Loading...
Larger font
Smaller font
Copy
Print
Contents
Patriarchi e profeti - Contents
  • Results
  • Related
  • Featured
No results found for: "".
  • Weighted Relevancy
  • Content Sequence
  • Relevancy
  • Earliest First
  • Latest First
    Larger font
    Smaller font
    Copy
    Print
    Contents

    Capitolo 17: L’esilio di Giacobbe

    Minacciato di morte dalla collera di Esaù, Giacobbe abbandonò la casa paterna come un fuggiasco; portava tuttavia con sé la benedizione del padre. Isacco gli aveva infatti confermato la promessa dell’alleanza divina e, come suo erede, gli aveva imposto di cercare una moglie presso la famiglia di sua madre, in Mesopotamia. Egli intraprese il suo viaggio solitario portando con sé soltanto un bastone, oppresso da una profonda angoscia. Doveva percorrere centinaia di chilometri attraverso paesi abitati da tribù barbare e nomadi. Tormentato dal rimorso e dalla paura di essere raggiunto dal fratello infuriato, cercò di evitare ogni contatto umano; temeva infatti di aver perso definitivamente le benedizioni che Dio si era proposto di concedergli; Satana incalzava perseguitandolo con le sue insinuazioni.PP 152.1

    Alla fine del secondo giorno di fuga era già lontano dalle tende di suo padre; si sentiva esiliato e riconobbe che tutti i suoi problemi erano una conseguenza del suo errore. Vittima della disperazione, quasi non osava pregare: ma fu in questa terribile solitudine che avvertì, come mai prima, la necessità della protezione di Dio. Si umiliò profondamente e piangendo confessò il suo peccato, implorando un segno della protezione divina. Il suo cuore tormentato non riusciva a trovare conforto. Aveva perso completamente la fiducia in se stesso e temeva che il Dio dei suoi padri lo avesse ormai abbandonato.PP 152.2

    Il Signore, tuttavia, non aveva dimenticato Giacobbe: la sua misericordia avrebbe ancora protetto il suo servitore disorientato e sfiduciato. Il Signore pietosamente gli rivelò ciò di cui aveva bisogno: un Salvatore. Egli aveva peccato, ma non appena vide che Dio gli rivelava un modo per riacquistare il suo favore, provò un forte sentimento di gratitudine.PP 152.3

    Stanco per il cammino, il viandante si sdraiò sulla nuda terra e posò la testa su una pietra. Durante il sonno vide una scala luminosa e splendente, che collegava il cielo con la terra; gli angeli salivano e scendevano e in cima c’era il Signore della gloria, che dal cielo pronunciò queste parole: “...Io sono l’Eterno, l’Iddio d’Abrahamo tuo padre e l’Iddio di Isacco...”. Genesi 28:13. La terra su cui egli riposava come fuggiasco ed esule venne promessa a lui e alla sua progenie con questo impegno: “...tutte le famiglie della terra saranno benedette in te...”. Genesi 28:14. La promessa annunciata ad Abramo e Isacco ora era stata rinnovata a Giacobbe. In quel momento di particolare solitudine e tristezza egli ricevette inoltre questo messaggio di conforto e di incoraggiamento: “Ed ecco, io son teco, e ti guarderò dovunque tu andrai, e ti ricondurrò in questo paese; poiché io non ti abbandonerò prima d’aver fatto quello che t’ho detto”. Genesi 28:15.PP 152.4

    Il Signore conosceva gli influssi negativi che avrebbero circondato Giacobbe e i pericoli a cui sarebbe stato esposto e nella sua bontà gli svelò il futuro. Pentito, egli avrebbe potuto comprendere il piano che Dio aveva per lui ed essere quindi pronto a resistere alle tentazioni future, soprattutto nel momento in cui si fosse trovato tra uomini astuti e dediti al culto delle divinità pagane. Così avrebbe sempre avuto presente davanti a lui l’alto ideale a cui doveva tendere e la consapevolezza di essere uno strumento per la realizzazione del piano di Dio lo avrebbe sempre aiutato a rimanere fedele.PP 153.1

    In questa visione era stato presentato a Giacobbe il piano della salvezza, non in maniera completa ma comunque in tutti gli elementi essenziali per lui e per il suo tempo. La scala mistica apparsagli in sogno era la stessa a cui il Cristo si riferì nella conversazione con Natanaele quando disse: “...Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figliuol dell’uomo”. Giovanni 1:51. Prima della ribellione di Adamo contro l’autorità divina, Dio e l’uomo potevano comunicare liberamente; il peccato di Adamo ed Eva separò la terra dal cielo e precluse questa comunione. Il mondo non fu comunque abbandonato: la scala infatti rappresenta Gesù, colui che con i suoi meriti ha gettato un ponte fra Dio e l’uomo, superando l’abisso aperto dal male; senza di lui, gli angeli non avrebbero potuto realizzare nessun contatto con gli uomini decaduti. È il Cristo che unisce l’uomo, debole e senza alcuna speranza, alla sorgente della potenza infinita. Tutto questo era stato rivelato a Giacobbe in sogno. Sebbene egli avesse compreso solo una parte della rivelazione, queste grandi e misteriose verità furono l’oggetto delle sue riflessioni per tutta la vita e la sua comprensione divenne sempre più chiara.PP 153.2

    Quando Giacobbe si svegliò, era notte fonda e si ritrovò immerso in un profondo silenzio. Lo scenario luminoso della sua visione era scomparso. Riuscì a scorgere solo il vago profilo delle colline e, in alto, un cielo terso e stellato. Aveva avuto la chiara sensazione che Dio fosse con lui. Non era più solo. “...Certo, l’Eterno è in questo luogo” disse “e io non lo sapevo... Questa non è altro che la casa di Dio, e questa è la porta del cielo”. Genesi 28:16, 17.PP 153.3

    “E Giacobbe si levò la mattina di buon’ora, prese la pietra che avea posta come suo capezzale, la eresse in monumento, e versò dell’olio sulla sommità d’essa”. Genesi 28:18. Era consuetudine commemorare gli eventi importanti: Giacobbe eresse allora un memoriale, in ricordo della misericordia di Dio, in modo che ogni volta che fosse passato di là, si sarebbe fermato in quel luogo sacro per adorare il Signore. Chiamò quel posto Bethel, cioè “casa di Dio”. Ripeté con profonda gratitudine la promessa secondo la quale Dio lo avrebbe accompagnato e poi fece un giuramento solenne: “Se Dio è meco, se mi guarda durante questo viaggio che fo, se mi dà pane da mangiare e vesti da coprirmi, e se ritorno sano e salvo alla casa del padre mio, l’Eterno sarà il mio Dio; e questa pietra che ho eretta in monumento, sarà la casa di Dio; e di tutto quello che tu darai a me, io, certamente, darò a te la decima”. Genesi 28:20-22.PP 154.1

    Giacobbe non stava cercando di trattare con Dio. Il Signore gli aveva già promesso la ricchezza. Il suo giuramento era l’espressione di un animo pieno di gratitudine per la certezza dell’amore e della misericordia divini. Aveva compreso che Dio voleva che egli riconoscesse di avere una missione speciale da compiere e offrisse una risposta ai segni evidenti della benevolenza che Dio gli aveva manifestato.PP 154.2

    Allo stesso modo, ogni benedizione che ci viene offerta richiede una risposta a Dio. Il cristiano dovrebbe riconsiderare spesso la sua vita passata, per ricordare con gratitudine le preziose liberazioni che il Signore ha realizzato in suo favore, sostenendolo nella prova, suggerendogli una via di uscita quando tutto sembrava impossibile e oscuro, rincuorandolo quando stava per scoraggiarsi. Egli dovrebbe riconoscere che tutto ciò dimostra la protezione degli angeli di Dio. Consapevole di queste innumerevoli benedizioni dovrebbe domandarsi spesso con umiltà e gratitudine: “Che renderò io all’Eterno? tutti i suoi benefizi son sopra me”. Salmi 116:12.PP 154.3

    Il nostro tempo, le nostre capacità, i nostri beni, devono essere consacrati a colui che ci ha offerto queste benedizioni perché le amministriamo. Una liberazione speciale realizzata in nostro favore, dei benefici nuovi e inattesi dovrebbero farci riconoscere la bontà di Dio; la nostra gratitudine deve essere espressa non solo a parole ma anche, come fece Giacobbe, tramite doni e offerte per la sua opera. Infatti, mentre riceviamo le benedizioni di Dio dobbiamo, continuamente, donare qualcosa.PP 154.4

    “Di tutto quello che tu darai a me” disse Giacobbe “io, certamente, darò a te la decima”. Genesi 28:22. Noi che possiamo godere della completa rivelazione del messaggio del Vangelo potremo essere soddisfatti di offrire a Dio meno di coloro che avevano ricevuto una conoscenza parziale? Dal momento che godiamo di maggiori benedizioni, i nostri obblighi non aumentano forse in maniera proporzionata? Come sono miseri i nostri calcoli! È del tutto inutile sforzarsi di misurare con criteri matematici il tempo, il denaro e la dedizione e contrapporli a un amore così grande, a un dono di valore inestimabile. Delle decime per il Cristo: che ricompensa miserabile per un sacrificio infinito! Dalla croce del Calvario, il Cristo ci richiede una consacrazione totale. Tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che siamo, deve essere consacrato a Dio.PP 154.5

    Con una fede nuova e salda nelle promesse divine, rassicurato dalla presenza e dalla protezione degli angeli, Giacobbe continuò il suo viaggio “...e andò nel paese degli Orientali”. Genesi 29:1. Il suo arrivo fu molto diverso da quello del messaggero di Abramo, avvenuto quasi cento anni prima. Il servo vi era giunto con un seguito, su dei cammelli, con ricchi doni d’oro e argento; il figlio di Isacco invece era solo, un semplice viandante con un bastone come unica proprietà. Come il servo di Abramo, Giacobbe si fermò accanto a un pozzo e lì incontrò Rachele, la figlia minore di Labano. Questa volta fu Giacobbe che rese un servizio: rotolò la pietra del pozzo e fece abbeverare il gregge; svelò quindi la sua parentela e fu accolto nella casa di Labano. Sebbene egli fosse giunto inatteso e senza dote dopo poche settimane, in cui egli dimostrò serietà e un’abilità notevoli, gli fu chiesto con insistenza di rimanere e fu stabilito che avrebbe lavorato sette anni per Labano in cambio della mano di Rachele.PP 155.1

    Anticamente la tradizione prevedeva che prima della stipulazione di un contratto di matrimonio venisse pagata al padre della sposa una somma di denaro o un equivalente, secondo la situazione, a titolo di garanzia. I padri non ritenevano prudente affidare la felicità delle loro figlie a uomini che non avevano risparmiato nulla in vista del sostentamento di una famiglia.PP 155.2

    Se essi non dimostravano di essere sufficientemente economi e intraprendenti nell’amministrare i loro affari o nell’acquistare terre e bestiame forse avrebbero dovuto affrontare una vita miserabile. A coloro che non possedevano alcun bene venivano concesse delle particolari condizioni per il pagamento della dote: si permetteva che lavorassero per il padre della ragazza che amavano, per un periodo di tempo proporzionale al valore della dote richiesta.PP 155.3

    Quando il corteggiatore svolgeva il lavoro in maniera scrupolosa, e dava quindi prova di essere una persona degna, riceveva la fanciulla in sposa; generalmente la dote ricevuta dal padre veniva consegnata alla figlia al momento del matrimonio. Nel caso di Rachele e di Lea, Labano, egoisticamente, trattenne la dote che doveva essere loro concessa; esse si riferivano a questo quando dissero, poco prima di lasciare la Mesopotamia: “...ci ha vendute e ha per di più mangiato il nostro danaro”. Genesi 31:15.PP 155.4

    L’antica usanza, benché presentasse rischi di abusi, aveva una sua logica. Quando veniva chiesto al giovane di lavorare per ottenere la sposa, non solo si impediva un matrimonio affrettato, ma veniva messa alla prova la serietà dei suoi sentimenti e la sua capacità di provvedere il necessario per la famiglia. Oggi molti problemi nascono a causa di abitudini diverse. Spesso, prima del matrimonio, ci sono poche possibilità di conoscere bene le reciproche usanze e i rispettivi temperamenti: quando due persone si sposano, in realtà, nella vita di tutti i giorni sono per lo più degli estranei. Molti si rendono conto troppo tardi di non essere adatti a vivere insieme e la conseguenza di questa unione è una vita infelice. Spesso la moglie e i figli soffrono per l’indolenza, l’incapacità o le debolezze del marito e padre. Se, secondo l’antica consuetudine, il corteggiatore fosse messo alla prova prima del matrimonio, si potrebbero evitare questi pericoli.PP 156.1

    Giacobbe compì per Rachele sette anni di servizio fedele che “...gli parvero pochi giorni per l’amore che le portava”. Genesi 29:20. Ma l’egoista e avido Labano ricorse a un inganno crudele per cercare di trattenere un collaboratore così capace, e sostituì Lea a Rachele. Resosi conto della complicità di Lea, Giacobbe sentì che non avrebbe potuto amarla. La sua protesta indignata nei confronti di Labano ebbe come risultato l’offerta di un periodo di altri sette anni di servizio, in cambio di Rachele. Il padre, inoltre, insistette affinché Lea non fosse ripudiata perché ciò avrebbe disonorato la famiglia. Giacobbe quindi si trovò in una situazione molto dolorosa e difficile e alla fine decise di tenere Lea e sposare Rachele. Fu sempre quest’ultima l’unica a essere amata, ma i sentimenti di Giacobbe per lei suscitarono invidia e gelosia e la sua vita fu amareggiata dalla rivalità delle mogli-sorelle.PP 156.2

    Il figlio di Isacco rimase in Mesopotamia per vent’anni, lavorando sempre al servizio di Labano che, incurante del legame di parentela, cercava di trarre il massimo profitto da questa collaborazione. Aveva chiesto a Giacobbe quattordici anni di lavoro per le sue due figlie e nel restante periodo cambiò il suo salario dieci volte; nonostante questo, Giacobbe lavorò sempre con diligenza e fedeltà. Nel suo ultimo colloquio con Labano egli descrisse con chiarezza la cura instancabile con la quale si era occupato degli interessi del suo arrogante padrone, dicendo: “Ecco vent’anni che sono stato con te; le tue pecore e le tue capre non hanno abortito, e io non ho mangiato i montoni del tuo gregge. Io non t’ho mai portato quel che le fiere aveano squarciato; n’ho subito il danno io; tu mi ridomandavi conto di quello ch’era stato rubato di giorno o rubato di notte. Di giorno, mi consumava il caldo; di notte, il gelo; e il sonno fuggiva dagli occhi miei”. Genesi 31:38-40.PP 156.3

    Era necessario, infatti, che il pastore sorvegliasse il gregge giorno e notte. Esisteva il pericolo dei ladri, delle numerose bestie feroci, che provocavano vere stragi quando gli animali non erano sufficientemente sorvegliati. Giacobbe aveva molti uomini che si occupavano delle greggi di Labano, di cui era il diretto responsabile. In alcuni periodi dell’anno era necessario che egli fosse costantemente vicino agli animali per proteggerli nella stagione secca dalla sete e durante i mesi più freddi dal gelo notturno, che poteva risultare fatale. Giacobbe era il capo dei pastori, a cui ubbidivano tutti gli altri guardiani. Se si smarriva anche una sola pecora, ricadeva su di lui la responsabilità del risarcimento. Egli convocava, per ricevere resoconti dettagliati, tutti i servi a cui aveva affidato la cura del gregge, ogni volta che non lo trovava in buone condizioni.PP 157.1

    L’esempio della vita del pastore, così diligente e pronto a prendersi cura delle creature indifese affidategli, è stata utilizzata dagli scrittori ispirati per illustrare alcune delle verità più preziose del Vangelo. La figura del Cristo, nel rapporto con il suo popolo, è paragonata a quella di un pastore. Dopo la caduta, Egli vide le sue pecore condannate a soccombere nelle tenebre dell’errore e per salvare questi esseri erranti, abbandonò gli onori e la gloria della casa di suo Padre. Egli dice: “Io cercherò la perduta, ricondurrò la smarrita, fascerò la ferita, fortificherò la malata... io salverò le mie pecore, ed esse non saranno più abbandonate alla rapina... le fiere dei campi non le divoreranno più...”. Ezechiele 34:16, 22, 28. Esse ascoltano la sua voce che le chiama all’ovile, “una tenda per far ombra di giorno e proteggere dal caldo, e per servir di rifugio e d’asilo durante la tempesta e la pioggia”. Isaia 4:6. Cura il gregge senza mai stancarsi, sostiene le pecore deboli, soccorre le sofferenti, tiene gli agnelli tra le sue braccia e li stringe a sé. Le sue pecore lo amano. “Ma un estraneo non lo seguiranno; anzi, fuggiranno via da lui perché non conoscono la voce degli estranei”. Giovanni 10:5.PP 157.2

    Il Cristo dice: “Io sono il buon pastore; il buon pastore mette la sua vita per le pecore. Il mercenario, che non è pastore, a cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore, e si dà alla fuga, e il lupo le rapisce e disperde. Il mercenario si dà alla fuga perché è mercenario e non si cura delle pecore. Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie mi conoscono”. Giovanni 10:11-14.PP 157.3

    Il sommo Pastore, ha affidato la cura del suo gregge ai suoi collaboratori, ai suoi pastori; Egli ordina loro che essi manifestino la sua stessa cura e sentano la sacra responsabilità del compito loro affidato. Egli ha solennemente ordinato che siano fedeli, che nutrano il gregge e rafforzino i deboli, rincuorino gli scoraggiati e li proteggano dai “lupi rapaci”.PP 158.1

    Per salvare le sue pecore il Cristo ha dato la sua vita: questo suo amore costituisce un esempio per i suoi pastori. Ma “il mercenario... a cui non appartengono le pecore” in realtà non ha cura del gregge, lavora per un salario e si preoccupa solo di se stesso, del suo interesse; quando c’è un pericolo, fugge e abbandona il gregge.PP 158.2

    L’apostolo Pietro ammonisce i pastori con queste parole: “Pascete il gregge di Dio che è fra voi, non forzatamente, ma volenterosamente secondo Dio; non per un vil guadagno, ma di buon animo e non come signoreggiando quelli che vi son toccati in sorte, ma essendo gli esempi del gregge”. 1 Pietro 5:2, 3. Paolo dice: “Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, la quale Egli ha acquistata col proprio sangue. Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi de’ lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge”. Atti 20:28, 29.PP 158.3

    Tutti coloro che considerano un compito sgradevole le cure e gli obblighi che ricadono su molti fedeli pastori, sono rimproverati da queste parole dell’apostolo: “Pascete il gregge... non forzatamente, ma volenterosamente secondo Dio; non per un vil guadagno, ma di buon animo”. 1 Pietro 5:2. Il Pastore supremo farebbe volentieri a meno di questi collaboratori infedeli. La chiesa del Cristo è stata acquistata con il suo sangue e ogni pastore deve comprendere che le pecore di cui ha cura sono costate grandi sacrifici. Deve ricordarsi che ognuna di esse ha un prezzo inestimabile e impegnarsi instancabilmente affinché godano di buona salute e si sviluppino. Il pastore, che beneficia dell’influsso del Cristo, imiterà il suo esempio di generosità orientando ogni sua azione allo scopo di proteggere e far prosperare quanto gli è stato affidato; sotto la sua cura il gregge crescerà.PP 158.4

    Ognuno dovrà offrire un resoconto minuzioso del suo mandato. Il Signore domanderà a ogni pastore: “...Dov’è il gregge, il magnifico gregge, che t’era stato dato?” Geremia 13:20. Se sarà trovato fedele, egli riceverà una ricca ricompensa. “...Quando sarà apparito il sommo Pastore, otterrete la corona della gloria che non appassisce”. 1 Pietro 5:4.PP 158.5

    Quando Giacobbe, ormai stanco di servire Labano, chiese di tornare in Canaan disse a suo suocero: “...Dammi licenza, ch’io me ne vada a casa mia, nel mio paese. Dammi le mie mogli, per le quali t’ho servito, e i miei figliuoli; e lasciami andare; poiché tu ben conosci il servizio che t’ho prestato”. Genesi 30:25, 26. Ma Labano insistette per farlo rimanere, dicendo: “...Credo indovinare che l’Eterno mi ha benedetto per amor tuo”. Genesi 30:27. Labano, infatti, aveva constatato che le sue proprietà erano aumentate da quando suo genero se ne occupava. Giacobbe disse: “...Quel che avevi prima ch’io venissi, era poco; ma ora s’è accresciuto oltremodo”. Genesi 30:30.PP 158.6

    Il tempo passò. Labano invidiò le ricchezze di Giacobbe che “...diventò ricco oltremodo, ed ebbe greggi numerosi, serve, servi, cammelli e asini”. Genesi 30:43. I figli di Labano notarono la gelosia del padre, e i loro discorsi maligni giunsero fino alle orecchie di Giacobbe. Egli “...Ha tolto tutto quello che era di nostro padre” dicevano “con quello ch’era di nostro padre, s’è fatto tutta questa ricchezza. Giacobbe osservò pure il volto di Labano; ed ecco, non era più, verso di lui, quello di prima”. Genesi 31:1, 2.PP 159.1

    Se non fosse stato per il timore di incontrare Esaù, Giacobbe avrebbe abbandonato da molto tempo il suo scaltro parente. Ma ora si era accorto che il pericolo proveniva anche dai figli di Labano, che ritenendo le sue ricchezze di loro proprietà avrebbero potuto rivendicarle con la forza. Era molto preoccupato e non sapeva cosa fare. In quel momento di difficoltà si ricordò della promessa ricevuta a Bethel e presentò la sua situazione a Dio per chiedergli un consiglio. La sua preghiera fu esaudita da un sogno in cui il Signore gli disse: “...Torna al paese de’ tuoi padri e al tuo parentado; e io sarò teco”. Genesi 31:3.PP 159.2

    Un’assenza di Labano offrì l’occasione per la partenza. I greggi e le mandrie furono rapidamente riuniti e mandati avanti, mentre Giacobbe attraversava l’Eufrate con le mogli, i figli e i servi per raggiungere il paese di Galaad, al confine di Canaan. Dopo tre giorni, Labano fu informato della fuga e partì all’inseguimento, raggiungendo il gruppo dopo sette giorni di viaggio. Era molto contrariato ed era anche deciso a costringerli a tornare; riteneva di poter realizzare questo obiettivo perché il suo gruppo era molto più agguerrito. Sui fuggitivi incombeva quindi un grave pericolo.PP 159.3

    Se Labano non riuscì a perseguire il suo scopo, fu solo perché Dio stesso intervenne per proteggere Giacobbe. “... È in poter mio farvi del male” disse Labano “ma l’Iddio del padre vostro mi parlò la notte scorsa dicendo: Guardati dal parlare a Giacobbe, né in bene ne in male”. Genesi 31:29. In altre parole: non lo costringere a tornare e non lo tentare con proposte lusinghiere.PP 159.4

    Labano aveva negato la dote alle sue figlie e aveva sempre trattato Giacobbe con asprezza e malizia; ma ora, con la sua abituale falsità, lo rimproverava per la sua partenza segreta che non gli aveva concesso, come padre, l’opportunità di organizzare una festa di addio e salutare le sue figlie e i loro bambini.PP 159.5

    In risposta, Giacobbe denunciò con chiare parole l’atteggiamento egoistico e avido di Labano, che invitò a testimoniare della sua fedeltà e onestà. “Se l’Iddio di mio padre, l’Iddio d’Abrahamo e il Terrore di Isacco non fosse stato meco” disse Giacobbe “certo tu m’avresti ora rimandato a vuoto. Iddio ha veduto la mia afflizione e la fatica delle mie mani, e la notte scorsa ha pronunziato la sua sentenza”. Genesi 31:42.PP 160.1

    Labano non poteva negare questi fatti e perciò propose di stringere un patto di pace. Giacobbe acconsentì e come segno dell’alleanza fu eretto un tumulo di pietre a cui Labano diede il nome di Mitspa, cioè “torre di vedetta”, dicendo: “L’Eterno tenga l’occhio su me e su te quando non ci potremo vedere l’un l’altro”. Genesi 31:49.PP 160.2

    “Labano disse ancora a Giacobbe: Ecco questo mucchio di pietre, ed ecco il monumento che ho eretto fra me e te. Sia questo mucchio un testimonio... che io non passerò oltre questo mucchio per andare a te e che tu non passerai oltre questo mucchio e questo monumento, per far del male. L’Iddio d’Abrahamo e l’Iddio di Nahor, l’Iddio del padre loro, sia giudice fra noi! E Giacobbe giurò per il Terrore d’Isacco suo padre”. Genesi 31:51-53. Per confermare il patto fu indetta una festa e la notte venne trascorsa in comunione fraterna. All’alba Labano partì insieme al suo gruppo. Con questa separazione cessò ogni rapporto tra i discendenti di Abramo e gli abitanti della Mesopotamia.PP 160.3

    Larger font
    Smaller font
    Copy
    Print
    Contents