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Patriarchi e profeti - Contents
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    Capitolo 45: La vittoria di Gerico

    Gli ebrei, pur essendo entrati in Canaan, non potevano disporre di quelle terre e da un punto di vista umano, la lotta per la conquista di quel paese, abitato da un popolo forte e pronto a opporsi all’invasore, appariva lunga e difficile. Inoltre, poiché il pericolo era comune, le varie tribù decisero di unire le loro forze. A loro vantaggio i cananei avevano cavalli, carri da guerra, la conoscenza del territorio e l’abitudine alla guerra; inoltre il paese era custodito da fortezze, “città grandi e fortificate fino al cielo” (Deuteronomio 9:1); insomma gli israeliti avrebbero potuto sperare di riuscire vittoriosi nell’imminente conflitto, solo con l’aiuto di una forza superiore.PP 411.1

    La grande e ricca città di Gerico, una delle maggiori fortezze del paese, si estendeva non lontano dal loro accampamento di Ghilgal. Situata al limite di una fertile pianura, ricca di vari frutti tipici dei climi tropicali e con palazzi e templi in cui regnava la lussuria e il vizio. Quella città, circondata da massicci bastioni, rappresentava una sfida per il Dio d’Israele. A Gerico, uno dei principali centri di culto in cui si assisteva alle più abiette e degradanti manifestazioni della religione cananea veniva particolarmente venerata Astarte, la divinità della luna. Gli israeliti, che avevano ancora vivo il ricordo delle conseguenze del loro peccato di Baal-Peor, provarono per quella città pagana disgusto e orrore.PP 411.2

    Per Giosuè, il primo passo da compiere per conquistare Canaan era abbattere Gerico; per questo, prima di tutto, ricercò e ottenne l’assicurazione della guida divina.PP 411.3

    Allontanatosi dal campo, per meditare e pregare affinché il Dio d’Israele guidasse il suo popolo, Giosuè vide un guerriero armato, di alta statura e dal portamento imponente “...con in mano la spada snudata” al quale intimò: “Sei tu dei nostri, dei nostri nemici?... No, io sono il capo dell’esercito dell’Eterno; arrivo adesso” gli fu risposto, dopo di che Giosuè ricevette lo stesso ordine che era stato dato a Mosè in Horeb: “...Levati i calzari dai piedi; perché il luogo dove stai è santo”. Giosuè 5:13-15. Queste parole rivelarono l’identità di colui che gli stava davanti: il Figlio di Dio. Preso da un grande timore, Giosuè si prostrò con la faccia a terra per adorare, e l’Essere divino, aggiunse istruzioni su come conquistare la città, concludendo: “...Vedi, io do in tua mano Gerico, il suo re, i suoi prodi guerrieri”. Giosuè 6:2.PP 411.4

    Giosuè dispose il popolo d’Israele secondo l’ordine ricevuto. Non occorreva compiere nessun assalto, bastava semplicemente circondare la città, portando l’arca di Dio e suonando le trombe. Davanti vi erano i guerrieri, un corpo di uomini scelti che, in questo caso, non doveva avvalersi della propria scaltrezza e forza per conquistare la città, ma semplicemente ubbidire alle direttive di Dio. Seguivano sette sacerdoti con le trombe, poi l’arca, portata dai sacerdoti con paramenti sacri e circondata da un alone di gloria. Infine il popolo d’Israele: ogni tribù con il proprio stendardo. Quando questa processione girava intorno alla città condannata, si udivano solamente il rumore dei passi e gli squilli solenni delle trombe che echeggiavano fra le colline, risuonando per le strade di Gerico.PP 412.1

    Completato il primo giro, l’esercito ritornò in silenzio nelle tende e l’arca fu riportata nel tabernacolo. Le sentinelle della città osservarono con stupore e preoccupazione ogni manovra, e riferirono ai loro superiori. Non comprendevano il perché di questo dispiegamento di forze, ma quando videro che quel potente esercito marciava intorno alla loro città ogni giorno con l’arca sacra e i sacerdoti, il mistero di quella manovra riempì di terrore sia i sacerdoti sia la gente. D’altra parte, gli abitanti di Gerico erano certi che le loro forti mura avrebbero resistito ad attacchi ben più potenti. Molti, infatti, ridevano pensando al modo in cui quell’esercito voleva affrontarli. Altri, vedendo ogni giorno quella processione intorno alla città, e ricordandosi che davanti a quel popolo nel passato il mar Rosso si era aperto e recentemente il Giordano si era prosciugato davanti a loro, erano presi da timore. Non potevano prevedere quali altri prodigi Dio avrebbe potuto compiere in loro favore.PP 412.2

    Le schiere d’Israele marciarono intorno alla città per sei giorni. Poi Giosuè, alle prime luci del settimo giorno, schierò l’esercito del Signore; questa volta gli israeliti avrebbero marciato per sette volte intorno a Gerico, dopo di che, al potente squillo delle trombe, avrebbero aggiunto il fragore delle loro voci, perché Dio avrebbe dato la città nelle loro mani.PP 412.3

    Il vasto esercito marciava solennemente intorno a quelle mura condannate alla rovina. Nella quiete mattutina si udiva solo il ritmo cadenzato di molti passi e, di tanto in tanto, lo squillo delle trombe. Le mura massicce, fatte di solide pietre, rappresentavano una sfida per gli assedianti. Le sentinelle, vedendo che a un primo giro ne seguiva un secondo, e poi un terzo, un quarto, un quinto e un sesto, erano sempre più spaventate. Qual era lo scopo di questi misteriosi movimenti? Che cosa sarebbe successo? Non fu necessario attendere molto per saperlo. Quando il settimo giro fu completato, la lunga processione si fermò, e le trombe, che per un po’ di tempo non erano state suonate, furono fatte squillare con tale forza da far tremare la terra. Le solide mura di pietra, con le grosse torri e i bastioni, oscillarono, furono scosse sin dalle fondamenta e caddero al suolo con violenza. Le schiere d’Israele marciarono per prendere possesso della città, perché gli abitanti di Gerico erano paralizzati dal terrore.PP 412.4

    Gli israeliti non avevano ottenuto la vittoria grazie alla loro forza; era stato unicamente il Signore a conquistare la città; e come primo frutto del paese, la città e tutto ciò che conteneva, gli doveva essere dedicata in sacrificio. Gli israeliti dovevano comprendere che per conquistare Canaan non dovevano combattere per se stessi, ricercando ricchezze e onori, ma semplicemente essere strumenti per eseguire la volontà del Signore ricercando la gloria dell’Eterno, loro Re. Prima della conquista, era stato dato quest’ordine: “E la città sarà un interdetto consacrato al Signore insieme con tutto ciò che vi è dentro... or guardatevi voi dall’interdetto, che talora voi non vi rendiate colpevoli intorno all’interdetto...”. Giosuè 6:18.PP 413.1

    Gli israeliti passarono a fil di spada tutti gli uomini e gli animali della città, “uomini, donne, fanciulli e vecchi, e buoi e pecore e asini”. Fu risparmiata solo la fedele Rahab e la sua famiglia, come le spie avevano promesso. La città fu bruciata, e il fuoco divorò i palazzi, i templi, le magnifiche case con lussuosi arredamenti, ricchi drappeggi e costosi vestiti. Mentre “l’argento, l’oro e gli oggetti di rame e di ferro” che non potevano essere distrutti dal fuoco, furono consacrati al servizio del tabernacolo. Fu maledetto anche il luogo in cui sorgeva la città: Gerico non sarebbe più stata una fortezza, e coloro che avrebbero cercato di ricostruire le mura che la potenza di Dio aveva distrutto, sarebbero stati raggiunti dai giudizi di Dio. In presenza di tutto Israele fu dichiarato solennemente: “Sia maledetto nel cospetto dell’Eterno, l’uomo che si leverà a riedificare questa città di Gerico! Ei ne getterà le fondamenta sul suo primogenito, e ne rizzerà le porte sul più giovane dei suoi figliuoli”. Giosuè 6:26.PP 413.2

    La distruzione totale degli abitanti di Gerico non era altro che l’esecuzione degli ordini precedentemente dati a Mosè a proposito degli abitanti di Canaan: “.. tu le voterai allo sterminio”. Deuteronomio 7:2. “Ma nelle città di questi popoli... non conserverai in vita nulla che respiri”. Deuteronomio 20:16. A molti, questi ordini appaiono contrari all’amore e alla misericordia di cui sono pervase altre pagine della Bibbia ma in realtà alla base vi è una saggezza e una bontà infinite. Dio stava per dare agli israeliti la terra di Canaan, creando una nazione e un governo che avrebbero rappresentato il suo regno sulla terra. Essi, oltre a essere i custodi della vera religione, dovevano diffonderne i princìpi in tutto il mondo; e poiché i cananei si erano abbandonati al paganesimo più degradante, era necessario liberare il paese da ciò che sicuramente avrebbe impedito l’adempimento dei misericordiosi piani divini.PP 413.3

    I cananei avevano avuto ampie opportunità di pentirsi. Quarant’anni prima la strada aperta nel mar Rosso e i giudizi che avevano colpito l’Egitto, avevano sancito al di sopra di tutti gli altri dèi la supremazia del Dio d’Israele, confermata proprio allora con la sconfitta dei re di Madian e di Basan. Dio poi, castigando Israele per aver partecipato ai riti abomnevoli di Baal-Peor, aveva rivelato quanto fosse santo il suo carattere e quanto detestasse l’idolatria. Gli abitanti di Gerico ne erano al corrente. Tuttavia molti di loro, pur avendo le stesse convinzioni di Rahab, si erano rifiutati di seguirle e riconoscere che l’Eterno, il Dio d’Israele, domina in cielo e in terra. Come gli antidiluviani, i cananei vivevano solo per bestemmiare Dio e corrompere la terra. L’amore e la giustizia esigevano la pronta eliminazione di questi popoli ribelli verso Dio e nemici dell’uomo.PP 414.1

    Con la stessa facilità con cui gli eserciti divini avevano fatto crollare le mura di Gerico, quarant’anni prima i bastioni di quell’orgogliosa città avevano terrorizzato le spie infedeli. L’Altissimo d’Israele aveva detto: “lo do in tua mano Gerico”; contro quella parola la forza umana non poteva nulla.PP 414.2

    “Per fede caddero le mura di Gerico”. Ebrei 11:30. Il capo dell’esercito del Signore aveva parlato solo con Giosuè, non si era manifestato a tutto il popolo; stava agli israeliti credere o dubitare delle parole del loro condottiero, ubbidendo all’ordine da lui dato nel nome del Signore o negandone l’autorità. Non potendo scorgere le schiere degli angeli, che li accompagnavano insieme al Figlio di Dio, avrebbero potuto ragionare così: “Che manovre senza senso sono queste? Quanto è ridicolo marciare ogni giorno intorno alle mura della città, suonando le trombe di corno di montone. Come può questa marcia avere delle conseguenze sui bastioni?”PP 414.3

    Fu proprio il protrarsi di questo “rito” prima del crollo finale delle mura, che rafforzò la fede degli israeliti. Doveva rimanere ben impresso nella loro mente che la forza non stava né nella saggezza né nella potenza umana, ma solo nel Dio della salvezza. Dovevano abituarsi a fidarsi interamente della loro guida divina.PP 414.4

    Dio compirà grandi cose per coloro che confidano in lui. Ma il popolo che non gli è fedele non possiede nessuna forza superiore. Confidando troppo nella propria saggezza, non dà al Signore la possibilità di rivelare la potenza divina che si manifesta in suo favore. Egli aiuterà i suoi figli in ogni occasione difficile se essi avranno completa fiducia in lui e gli ubbidiranno fedelmente.PP 414.5

    Subito dopo la caduta di Gerico, Giosuè decise di attaccare Ai, una piccola città che sorgeva fra i dirupi, a pochi chilometri a ovest della valle del Giordano. Le spie che vi erano state mandate riferirono che gli abitanti erano pochi, e che per sconfiggerli sarebbe stato sufficiente un piccolo esercito.PP 415.1

    La grande vittoria che Dio aveva realizzato per loro, rese gli israeliti sicuri di sé. È vero che il Signore aveva promesso loro la terra di Canaan, ma se essi avessero dimenticato di chiedere l’aiuto divino, sarebbero andati incontro all’insuccesso; e ora perfino Giosuè aveva fatto piani per conquistare Ai senza chiedere consiglio a Dio.PP 415.2

    Gli israeliti cominciavano a fidarsi delle proprie possibilità, e consideravano con disprezzo i loro nemici. Siccome si aspettavano una facile vittoria, ritennero che tremila uomini fossero sufficienti per conquistare la zona. Condussero l’attacco senza la garanzia della protezione divina, e la loro avanzata fu fermata quasi alle porte della città da una resistenza decisa. Spaventati per il numero e la preparazione dei nemici, fuggirono in disordine giù per la strada scoscesa. L’esercito dei cananei li inseguì rabbiosamente “...dalla porta fino a Scebarim, e li mise in rotta nella scesa”. Giosuè 7:5. Anche se le perdite erano state numericamente lievi trentasei uomini uccisi — la sconfitta scoraggiò Israele. “...Il cuore del popolo si strusse e divenne come acqua”. Giosuè 7:5. Se in quella prima battaglia effettiva contro i cananei erano stati messi in fuga dai difensori di quella piccola città, cosa sarebbe successo in conflitti più importanti? Giosuè interpretò il mancato successo come un’espressione del dispiacere divino, e con angoscia e apprensione “...si stracciò le vesti e si gettò col viso a terra davanti all’arca dell’Eterno; stette così fino alla sera, egli con gli anziani d’Israele, e si gettarono della polvere sul capo... Ahi, Signore, Eterno” gridò “perché hai tu fatto passare il Giordano a questo popolo per darci in mano degli Amorei e farci perire?... Ahimè, Signore, che dirò io, ora che Israele ha voltato le spalle ai suoi nemici? I Cananei e tutti gli abitanti del paese lo verranno a sapere, ci avvolgeranno, e faranno sparire il nostro nome dalla terra; e tu che farai per il tuo gran nome?” Giosuè 7:6-9.PP 415.3

    L’Eterno rispose: “Levati! Perché ti sei tu così prostrato con la faccia a terra? Israele ha peccato; hanno trasgredito il patto ch’io avevo loro comandato d’osservare”. Giosuè 7:10, 11. Era un momento in cui occorreva agire in maniera pronta e decisa, e non disperarsi e lamentarsi. Il peccato si celava nel campo e per ritrovare la presenza e la benedizione di Dio occorreva individuarlo ed eliminarlo. “...Io non sarò più con voi, se non distruggerete l’interdetto di mezzo a voi” (Giosuè 7:12), aveva ammonito l’Eterno.PP 415.4

    Per l’infedeltà di uno degli esecutori dei giudizi divini, tutto il popolo fu considerato colpevole di quella trasgressione: “...Han perfino preso dell’interdetto, l’han perfino rubato, han perfino mentito, e l’han messo fra i loro bagagli”. Giosuè 7:11. Giosuè seguì le istruzioni dategli per scoprire e punire il colpevole ricorrendo alla sorte. Affinché il popolo potesse sentire la responsabilità del peccato, fare un esame di coscienza e umiliarsi davanti al Signore, il peccatore non venne subito scoperto; questo lasciò il popolo in apprensione.PP 416.1

    Il mattino presto, Giosuè riunì Israele per tribù, e iniziò la solenne e impressionante cerimonia. A mano a mano che la ricerca procedeva, il cerchio si stringeva sempre più. Prima fu trovata la tribù, poi la famiglia, poi il casato, e infine l’uomo: Acan, figlio di Carmi, della tribù di Giuda, era il colpevole che Dio aveva indicato.PP 416.2

    Per stabilire l’identità del trasgressore in maniera sicura, e non lasciare nessuna possibilità di pensare a una condanna ingiusta, Giosuè scongiurò solennemente Acan di ammettere la verità. Il miserabile confessò il suo crimine, dicendo: “E vero; ho peccato contro l’Eterno, l’Iddio d’Israele... Ho veduto tra le spoglie un bel mantello di Scinear, duecento sicli d’argento e una verga d’oro del peso di cinquanta sicli; ho bramato quelle cose, le ho prese; ecco, son nascoste in terra in mezzo alla mia tenda...”. Giosuè 7:20, 21. Immediatamente furono mandati nella tenda dei messaggeri che scavarono nel luogo indicato “...ed ecco che il mantello v’era nascosto; e l’argento stava sotto. Essi presero quelle cose di mezzo alla tenda, le portarono a Giosuè e a tutti i figliuoli d’Israele, e le deposero davanti all’Eterno”. Giosuè 7:22, 23.PP 416.3

    Giosuè disse: “Perché ci hai tu conturbati? l’Eterno conturberà te in questo giorno” (Giosuè 7:25), e la sentenza fu immediatamente eseguita. Il popolo, che era stato considerato responsabile del peccato di Acan, dato che ne aveva subìto le conseguenze, eseguì la condanna attraverso i suoi rappresentanti. “Tutto Israele lo lapidò”. Giosuè 7:25.PP 416.4

    In quello stesso luogo, in testimonianza di quel peccato punito, fu eretta una grande pila di pietre. “Perciò quel luogo è stato chiamato fino al dì d’oggi, valle di Acor” (Giosuè 7:26), che significa conturbamento. Anche nel libro delle Cronache viene citato l’episodio: “Acan, che conturbò Israele...”. 1 Cronache 2:7.PP 416.5

    Il peccato di Acan fu commesso in un momento in cui la potenza di Dio si era manifestata con forza, e rappresentava una sfida a un preciso e solenne avvertimento divino. “Guardatevi bene da ciò che è votato all’interdetto... e non rendiate maledetto il campo d’Israele” (Giosuè 6:18), era stato intimato a tutto il popolo. Quest’ordine fu dato subito dopo il miracoloso passaggio del Giordano, dopo la circoncisione del popolo in riconoscimento del patto di Dio, dopo l’osservanza della Pasqua e l’apparizione dell’Angelo del patto, capo dell’esercito del Signore. Poi era seguito il crollo di Gerico, una prova evidente della sorte dei trasgressori della legge di Dio. Inoltre la manifestazione della potenza divina, che aveva dato la vittoria a Israele, permettendo al popolo di conquistare la città di Gerico, rendeva ancora più solenne il divieto di appropriarsi del bottino. La roccaforte era crollata davanti alla potenza della Parola di Dio, era lui che l’aveva conquistata e solo a lui doveva essere consacrato tutto ciò che essa conteneva.PP 416.6

    Ma fra gli israeliti vi era un uomo che in quel solenne momento di trionfo e giudizio, osò trasgredire l’ordine divino. L’avidità di Acan affiorò quando egli vide quel prezioso mantello di Scinear, tanto che perfino davanti alla morte, parlò di un “bel mantello”. Acan a questo peccato ne aggiunse altri, si era appropriato dell’oro e dell’argento che dovevano essere consacrati al tesoro del Signore: aveva derubato Dio delle primizie del paese di Canaan.PP 417.1

    All’origine del peccato, che determinò la rovina di Acan, vi era l’avidità, uno degli errori più comuni e considerati con maggiore leggerezza. Mentre altre colpe sono punite con la detenzione o altre pene, la violazione del decimo comandamento molto raramente viene biasimata. La gravità di questo peccato e le sue terribili conseguenze costituiscono la lezione che si trae dalla storia di Acan.PP 417.2

    L’avidità è un male che si sviluppa gradualmente. Acan aveva coltivato la passione per le ricchezze, tanto da renderla un’abitudine che ora lo legava come una catena che era quasi impossibile spezzare. Se la sua sensibilità non fosse stata indebolita dal peccato il pensiero che questo errore avrebbe portato Israele alla rovina avrebbe dovuto terrorizzarlo, invece quando la tentazione arrivò, egli ne fu una facile preda.PP 417.3

    Peccati simili si commettono anche ora pur conoscendo questo avvertimento così solenne ed esplicito. Oggi è chiaramente proibito cedere all’avidità, così come ad Acan era stato vietato di appropriarsi del bottino di Gerico. Dio infatti, attraverso vari avvertimenti, ha dichiarato che è una forma di idolatria: “Voi non potete servire a Dio e a Mammona”. Matteo 6:24. “Badate e guardatevi da ogni avarizia”. Luca 12:15. “...l’avarizia, non sia neppur nominata tra voi”. Efesini 5:3.PP 417.4

    Davanti a noi abbiamo la terribile condanna di Acan, di Giuda, di Anania e Saffira; dietro questi uomini c’è Lucifero il “figlio dell’aurora” che, desiderando ardentemente posizioni superiori, ha perso per sempre lo splendore e la felicità del cielo. Ma nonostante tutti questi avvertimenti, l’avidità si diffonde ovunque. Provoca contese e scontentezza nelle famiglie; suscita invidia e alimenta l’astio del povero verso il ricco. E oltre a esistere nel mondo penetra nella chiesa, dove non è raro trovare l’egoismo, l’avarizia, la prevaricazione, la mancanza di carità e dove si deruba Dio “nelle decime e nelle offerte”. Tra i “buoni e regolari” membri di chiesa, quanti Acan ci sono! Molti di coloro che vengono sempre in chiesa e partecipano alla mensa del Signore, posseggono beni ottenuti illegittimamente che Dio ha maledetto. Per un “bel mantello di Scinear”, molti sacrificano la propria coscienza e la speranza del cielo. Molti barattano la loro integrità e la possibilità di rendersi utili per una manciata di sicli d’argento. Non ci si cura delle grida del povero e del sofferente e la proclamazione del messaggio del Vangelo è ritardata. Lo scherno dei non credenti è accentuato da quei comportamenti che discreditano il cristianesimo riducendolo a una menzogna; e l’avaro continua ad accumulare tesori. “L’uomo dev’egli derubare Iddio? E pure voi mi derubate” (Malachia 3:8), dice l’Eterno.PP 418.1

    Il peccato di Acan portò alla rovina tutto il popolo. A causa del peccato di un uomo, Dio disapprova tutta la chiesa, finché la trasgressione è individuata ed eliminata. Ciò che si deve temere nella chiesa non è l’influsso che possono esercitare gli aperti oppositori, gli infedeli, i bestemmiatori, ma coloro che pur essendo cristiani sono incoerenti. Essi allontanano le benedizioni del Dio d’Israele e rendono il suo popolo debole.PP 418.2

    Quando la chiesa è in difficoltà, quando c’è freddezza e crisi spirituale, invece di dare al nemico di Dio occasioni per trionfare, invece di incrociare le braccia e lamentarsi per il proprio stato, i membri si chiedano se tra loro non ci sia un Acan. Ciascuno cerchi con umiliazione e pentimento di scoprire i peccati nascosti che precludono la presenza di Dio.PP 418.3

    Acan riconobbe la propria colpa quando era troppo tardi per beneficiare della confessione. Pur avendo visto l’esercito d’Israele tornare da Ai sconfitto e scoraggiato, Acan non si presentò per confessare il suo peccato. Aveva visto Giosuè e gli anziani d’Israele prostrati a terra, per un dolore troppo grande da esprimere a parole. Invece di manifestare un vero pentimento, confessando il proprio peccato, rimase in silenzio. Aveva sentito che era stato commesso un grave crimine, di cui conosceva anche la natura, ma le sue labbra rimasero chiuse.PP 418.4

    Quando giunse il solenne momento dell’indagine, ed egli vide che era stata indicata la sua tribù, poi la sua famiglia e il suo casato, tremò terrorizzato. Finché il dito di Dio non indicò lui, non pronunciò nessuna confessione e ammise il suo errore solo quando il suo peccato non poteva più essere nascosto. Confessioni simili sono molto frequenti. C’è una grossa differenza fra coloro che ammettono i fatti dopo essere stati scoperti e coloro che confessano il peccato conosciuto solo da loro e da Dio. Se Acan non avesse sperato di evitare le conseguenze del suo delitto, non avrebbe confessato. La sua confessione dimostrava unicamente che la punizione infertagli era giusta. Non vi era nessun sincero pentimento per il peccato, nessuna sofferenza, nessun cambiamento di propositi e nessun sentimento di ripugnanza per il male.PP 419.1

    Questa è la confessione dei colpevoli che staranno davanti al tribunale di Dio, quando ogni destino sarà definitivamente deciso. La punizione inflitta sarà riconosciuta come conseguenza dei propri peccati, la persona avvertirà un terribile senso di colpa e considererà con terrore il giudizio; ma questa confessione non potrà salvare il peccatore.PP 419.2

    Molti, come Acan, sono rassicurati dal pensiero di poter nascondere agli uomini la loro trasgressione, e si illudono pensando che Dio non ne terrà conto. Quando si confronteranno con i loro peccati sarà troppo tardi; essi non potranno più essere espiati né con sacrifici né con offerte. Quando i registri del cielo saranno aperti, e il grande Giudice indicherà le loro colpe, non a parole, ma con il suo sguardo accusatore e penetrante che farà riaffiorare in maniera vivida alla loro memoria ogni atto e ogni circostanza della loro vita, allora non sarà più necessario, come ai tempi di Giosuè, ricercare il colpevole di tribù in tribù, di casato in casato, di famiglia in famiglia. La vergogna dei peccatori sarà confessata dalle loro stesse labbra, e il peccato nascosto agli uomini sarà proclamato al mondo intero.PP 419.3

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