiasi forma di autorità, doveva imparare a ubbidire. Per poter essere il portavoce di Dio per il popolo d’Israele, Mosè doveva sottomettersi completamente alla volontà divina. Questa esperienza nel deserto era necessaria perché egli imparasse a prendersi cura, come un padre, di tutti coloro che avrebbero avuto bisogno del suo aiuto.PP 206.1

    Molti potrebbero pensare che quel lungo periodo di fatica, vissuto lontano dai grandi eventi della storia sia stato solo una perdita di tempo. Dio invece, nella sua saggezza infinita, chiamò l’uomo che sarebbe diventato il condottiero del suo popolo a dedicarsi per quarant’anni a un lavoro umile come quello del pastore.PP 206.2

    Lo spirito di dedizione e sacrificio, le tenere attenzioni che Mosè imparò occupandosi del gregge, lo prepararono a diventare per il popolo d’Israele un pastore pieno di compassione e pazienza. L’educazione e la cultura non avrebbero potuto offrirgli alcun privilegio che potesse sostituire la ricchezza di questa esperienza.PP 206.3

    Mosè doveva dimenticare ancora molto di quello che aveva imparato. Tutto ciò che aveva rappresentato il suo ambiente di formazione in Egitto — l’amore della madre adottiva, la sua elevata posizione di nipote del faraone, la dissolutezza, le raffinatezze, la dissimulazione, il misticismo di una falsa religione, lo splendore dei riti pagani, la magnificenza degli edifici e delle sculture — aveva lasciato un’impronta nella sua mente e, in una certa misura, nel suo carattere e nelle sue abitudini. Nonostante la partenza dal paese in cui era nato, il tempo e una profonda amicizia con Dio avrebbero eliminato questi suoi legami con il passato. Per rinunciare ai suoi errori e accettare la verità, Mosè avrebbe dovuto intraprendere una dura lotta, che sarebbe durata tutta la vita. Dio sarebbe stato al suo fianco per aiutarlo nei momenti in cui le difficoltà avrebbero superato le possibilità umane.PP 206.4

    In tutti coloro che furono scelti da Dio per un compito importante è possibile scorgere un elemento di fragilità. Essi non manifestarono comportamenti e caratteri perfetti e stereotipati, ma non accettarono passivamente le loro debolezze: desideravano ardentemente acquisire la saggezza che viene da Dio, imparare a lavorare per lui. A questo proposito, l’apostolo dice: “Che se alcuno di voi manca di sapienza, la chiegga a Dio che dona a tutti liberalmente senza rinfacciare, e gli sarà donata”. Giacomo 1:5. Dio non guida le persone che vogliono rimanere nell’errore. Per ricevere l’aiuto divino, l’uomo deve essere cosciente della propria fragilità e delle proprie lacune: le sue facoltà mentali si concentreranno sul grande cambiamento che si deve produrre in lui. Egli si sforzerà di pregare con costanza e sincerità: il suo impegno sarà infaticabile. Gli atteggiamenti e le abitudini negative devono essere respinti con decisione: solo attraverso una scelta personale, diretta a correggere i difetti e a ricercare un comportamento coerente con i princìpi della giustizia, sarà possibile ottenere il successo sul piano spirituale. Molti non raggiungono mai il livello al quale potrebbero arrivare, perché aspettano che Dio agisca su elementi del loro carattere per i quali egli ha concesso loro la forza per correggerli. Tutti coloro che desiderano prepararsi per un servizio utile devono esercitare su se stessi una severa disciplina mentale e morale, con la consapevolezza che l’aiuto divino potenzierà gli sforzi individuali.PP 206.5

    Isolato fra le montagne, Mosè rimase solo con Dio. I magnifici templi egiziani, monumenti di superstizione e falsità, non lo attiravano più. Nella solenne grandezza delle montagne eterne, contemplò la maestosa presenza di Dio: gli dèi d’Egitto gli apparvero inutili e insignificanti. In quella solitudine, Mosè riusciva a scorgere in ogni cosa un intervento del Creatore: lo sentiva presente, come se si trovasse sotto la sua protezione. Questa sensazione cancellò il suo orgoglio e il suo senso di autosufficienza. Nell’austera semplicità di quella vita solitaria, gli effetti negativi degli agi e del lusso che aveva conosciuto in Egitto svanirono. Mosè divenne paziente, rispettoso e umile, “...un uomo molto mansueto, più d’ogni altro uomo sulla faccia della terra” (Numeri 12:3), ma anche dotato di una forte fede nel potente Dio di Giacobbe.PP 207.1

    Per anni, mentre vagava con il gregge in quei luoghi solitari, meditò sulle condizioni degli ebrei oppressi. Ricordava il patto di alleanza che aveva unito Dio ai suoi padri e le promesse che costituivano l’eredità del popolo eletto: pregava il Signore giorno e notte per la liberazione d’Israele. Gli angeli lo circondavano della loro luce. Allora, ispirato dallo Spirito Santo, egli scrisse il libro della Genesi. I lunghi anni trascorsi in solitudine furono una grande benedizione non solo per Mosè e il suo popolo, ma per tutta l’umanità e per sempre.PP 207.2

    “Or nel corso di quel tempo, che fu lungo, avvenne che il re d’Egitto morì, e i figliuoli d’Israele sospiravano a motivo della schiavitù, e alzavan delle grida; e le grida che il servaggio strappava loro salirono a Dio. E Dio udì i loro gemiti; e Dio si ricordò del patto con Abrahamo, con Isacco e con Giacobbe. E Dio vide i figliuoli d’Israele, e Dio ebbe riguardo alla loro condizione”. Esodo 2:23-25. Il tempo della liberazione d’Israele era giunto: Dio avrebbe realizzato il suo piano schiacciando l’orgoglio degli uomini.PP 207.3

    Il liberatore sarebbe stato un umile pastore con in mano un semplice bastone, che Dio avrebbe trasformato in un simbolo della sua potenza. Un giorno, mentre Mosè faceva pascolare il suo gregge vicino a Horeb, “la montagna di Dio”, vide un arbusto in fiamme: i rami, le foglie e il tronco, benché in fiamme, sembrava non si consumassero. Si avvicinò per osservare quello spettacolo insolito e una voce che proveniva dalle fiamme lo chiamò per nome. Con voce tremante egli rispose: “Eccomi”. Gli fu detto di non avvicinarsi con un atteggiamento di curiosità profana. “...Non t’avvicinar qua; togliti i calzari dai piedi, perché il luogo sul quale stai, è suolo sacro... Io sono l’Iddio di tuo padre, l’Iddio d’Abrahamo, l’Iddio d’Isacco e l’Iddio di Giacobbe”. Era colui che, in veste di Angelo del patto, si era rivelato ai suoi padri nei secoli passati. “E Mosè si nascose la faccia, perché avea paura di guardare Iddio”. Esodo 3:5, 6.PP 208.1

    Tutti coloro che si presentano davanti a Dio devono avere un atteggiamento umile e rispettoso. Nel nome di Gesù possiamo avvicinarci al Signore con fiducia ma non per questo dobbiamo nutrire sentimenti irriverenti o presuntuosi, come se Egli fosse al nostro stesso livello. Alcuni si rivolgono al Dio grande, onnipotente e santo, che abita in una luce inaccessibile, come se avessero a che fare con un loro simile, o perfino con un essere a loro inferiore.PP 208.2

    Altri, nel luogo di culto si comportano come certo non si permetterebbero nella sala di udienza di un sovrano terreno. Queste persone dovrebbero ricordare che si trovano alla presenza di colui che viene adorato dai serafini, davanti al quale gli angeli si velano il volto, in segno di adorazione. A Dio deve essere manifestato profondo rispetto. Tutti coloro che sono realmente coscienti della sua presenza si inchineranno con umiltà davanti a lui. Come Giacobbe, quando contemplò la visione di Dio, essi esclameranno: “...Com’è tremendo questo luogo! Questa non è altro che la casa di Dio, e questa è la porta del cielo!” Genesi 28:17.PP 208.3

    Mosè ascoltava con atteggiamento devoto, e la voce di Dio continuò: “...Ho veduto, ho veduto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto, e ho udito il grido che gli strappano i suoi angariatori; perché conosco i suoi affanni; e sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani, e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese ove scorre il latte e il miele... Or dunque vieni, e io ti manderò a Faraone perché tu faccia uscire il mio popolo, i figlioli d’Israele, dall’Egitto”. Esodo 3:7-10.PP 208.4

    Sorpreso e spaventato da quell’ordine, Mosè replicò dicendo: “...Chi son io per andare da Faraone e per trarre i figliuoli d’Israele dall’Egitto?” La risposta fu: “Va’, perché io sarò teco; e questo sarà per te il segno che son io che t’ho mandato: quando avrai tratto il popolo dall’Egitto, voi servirete Iddio su questo monte”. Esodo 3:11, 12.PP 209.1

    Al pensiero delle difficoltà che avrebbe incontrato, della cecità, dell’ignoranza e dell’incredulità del suo popolo, che ormai non si ricordava più del suo Dio, Mosè disse: “Ecco, quando sarò andato dai figliuoli d’Israele e avrò detto loro: l’Iddio dei vostri padri m’ha mandato da voi, se essi mi dicono: Qual è il suo nome? che risponderò loro?” Ma la voce rispose: “Io sono quegli che sono... Dirai così ai figliuoli d’Israele: “L’Io sono m’ha mandato da voi”. Esodo 3:13, 14.PP 209.2

    Mosè ricevette l’ordine di riunire innanzi tutto gli anziani d’Israele, i più onesti, coloro che avevano sofferto a lungo per la schiavitù, e di annunciare loro il messaggio di Dio e la promessa della liberazione. In un secondo tempo, egli si sarebbe recato insieme a loro dal sovrano, a cui avrebbe rivolto questo appello: “...L’Eterno, l’Iddio degli Ebrei, ci è venuto incontro; or dunque, lasciaci andare tre giornate di cammino nel deserto, per offrir sacrifizi all’Eterno, all’Iddio nostro”. Esodo 3:18.PP 209.3

    Mosè fu avvertito dei problemi che il faraone avrebbe creato per non concedere agli israeliti di lasciare l’Egitto; tuttavia non si doveva scoraggiare: questo avrebbe permesso a Dio di manifestare il suo potere sia agli egiziani sia al suo popolo. “E io stenderò la mia mano e percoterò l’Egitto con tutti i miracoli che io farò in mezzo ad esso; e, dopo questo, vi lascerà andare”. Esodo 3:20. Oltre a queste parole, Dio gli diede delle direttive sui preparativi da attuare in vista dell’esodo. Egli dichiarò: “...E avverrà che quando ve ne andrete, non ve ne andrete a mani vuote; ma ogni donna domanderà alla sua vicina e alla sua casigliana degli oggetti d’argento, degli oggetti d’oro e dei vestiti”. Esodo 3:21, 22. Gli egiziani si erano arricchiti con il lavoro che avevano ingiustamente imposto agli israeliti: al momento della partenza per la loro patria essi avrebbero reclamato con pieno diritto la ricompensa di tanti anni di duro lavoro. Avrebbero richiesto oggetti di valore, perché facilmente trasportabili: da parte sua, Dio avrebbe suscitato negli egiziani una risposta favorevole agli ebrei. I potenti miracoli operati per la liberazione del popolo avrebbero terrorizzato gli oppressori, che così avrebbero acconsentito alle richieste degli schiavi.PP 209.4

    Mosè, però, vedeva davanti a sé ostacoli insormontabili. Come avrebbe potuto convincere il suo popolo che era stato realmente Dio a mandarlo? “Ma ecco” disse “essi non mi crederanno e non ubbidiranno alla mia voce, perché diranno: l’Eterno non t’è apparso”. Esodo 4:1. Gli fu allora offerta una dimostrazione che faceva appello direttamente ai suoi sensi. Dio gli chiese di gettare il suo bastone a terra e appena Mosè lo fece “...esso diventò un serpente; e Mosè fuggì d’innanzi a quello”. Esodo 4:3. Poi gli ordinò di riprenderlo e tra le sue mani si ritrasformò in un bastone.PP 210.1

    Allora Dio gli chiese di appoggiare la mano sul petto; egli ubbidì, ed “...ecco che la mano era lebbrosa, bianca come neve”. Esodo 4:6. Dio gli ordinò di ripetere il gesto e quando egli ebbe tirato fuori la mano dalla tunica vide che era ritornata come l’altra. Il Signore assicurò a Mosè che questi segni avrebbero convinto il popolo d’Israele e il faraone che un Essere più potente del re d’Egitto si stava manifestando in mezzo a loro.PP 210.2

    Mosè era sopraffatto dal pensiero degli strani e meravigliosi miracoli che aveva visto. Preoccupato e impaurito, presentò come ulteriore pretesto la sua difficoltà a parlare con prontezza: “Ahimè, Signore, io non sono un parlatore; non lo ero in passato, e non lo sono da quando tu hai parlato al tuo servo; giacché io sono tardo di parola e di lingua”. Esodo 4:10. Egli era stato per così tanto tempo lontano dall’Egitto che aveva perso l’uso corretto della lingua del paese.PP 210.3

    Il Signore gli disse: “Chi ha fatto la bocca dell’uomo? O chi rende muto o sordo o veggente o cieco? Non son io, l’Eterno?” E poi aggiunse un’altra promessa di aiuto: “Or dunque va’, e io sarò con la tua bocca, e t’insegnerò quello che dovrai dire”. Esodo 4:11, 12. Nonostante tutto questo, Mosè pensava ancora che Dio avrebbe potuto scegliere una persona più competente. All’inizio, le sue esitazioni erano state suggerite dall’umiltà e dall’insicurezza. Tuttavia, dopo che il Signore aveva promesso di risolvere ogni difficoltà e assicurargli il successo, ogni ulteriore riluttanza e protesta di inadeguatezza apparvero come un atto di sfiducia nei confronti di Dio. Un atteggiamento simile sembrava suggerito solo dal timore che il Signore non avesse la capacità di qualificarlo per la grande missione a cui lo aveva chiamato, o che scegliendolo avesse commesso un errore.PP 210.4

    L’Eterno disse allora a Mosè di rivolgersi ad Aronne, suo fratello maggiore, che aveva una perfetta padronanza della lingua egiziana. Dopo avergli annunciato che si era già messo in viaggio per incontrarlo, gli ordinò categoricamente: “Tu gli parlerai, e gli metterai le parole in bocca; io sarò con la tua bocca e con la bocca sua, e v’insegnerò quello che dovrete fare. Egli parlerà per te al popolo; e così ti servirà di bocca, e tu sarai per lui come Dio. Or prendi in mano questo bastone col quale farai i prodigi”. Esodo 4:15-17. Così Mosè non poté più replicare: ogni argomentazione che avrebbe potuto giustificare il suo rifiuto era stata respinta.PP 210.5

    Quando Mosè ricevette l’ordine divino era sfiduciato, insicuro e aveva difficoltà ad esprimersi: all’idea di essere il portavoce di Dio per Israele, fu sopraffatto dalla consapevolezza della propria incapacità. Tuttavia, una volta accettato il compito, si dedicò ad esso con tutto se stesso: aveva una grande fiducia nel Signore. L’importanza di quella missione fu uno stimolo per lo sviluppo di tutte le sue migliori facoltà. Dio lo benedisse per la sua pronta ubbidienza ed egli divenne eloquente, ottimista e sicuro di sé, pronto per la più grande opera mai affidata a un uomo. Il suo esempio indica ciò che Dio fa per rafforzare il carattere di coloro che si affidano completamente a lui e ubbidiscono ai suoi ordini senza riserve.PP 211.1

    L’uomo diventa più capace ed efficiente se accetta le responsabilità che Dio gli affida e cerca con tutto il suo impegno di acquisire le facoltà adatte a esercitarle nel modo migliore. Per quanto umile o limitato possa essere per posizione o capacità, colui che ripone la sua fiducia nella forza divina, cercando di compiere il proprio dovere con fedeltà, raggiungerà la vera grandezza. Se Mosè avesse contato sulla propria forza e sulla propria saggezza e avesse accettato per ambizione il suo grande incarico, avrebbe dimostrato di non essere adatto per quella missione. Colui che avverte la propria debolezza, dimostra di rendersi conto della grandezza dell’opera affidatagli; egli troverà in Dio la sua guida e la sua forza.PP 211.2

    Mosè tornò dal suocero e gli espresse il desiderio di andare dai suoi fratelli, in Egitto. Iethro acconsentì e lo benedisse dicendogli: “Va’ in pace”. Mosè intraprese il viaggio con la moglie e i bambini. Non aveva avuto il coraggio di spiegare loro l’obiettivo della sua missione, per paura che essi non accettassero di seguirlo. Prima di raggiungere l’Egitto pensò tuttavia che sarebbe stato più prudente rimandarli a casa, a Madian.PP 211.3

    Un segreto terrore del faraone e degli egiziani, dei quali aveva provocato il rancore quarant’anni prima, aveva reso Mosè ancora più riluttante a ritornare in Egitto; ma dopo la sua decisione di ubbidire all’ordine divino, il Signore gli aveva rivelato che i suoi nemici erano ormai morti.PP 211.4

    Lungo la strada che da Madian lo avrebbe condotto in Egitto, Mosè ricevette un terribile e inquietante avvertimento della disapprovazione di Dio. Un angelo gli apparve, con un atteggiamento così minaccioso che sembrava volesse ucciderlo. Non vi furono ulteriori spiegazioni, ma Mosè ricordò di aver trascurato una richiesta di Dio: dietro le insistenze della moglie non aveva circonciso i suoi figli più piccoli, non adempiendo così alla condizione che avrebbe loro permesso di partecipare alle benedizioni del patto di Dio con il suo popolo. Una negligenza simile da parte di colui che era stato scelto come guida d’Israele avrebbe limitato l’importanza di questa prescrizione agli occhi del popolo. Sefora stessa, temendo per la vita di suo marito, eseguì il rito e l’angelo permise a Mosè di continuare il suo viaggio. Nella sua missione presso il faraone egli si sarebbe esposto a gravi pericoli; la certezza della sua sopravvivenza era legata unicamente alla protezione degli angeli di Dio. Se avesse trascurato di adempiere un dovere di cui era consapevole non sarebbe stato al sicuro, né avrebbe beneficiato di quella protezione.PP 211.5

    Poco prima del ritorno del Cristo, in un periodo di difficoltà, le persone che si saranno comportate correttamente saranno protette dalla morte grazie all’intervento degli angeli; per coloro che trasgrediscono la legge di Dio, invece, non vi è possibilità di salvezza. Gli angeli non possono difendere chi trascura anche uno solo degli insegnamenti divini.PP 212.1

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