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Patriarchi e profeti - Contents
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    Capitolo 25: L’esodo

    Tutto era pronto per la partenza. Il popolo d’Israele, con i sandali ai piedi e il bastone in mano, aspettava con timore, in silenzio, l’ordine del faraone. Prima dell’alba, gli ebrei erano già in viaggio. La potenza che Dio aveva manifestato attraverso le piaghe, aveva acceso la fede nei cuori degli schiavi e riempito di terrore gli oppressori. Gli israeliti si erano riuniti nella terra di Goscen. Sapendo di dover fuggire all’improvviso, essi si erano già organizzati perché l’esodo dall’Egitto avvenisse in modo ordinato: l’immensa folla fu divisa in squadre, dirette da responsabili designati.PP 232.1

    Partirono “...in numero di circa seicentomila uomini a piedi, senza contare i fanciulli. E una folla di gente d’ogni specie salì anch’essa con loro...”. Esodo 12:37, 38.PP 232.2

    In questa folla, non vi erano soltanto persone animate dalla fede nel Dio d’Israele, ma anche degli opportunisti, il cui principale interesse era evitare le piaghe. Altri erano spinti semplicemente dalla curiosità o dal desiderio di avventura. Questi elementi rappresentarono sempre un pericolo e un impedimento per gli israeliti.PP 232.3

    Il popolo prese con sé anche “...greggi, armenti, bestiame in grandissima quantità”. Esodo 12:38. A differenza degli egiziani, gli ebrei non avevano venduto le loro proprietà al sovrano. Giacobbe e i suoi figli avevano portato in Egitto i loro greggi e le loro mandrie, che là si erano moltiplicati notevolmente. Prima di lasciare l’Egitto, il popolo chiese una ricompensa per il suo lavoro, che non era mai stato pagato; gli egiziani, impazienti di farlo partire, accettarono la richiesta. Così gli schiavi partirono con le ricchezze dei loro oppressori.PP 232.4

    In quel giorno si realizzò la profezia che era stata rivelata ad Abramo in visione, quattrocento anni prima: “...Sappi per certo che i tuoi discendenti dimoreranno come stranieri in un paese che non sarà loro, e vi saranno schiavi, e saranno oppressi per quattrocento anni; ma io giudicherò la gente di cui saranno stati servi; e, dopo questo, se ne partiranno con grandi ricchezze”. Genesi 15:13, 14.3Nascita del popolo d’Israele — In Genesi 15:13 leggiamo che il Signore disse ad Abramo: “Sappi per certo che i tuoi discendenti dimoreranno come stranieri in un paese che non sarà loro, e vi saranno schiavi, e saranno oppressi per quattrocento anni”. Questo testo fa sorgere le seguenti domande: i 400 anni si riferiscono al tempo del soggiorno in Egitto o al tempo dell’afflizione, o a entrambi? Qual è il rapporto fra i 400 anni e i 430 a cui si riferiscono Esodo 12:40, 41 e Galati 3:16, 17? L’affermazione di Esodo 12:40: “Or la dimora che i figli d’Israele fecero in Egitto fu di quattrocentotrent’anni”, dà l’impressione che gli israeliti, dall’ingresso di Giacobbe in Egitto all’esodo, trascorsero effettivamente 430 nei paese del Nilo. E ovvio che questa impressione non può essere corretta se si considera l’interpretazione ispirata di Paolo presentata in Galati 3:16, 17, in cui i 430 anni dovrebbero coprire il periodo che inizia dal momento in cui Dio fece il patto con Abramo fino a quando la legge fu promulgata al Sinai. Sembra che Paolo si riferisca alla prima promessa fatta da Dio ad Abramo quando egli fu chiamato a lasciare Charan. Cfr. Genesi 12:1-3. In quel momento — Abramo aveva 75 anni — iniziarono i 430 anni mentre i 400 anni della profezia di Genesi 15:13 iniziarono 13 anni più tardi, quando Abramo aveva 105 anni e suo figlio Isacco ne aveva 5. Cfr. Genesi 21:5. A quel tempo Ismaele che “...era nato secondo la carne, perseguitava il nato secondo lo spirito...” (Galati 4:29; cfr. Genesi 21:9-11), iniziando il tempo dell’afflizione del seme d’Israele, afflizione che sarebbe continuata ininterrottamente fino al periodo dell’esodo. Isacco non aveva soltanto problemi con il fratellastro Ismaele, ma anche con i filistei (cfr. Genesi 26:15, 20, 21); Giacobbe fuggì per salvarsi dal fratello Esaù (cfr. Genesi 27:41-43) e più tardi da Labano (cfr. Genesi 31:21), e poi fu di nuovo in pericolo con Esaù (cfr. Genesi 32:8); Giuseppe fu venduto come schiavo dai suoi fratelli (cfr. Genesi 37:28) e i figli d’Israele furono oppressi dagli egiziani per decine di anni. Cfr. Esodo 1:14. L’arco di tempo dalla chiamata di Abramo all’ingresso in Egitto di Giacobbe fu di 215 anni, cioè un totale di: a. 25 anni trascorsi fra la chiamata di Abramo e la nascita di Isacco (cfr. Genesi 12:4; Genesi 21:5); b. 60 anni trascorsi fra la nascita d’Isacco e la nascita di Giacobbe (cfr. Genesi 25:26) e c. l’età di Giacobbe al tempo della sua emigrazione in Egitto. Cfr. Genesi 47:9. Gli altri 215 anni che rimangono dei 430 sono il periodo che gli ebrei trascorsero in Egitto. Quindi, i 430 anni di Esodo 12:40 comprendono il soggiorno dei patriarchi in Canaan e quello in Egitto. Sin dai tempi di Mosè la Palestina faceva parte dell’impero egiziano, non è quindi strano trovare che un autore di quel periodo includa Canaan nel termine “Egitto”. I traduttori della versione dei Settanta, sapendo che i 430 anni comprendono il soggiorno dei patriarchi nella terra di Canaan, hanno chiarito questo punto nella traduzione del seguente brano: “E il soggiorno dei figlioli d’Israele, mentre essi soggiornavano nei paesi d’Egitto e di Canaan, fu di quattrocentotrent’anni”. Un’ulteriore prova della validità dell’interpretazione dei 430 anni si trova nella profezia che predice che la quarta generazione di quelli che erano entrati in Egitto l’avrebbero lasciato. Cfr. Genesi 15:16. L’adempimento è riportato in Esodo 6:16-20.PP 232.5

    I quattrocento anni erano trascorsi e “...proprio il giorno che finivano, avvenne che tutte le schiere dell’Eterno uscirono dal paese d’Egitto”. Esodo 12:41.PP 232.6

    Partendo dall’Egitto, gli israeliti portarono con sé un’eredità preziosa: le ossa di Giuseppe, che avevano per così tanto tempo atteso l’adempiersi della promessa di Dio. Durante gli oscuri anni della schiavitù, esse avevano ricordato agli ebrei la promessa della liberazione. Il Signore, invece di guidarli subito verso Canaan, attraversando il paese dei filistei, li fece andare a sud, verso le sponde del mar Rosso. “...Poiché Iddio disse: Bisogna evitare che il popolo, di fronte a una guerra, si penta e torni in Egitto”. Esodo 13:17. Se gli israeliti avessero provato ad attraversare il territorio dei filistei, avrebbero incontrato degli ostacoli. Infatti i filistei, considerandoli schiavi fuggiti dai loro padroni, non avrebbero esitato a combattere contro di loro. Umiliati dalla lunga schiavitù, senza alcuna esperienza di guerra e disarmati, gli ebrei erano ostacolati dalla presenza delle donne, dei bambini e di tutto il bestiame. Israele era dunque del tutto impreparato a misurarsi con una popolazione forte e agguerrita. Inoltre la fiducia degli israeliti in Dio era ancora debole e instabile e ben presto le difficoltà li avrebbero spaventati e scoraggiati. Guidandoli verso il mar Rosso, il Signore dimostrava di essere un Dio misericordioso e non solo un giustiziere.PP 233.1

    “E gl’Israeliti, partiti da Succoth, si accamparono a Ethan, all’estremità del deserto. E l’Eterno andava davanti a loro: di giorno, in una colonna di nuvola per guidarli per il loro cammino; e di notte, in una colonna di fuoco per illuminarli, onde potessero camminare giorno e notte. La colonna di nuvola non si ritirava mai di davanti al popolo di giorno, né la colonna di fuoco di notte”. Esodo 13:20-22. Il salmista dice: “Egli distese una nuvola per ripararli, e accese un fuoco per rischiararli di notte”. Salmi 105:39; cfr. 1 Corinzi 10:1, 2. La bandiera di quell’invisibile condottiero era sempre con loro. Di giorno, durante la marcia, la nuvola li guidava, oppure si stendeva come un baldacchino al di sopra della folla e la proteggeva dal caldo torrido con la sua ombra rinfrescante. Di notte si trasformava in una colonna di fuoco che illuminava l’accampamento, rassicurando gli ebrei della presenza di Dio.PP 233.2

    In uno dei passi più belli e incoraggianti del libro profetico di Isaia, si afferma che la nuvola e la colonna di fuoco rappresentano la cura che Dio avrà del suo popolo durante lo scontro finale contro le potenze del male: “E l’Eterno creerà su tutta la distesa del monte Sion e sulle sue raunanze una nuvola di fumo durante il giorno, e uno splendore di fuoco fiammeggiante durante la notte; poiché, su tutta questa gloria vi sarà un padiglione. E vi sarà una tenda per far ombra di giorno e proteggere dal caldo, e per servir di rifugio e d’asilo durante la tempesta e la pioggia”. Isaia 4:5, 6.PP 233.3

    Camminando attraverso una pianura deserta e incolta, alcuni cominciavano tuttavia a chiedersi quale sarebbe stato l’esito di quell’avventura. La stanchezza per il lungo viaggio fece temere un inseguimento da parte degli egiziani, ma la nuvola continuava a indicare loro il cammino. Ad aggravare queste apprensioni, a un certo punto il Signore ordinò a Mosè di tornare indietro per uno stretto passo roccioso e accamparsi sulla riva del mare. Mosè aveva ricevuto una rivelazione divina: il faraone li avrebbe inseguiti, ma il Signore avrebbe dimostrato la sua grandezza, liberandoli.PP 234.1

    La notizia che gli israeliti si stavano dirigendo verso il mar Rosso, invece di recarsi nel deserto per compiere i loro riti religiosi, si diffuse rapidamente in Egitto. I consiglieri del faraone annunciarono al sovrano che gli schiavi non sarebbero più tornati: gli egiziani non credevano più che la morte dei loro primogeniti fosse stata provocata dalla potenza di Dio e, cessato il timore, alcuni uomini influenti affermarono che le piaghe erano state determinate da cause naturali. Tutti ripetevano con amarezza: “...Che abbiam fatto a lasciar andare Israele, sì che non ci serviranno più?” Esodo 14:5.PP 234.2

    Il faraone organizzò la sue forze, “...seicento carri scelti e tutti i carri d’Egitto...” (Esodo 14:7), cavalieri, capitani e soldati. Egli stesso, accompagnato dai dignitari del regno, guidò l’esercito. Per assicurarsi il favore degli dèi e quindi il successo dell’impresa, anche i sacerdoti si unirono alla spedizione. Il faraone voleva intimorire Israele con un grande dispiegamento di forze: gli egiziani temevano infatti che la loro sottomissione al Dio d’Israele li avrebbe esposti alla derisione delle altre nazioni. Con questa manifestazione di potenza, essi intendevano riconquistare il controllo dei fuggiaschi, per renderli nuovamente schiavi e riottenere il prestigio perduto. Gli ebrei erano accampati davanti al mare, che sembrava costituire una barriera insormontabile da superare. A sud, alte montagne impedivano il cammino. All’improvviso scorsero, in lontananza, il bagliore delle armature e dei carri dell’avanguardia di un grosso esercito che si dirigeva verso di loro. Qualche istante dopo poterono distinguere con chiarezza tutto l’esercito egiziano, impegnato nel loro inseguimento. Gli israeliti furono assaliti dal terrore. Alcuni invocarono il Signore, ma le loro voci vennero soffocate da quelle della maggioranza, che inveì contro Mosè dicendo: “...Mancavan forse sepolture in Egitto, che ci hai menati a morire nel deserto? Perché ci hai fatto quest’azione di farci uscire dall’Egitto? Non è egli questo che ti dicevamo in Egitto: lasciaci stare, che serviamo gli Egiziani? Poiché meglio era per noi servire gli Egiziani che morire nel deserto”. Esodo 14:11, 12.PP 234.3

    In realtà, ciò che preoccupava Mosè era la diffidenza che esprimeva il popolo, nonostante le ripetute ed evidenti manifestazioni della protezione divina. Come potevano rimproverare lui, Mosè, per i pericoli e le difficoltà in cui si trovavano, se egli aveva eseguito un esplicito ordine divino? Solo il Signore poteva intervenire per liberarli. Mosè aveva fiducia in Dio ed era sicuro che avrebbe salvato la sua gente. Egli rispose con calma, rassicurando gli israeliti con queste parole: “...Non temete, state fermi, e mirate la liberazione che l’Eterno compirà oggi per voi; poiché gli Egiziani che avete veduti quest’oggi, non li vedrete mai più in perpetuo. L’Eterno combatterà per voi, e voi ve ne starete quieti”. Esodo 14:13, 14.PP 235.1

    Non fu un’impresa facile, tranquillizzare gli ebrei in attesa dell’intervento di Dio. Privi di disciplina e autocontrollo, essi diventarono violenti e irragionevoli. Erano certi di cadere nelle mani degli oppressori: in preda alla disperazione, incominciarono a gridare e a lamentarsi. Avevano seguito a lungo la nuvola prodigiosa, simbolo della guida divina: eppure ora si chiedevano se non rappresentasse il presagio di una calamità. Perché li aveva condotti fino a quella montagna, in un luogo senza via d’uscita? Per quegli uomini delusi, l’Angelo di Dio sembrava ormai la causa del disastro che si stava profilando.PP 235.2

    Proprio mentre gli egiziani si avvicinavano per catturare quella facile preda, la nuvola assunse la forma di una colonna e si sollevò maestosa, oltrepassò gli israeliti e si posò fra loro e l’esercito nemico, formando un muro di tenebre. Gli egiziani, non potevano più vedere l’accampamento degli ebrei e furono costretti a fermarsi. Quando scese la notte la nuvola, che formava una barriera, divenne luminosa dalla parte dell’accampamento degli ebrei, rischiarando tutto a giorno.PP 235.3

    La speranza cominciò a rinascere nei cuori degli israeliti. Mosè invocò il Signore, che gli rispose così: “...Perché gridi a me? Dì ai figliuoli d’Israele che si mettano in marcia. E tu alza il tuo bastone, stendi la tua mano sul mare, e dividilo; e i figliuoli d’Israele entreranno in mezzo al mare a piedi asciutti”. Esodo 14:15, 16.PP 235.4

    Il salmista descrisse il passaggio del mar Rosso con questo inno: “La tua via fu in mezzo al mare, i tuoi sentieri in mezzo alle grandi acque, e le tue orme non furon riconosciute. Tu conducesti il tuo popolo come un gregge, per mano di Mosè e d’Aaronne”. Salmi 77:19, 20.PP 235.5

    Appena Mosè sollevò il suo bastone, l’acqua si divise e il popolo camminò sul fondo del mare, all’asciutto, fra due muri d’acqua. La colonna di fuoco brillava sopra le onde spumeggianti e illuminava la via tracciata nel mare, come un solco che si confondeva nell’oscurità della riva opposta.PP 235.6

    “E gli Egiziani li inseguirono; e tutti i cavalli di Faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono dietro a loro in mezzo al mare. E avvenne verso la vigilia del mattino, che l’Eterno, dalla colonna di fuoco e dalla nuvola, guardò il campo degli Egiziani, e lo mise in rotta”. Esodo 14:23, 24. La misteriosa nuvola si era trasformata in una colonna di fuoco, lasciandoli sbalorditi. I tuoni rimbombavano e i fulmini illuminavano il cielo. “Le nubi versarono diluvi d’acqua; i cieli tuonarono; ed anche i tuoi strali volarono da ogni parte. La voce del tuo tuono era nel turbine; i lampi illuminarono il mondo; la terra fu scossa e tremò”. Salmi 77:17, 18.PP 236.1

    Gli egiziani furono assaliti da paura e confusione. Nel cuore della tempesta avevano riconosciuto la voce di un Dio adirato: cercarono di tornare sui loro passi, verso la riva. Ma Mosè sollevò ancora il suo bastone e i muri d’acqua crollarono con grande violenza e fragore, riunendosi a inghiottire nei loro oscuri abissi l’intero esercito egiziano.PP 236.2

    Il mattino seguente, gli israeliti videro ciò che era rimasto dei loro potenti nemici: solo cadaveri, che il mare aveva sospinto sulla spiaggia. Quella notte erano stati liberati per sempre da un terribile pericolo.PP 236.3

    Quella folla, così numerosa e inerme — schiavi che non avevano mai preso in mano le armi, donne, bambini, tutto il bestiame schiacciati tra il mare e il potente esercito egiziano — aveva visto aprirsi una via in mezzo alle acque e aveva assistito alla sconfitta degli oppressori, proprio nel momento in cui pensavano di trionfare. Gli ebrei manifestarono con canti di lode la loro gratitudine e la loro fede in colui che li aveva liberati in modo così miracoloso, unicamente attraverso la sua potenza.PP 236.4

    Mosè grazie allo Spirito di Dio guidò il popolo nel canto di un trionfale inno di ringraziamento, uno degli inni più antichi e sublimi mai conosciuti. “...Io canterò all’Eterno, perché si è sommamente esaltato; ha precipitato in mare cavallo e cavaliere. L’Eterno è la mia forza e l’oggetto del mio cantico; Egli è stato la mia salvezza. Questo è il mio Dio, io lo glorificherò; è l’Iddio di mio padre, io lo esalterò. L’Eterno è un guerriero, il suo nome è l’Eterno. Egli ha gettato in mare i carri di Faraone e il suo esercito, e i migliori suoi condottieri sono stati sommersi nel mar Rosso. Gli abissi li coprono; sono andati a fondo come una pietra. La tua destra, o Eterno, è mirabile per la sua forza, la tua destra, o Eterno, schiaccia i nemici. Con la grandezza della tua maestà, tu rovesci i tuoi avversari; tu scateni la tua ira, essa li consuma come stoppia... Chi è pari a te fra gli dèi, o Eterno? Chi è pari a te, mirabile nella tua santità, tremendo anche a chi ti loda, operator di prodigi?... Tu hai condotto con la tua benignità il popolo che hai riscattato; l’hai guidato con la tua forza verso la tua santa dimora. I popoli l’hanno udito, e tremano... Spavento e terrore piomberà su loro. Per la forza del tuo braccio diventeran muti come una pietra, finché il tuo popolo, o Eterno, sia passato, finché sia passato il popolo che ti sei acquistato. Tu li introdurrai e li pianterai sul monte del tuo retaggio, nel luogo che hai preparato, o Eterno, per tua dimora, nel santuario che le tue mani, o Signore, hanno stabilito. L’Eterno regnerà per sempre, in perpetuo”. Esodo 15:1-7, 11, 13; Esodo 15:16-18.PP 236.5

    Cantato da tutto un popolo, questo inno magnifico saliva al cielo come il mugghiare dell’oceano. Le donne d’Israele e Maria, sorella di Mosè, facevano eco al canto con danze e tamburelli. I monti circostanti, il mare e il deserto risuonavano di questa melodia, che esprimeva gioia. Si sentiva un unico grido: “...Cantate all’Eterno, perché si è sommamente esaltato...”. Esodo 15:21.PP 237.1

    Questa grande liberazione e l’inno commemorativo lasciarono sul popolo un’impressione indimenticabile. Il canto fu ricordato attraverso i secoli dai profeti e dai cantori d’Israele, a confermare la fiducia in un Dio che protegge e libera coloro che confidano in lui. Esso preannuncia la distruzione di tutti i nemici della giustizia e la vittoria finale del popolo di Dio. Il profeta di Patmos contemplò la grande folla vestita di bianco che aveva “ottenuta vittoria” e che stava “in piè sul mare di vetro avendo delle arpe di Dio” e cantava “il cantico di Mosè, servitore di Dio, e il cantico dell’Agnello”. Apocalisse 15:2, 3.PP 237.2

    “Non a noi, o Eterno, non a noi, ma al tuo nome dà gloria, per la tua benignità e per la tua fedeltà!” Salmi 115:1. Questo era il sentimento che animava il canto della liberazione d’Israele: questo stesso sentimento dovrebbe ispirare tutti coloro che temono e amano Dio. Liberandoci dalla schiavitù del peccato, Dio è intervenuto in nostro favore con una potenza ancora maggiore di quella usata per salvare gli ebrei presso il mar Rosso. Per questo motivo noi, come gli israeliti, dovremmo lodare Dio con tutto il nostro essere, per ciò che di meraviglioso Egli ha compiuto per noi. Coloro che riflettono sulla grande bontà di Dio, senza dimenticare neppure il più piccolo dei suoi doni, saranno realmente felici e innalzeranno al Signore canti di gioia.PP 237.3

    Dovremmo ringraziare Dio continuamente per le benedizioni che ci offre ogni giorno e soprattutto per avere permesso il sacrificio del Cristo, che ci ha assicurato la felicità e la salvezza eterne. Quale compassione, quale incomparabile amore ha avuto Dio per noi, uomini perduti, quando ci ha voluti con sé, considerandoci il suo tesoro particolare! Quale sacrificio ha affrontato il nostro Redentore, perché potessimo essere chiamati “figli di Dio”! Dovremmo lodare Dio perché la sua volontà di salvarci ha permesso che potessimo ancora sperare, dovremmo essergli grati per l’eredità della vita eterna, per le sue ricche promesse e perché Gesù vive per intercedere per noi.PP 237.4

    “Chi mi offre il sacrifizio della lode” dice il Creatore “mi glorifica...”. Salmi 50:23. Tutti gli abitanti del cielo sono uniti nel lodare Dio. Impariamo ora, sulla terra, il canto di questi angeli, così da poterlo intonare un giorno, quando ci uniremo alle loro schiere luminose. Diciamo con il salmista: “Io loderò l’Eterno finché vivrò, salmeggerò al mio Dio, finché esisterò”. Salmi 146:2. “Ti celebrino i popoli, o Dio, tutti quanti i popoli ti celebrino!” Salmi 67:5.PP 238.1

    Nella sua saggezza, il Signore condusse gli ebrei tra un’alta montagna e il mare per manifestare la sua potenza e umiliare l’orgoglio degli oppressori del suo popolo. Avrebbe potuto salvarli in un altro modo, ma scelse questa via per mettere alla prova la loro fede e rafforzare la loro fiducia in lui. Se il popolo, stanco e affaticato, fosse tornato indietro nonostante l’ordine di Mosè, che imponeva di avanzare, Dio non gli avrebbe mai aperto il cammino. Fu “per fede” che essi “passarono il mar Rosso come per l’asciutto”. Ebrei 11:29.PP 238.2

    Marciando risolutamente verso l’acqua, gli israeliti dimostrarono di credere nelle parole di Dio pronunciate da Mosè e fecero tutto ciò che era in loro potere. Per questo, l’Onnipotente d’Israele divise il mare per farli passare.PP 238.3

    Questa grande lezione è valida per tutti i tempi. Spesso il cristiano è minacciato da tanti pericoli: in quei momenti gli sembra difficile compiere il suo dovere. Egli potrà pensare di trovarsi davanti a una difficoltà incombente e avere dietro di sé solo oppressione e morte. Tuttavia la voce di Dio è chiara e gli dice: “Guarda avanti”.PP 238.4

    Dovremmo ubbidire a questo ordine anche se i nostri occhi non riescono a penetrare oltre l’oscurità, anche se sentiamo le onde fredde scorrere sui nostri piedi. Ciò che impedisce il nostro progresso non scomparirà se avremo un atteggiamento dubbioso ed esitante. Coloro che rimandano la decisione di ubbidire, aspettando il momento in cui ogni incertezza sia svanita, e non vi sia più il rischio di un fallimento o di una sconfitta, non ubbidiranno mai.PP 238.5

    Gli increduli mormorano: “Aspettiamo finché tutte le difficoltà saranno rimosse e possiamo vederci chiaro”; la fede, invece, che “spera ogni cosa” e “crede ogni cosa”, dice con coraggio: “Avanti!”PP 238.6

    La stessa nuvola che costituiva per gli egiziani una barriera di oscurità, rappresentava per gli ebrei una grande luce, che illuminava tutto l’accampamento e il cammino che dovevano percorrere. Allo stesso modo, la Provvidenza è per gli scettici motivo di confusione e disperazione, mentre per il credente è fonte di ispirazione e pace. La via che Dio indica, che attraversi il deserto o il mare, è quella più sicura.PP 238.7

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