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Patriarchi e profeti - Contents
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    Capitolo 35: La ribellione di Kore

    La condanna all’esilio nel deserto ebbe l’effetto di reprimere le proteste e le rivolte tra gli israeliti, ma solo per qualche tempo. La loro volontà di ribellarsi non era diminuita e sarebbe riemersa con amarissime conseguenze. I precedenti disordini erano stati provocati dalla violenta reazione di una folla eccitata. Ora invece si preparava una vera e propria cospirazione, organizzata per sovvertire l’ordine e mettere in discussione l’autorità dei capi scelti da Dio.PP 332.1

    Kore, l’ispiratore di questa rivolta, era un uomo intelligente e influente; era un levita della famiglia di Kehath, cugino di Mosè. Non era soddisfatto del suo incarico, nel servizio del santuario, perché aspirava al sacerdozio.PP 332.2

    Il conferimento della funzione sacerdotale ad Aronne e ai suoi discendenti — inizialmente affidata al primogenito di ogni famiglia — aveva suscitato invidia e malcontento. Per un certo periodo di tempo Kore non aveva voluto esporsi a rischi, ribellandosi apertamente. Così, per qualche tempo, si era opposto all’autorità di Mosè e Aronne soltanto in modo velato. Poi elaborò un piano audace per minare l’autorità religiosa e civile. Le sue idee non tardarono a trovare un’eco in Dathan e Abiran, due prìncipi della tribù di Ruben. Secondo le disposizioni di Mosè, questo gruppo si accampava a sud del santuario, vicino alle tende della famiglia di Kore. Dathan e Abiran in breve tempo idearono insieme a Kore un piano ambizioso: come discendenti del figlio maggiore di Giacobbe, rivendicarono il potere civile e decisero di dividere con Kore gli onori del sacerdozio.PP 332.3

    Il malcontento che serpeggiava tra il popolo favorì i disegni di Kore. Nell’animo degli ebrei, amareggiati dalla sconfitta, erano riemersi i sentimenti che avevano causato la precedente rivolta: dubbio, invidia e collera. Ancora una volta, essi protestarono contro il loro paziente capo. Stavano perdendo la consapevolezza del fatto che Dio stesso li guidava; avevano dimenticato che l’Angelo del patto era il loro capo invisibile. Quella grande nuvola simile a una colonna, nascondeva un essere soprannaturale che li precedeva e suggeriva a Mosè tutte le direttive.PP 332.4

    In realtà, gli israeliti non volevano accettare la terribile condanna di morire nel deserto. Erano pronti a cogliere ogni pretesto per attribuire a Mosè, e non a Dio, le responsabilità e le colpe della conduzione del popolo. I migliori sforzi dell’uomo più paziente della terra non poterono vincere lo spirito sovversivo d’Israele. Il ricordo delle vittime della precedente rivolta era ancora vivo, tra la gente, come monito della disapprovazione di Dio nei loro confronti. Nonostante ciò, gli ebrei sottovalutarono il significato della lezione, e ancora una volta furono vinti dalla tentazione.PP 332.5

    Quando era un semplice pastore, Mosè aveva vissuto un’esistenza molto più felice e serena di quella di capo di un popolo ribelle. Tuttavia, egli non aveva avuto scelta. Al posto del bastone di pastore, aveva ricevuto la suprema autorità su Israele: non poteva abbandonare il suo compito, finché Dio non lo avesse permesso.PP 333.1

    Ma il Signore conosce anche i pensieri più segreti degli uomini. Egli aveva compreso i propositi di Kore e dei suoi compagni e aveva dato agli israeliti avvertimenti e indicazioni grazie ai quali avrebbero potuto evitare di lasciarsi coinvolgere nel complotto. Il popolo aveva assistito alla punizione con cui Miriam era stata colpita per la sua invidia e le sue proteste contro Mosè. Il Signore stesso lo aveva dichiarato superiore a un profeta. “Con lui io parlo a tu per tu, facendomi vedere” aveva detto l’Eterno, aggiungendo: “...Perché dunque non avete temuto di parlar contro il mio servo, contro Mosè?” Numeri 12:8. Questi rimproveri non erano validi solo per Aronne e Miriam, ma per tutto l’accampamento.PP 333.2

    Kore e gli altri cospiratori avevano avuto il privilegio di assistere a straordinarie manifestazioni della potenza e della grandezza di Dio. Essi erano stati fra coloro che insieme a Mosè erano saliti sul monte Sinai per contemplare la gloria divina. Ma da allora qualcosa era cambiato. La tentazione del potere, all’inizio solo accarezzata, si era radicata in questi uomini, diventando sempre più forte. Kore, Dathan e Abiran finirono per essere sedotti dalla loro stessa ambizione: con la mente ormai ossessionata dal male, decisero di realizzare un progetto pericoloso. Affermando di avere profondamente a cuore il bene del popolo, in tutta segretezza seminarono il malcontento, riuscendo a coinvolgere perfino i capi d’Israele. Incoraggiati dalla facilità con cui la gente accoglieva le loro insinuazioni, si convinsero di agire spinti dallo zelo per Dio.PP 333.3

    La congiura coinvolse duecentocinquanta tra le persone più influenti e stimate d’Israele. Questo potente appoggio diede ai cospiratori la sicurezza di poter avviare un radicale cambiamento di governo, che avrebbe certo segnato un grande progresso rispetto all’amministrazione di Mosè e Aronne.PP 333.4

    Il clima diffuso di diffidenza alimentò l’invidia, e questa accese la ribellione. Kore, Dathan e Abiran avevano messo in discussione il diritto di Mosè a occupare una posizione così autorevole e prestigiosa. In questo modo, erano arrivati ad ambire il suo stesso ruolo, nella convinzione che chiunque fra loro fosse in grado di occupare la sua posizione. Mentivano a se stessi, ritenendo che Mosè e Aronne si fossero attribuiti arbitrariamente i loro importanti incarichi. I ribelli affermavano che i due fratelli si erano posti al di sopra di tutti, impadronendosi del sacerdozio e del governo. Sostenevano che la loro famiglia non aveva nessun titolo particolare rispetto alle altre; Mosè e Aronne non erano più santi di chiunque altro, e quindi non avevano diritto a speciali riconoscimenti: tutti gli israeliti beneficiavano nello stesso modo della presenza e della protezione di Dio.PP 333.5

    Il secondo passo della congiura era il coinvolgimento del popolo. Per coloro che si trovano dalla parte del torto non esiste niente di più piacevole che ricevere consensi e lode. Kore e i suoi seguaci ottennero l’attenzione e l’appoggio della comunità. Coloro che si opposero, sostenendo che una nuova ribellione avrebbe provocato la collera divina, furono considerati in errore. I ribelli affermarono che nessuno doveva sentirsi colpevole di rivendicare i propri diritti: Mosè era un capo autoritario e aveva accusato ingiustamente un popolo santo, che il Signore aveva posto sotto la sua protezione.PP 334.1

    Kore rievocò le vicende del viaggio attraverso il deserto, e le difficoltà incontrate lungo il cammino: molti erano morti per essersi lamentati o avere disubbidito agli ordini. Il suo discorso mirava a far credere agli ebrei che se Mosè avesse scelto un altro percorso, si sarebbero potute evitare molte sofferenze. Tutti si convinsero che fosse responsabile delle loro disgrazie. Anche l’esclusione da Canaan era considerata la conseguenza di una cattiva gestione del potere da parte di Mosè e Aronne. Se Kore fosse diventato il capo degli israeliti li avrebbe incoraggiati, sottolineando soprattutto le loro azioni positive, senza rimproverarli continuamente per i loro errori. In questo modo, il viaggio si sarebbe svolto in un clima sereno, senza ulteriori incidenti: invece di andare avanti e indietro nel deserto, Israele avrebbe finalmente raggiunto la terra promessa. Le parole dei ribelli erano riuscite a vincere le divisioni interne, creando una grande unità. Kore era un personaggio molto popolare, e ciò aumentava la sua credibilità. Il sostegno della gente rafforzò la sua determinazione: il potere illimitato di cui godeva Mosè avrebbe presto soffocato la libertà del popolo. Kore dichiarò che Dio stesso lo aveva autorizzato a destituire le persone che si trovavano a capo d’Israele, prima che fosse troppo tardi.PP 334.2

    Molti, in un primo momento, non accettarono le accuse rivolte a Mosè. Essi ricordavano la sua pazienza e la sua dedizione: la loro coscienza era turbata. Per convincere queste persone, fu necessario attribuire motivazioni egoistiche al profondo interesse di Mosè per Israele. I cospiratori ripeterono dunque la vecchia accusa secondo cui egli li aveva condotti nel deserto per farli morire e poi privarli di tutti i loro beni.PP 334.3

    Per un certo periodo di tempo quest’opera si svolse in segreto. Ben presto, tuttavia, la congiura fu abbastanza estesa da garantire il successo a un tentativo di aperta rivolta. Kore, il capo dei ribelli, accusò pubblicamente Mosè e Aronne di aver usurpato un’autorità che egli e i suoi associati potevano rivendicare con uguali diritti: i due fratelli avevano privato il popolo della libertà e dell’indipendenza. “...Basta!” dissero “tutta la raunanza, tutti fino ad uno son santi, e l’Eterno è in mezzo a loro; perché dunque v’innalzate voi sopra la raunanza dell’Eterno?” Numeri 16:3.PP 335.1

    Mosè non sospettava l’esistenza di un complotto organizzato: all’improvviso comprese ciò che stava accadendo. Allora si gettò con la faccia a terra e rivolse un appello silenzioso a Dio. Quando si alzò, era profondamente triste, ma si sentiva calmo e forte: Dio gli aveva assicurato la sua guida. Mosè disse: “...Domani l’Eterno farà conoscere chi è suo e chi è santo, e se lo farà avvicinare: farà avvicinare a sé colui ch’Egli avrà scelto”. Numeri 16:5. La prova fu rimandata alla mattina in modo che tutti potessero avere il tempo per riflettere. Quanti aspiravano al sacerdozio, fra i ribelli, si sarebbero dovuti recare con un turibolo nel santuario, per offrire l’incenso davanti all’assemblea degli israeliti. La legge era molto esplicita: solo coloro che erano stati consacrati per quel sacro compito potevano officiare nel santuario. Perfino i sacerdoti Nadab e Abihu erano stati uccisi per aver osato offrire “fuoco estraneo”, trasgredendo l’ordine divino. Mosè sfidò i suoi accusatori: voleva vedere se avrebbero avuto il coraggio di sottoporre le loro rivendicazioni al giudizio di Dio.PP 335.2

    Rivolgendosi a Kore e ai leviti a lui fedeli, Mosè disse: “È egli poco per voi che l’Iddio d’Israele v’abbia appartati dalla raunanza d’Israele e v’abbia fatto accostare a sé per fare il servizio del tabernacolo dell’Eterno e per tenervi davanti alla raunanza affin d’esercitare a pro suo il vostro ministerio? Egli vi fa accostare a sé, te e tutti i tuoi fratelli figliuoli di Levi con te, e cercate anche il sacerdozio? E per questo tu e tutta la gente che è teco vi siete radunati contro l’Eterno! Poiché chi è Aronne che vi mettiate a mormorare contro di lui?” Numeri 16:9-11.PP 335.3

    Dathan e Abiram non avevano usato la stessa arroganza di Kore: Mosè pensava che essi fossero stati coinvolti nella congiura, senza tuttavia esserne pienamente convinti. E quindi li convocò per ascoltare le accuse che gli rivolgevano. Ma non vollero venire e rifiutarono di riconoscere la sua autorità. Parlando ad alta voce, in modo da farsi udire dalla folla dei presenti, pronunciarono queste frasi insolenti: “È egli poco per te l’averci tratti fuori da un paese ove scorre il latte e il miele, per farci morire nel deserto, che tu voglia anche farla da principe, sì, da principe su noi? E poi, non ci hai davvero condotti in un paese dove scorra il latte e il miele, e non ci hai dato possessi di campi e di vigne! Credi tu di poter rendere cieca questa gente? Noi non saliremo”. Numeri 16:13, 14.PP 335.4

    Per indicare l’Egitto, il paese della schiavitù, essi avevano usato proprio le parole con le quali Dio aveva descritto la terra promessa. Accusarono Mosè di sostenere la propria autorità pretendendo di agire sotto la guida divina; dichiararono che non gli avrebbero più ubbidito, lasciandosi guidare come ciechi verso il deserto o verso Canaan, solo per soddisfare i capricci di un capo ambizioso. Colui che si era comportato come un padre premuroso e un pastore paziente veniva ora descritto come un oscuro tiranno e un usurpatore. Perfino la responsabilità dell’esclusione da Canaan, determinata dalla precedente ribellione, fu attribuita a Mosè.PP 336.1

    I congiurati erano riusciti ad attirare su di sé le simpatie del popolo, ma Mosè non cercò di vendicarsi. Davanti a tutti gli israeliti egli si rivolse solennemente a Dio, affinché testimoniasse della sincerità delle sue motivazioni e dell’onestà della sua condotta, e implorò il giudizio divino.PP 336.2

    La mattina seguente i duecentocinquanta princìpi, con Kore alla testa, si presentarono davanti al santuario con gli incensieri e furono condotti nel cortile, mentre il popolo si riuniva intorno per attendere il verdetto. Mosè non desiderava che l’assemblea d’Israele assistesse alla sconfitta di Kore e dei suoi compagni; ma furono proprio questi ultimi che, con cieca presunzione, vollero che tutti assistessero al loro trionfo. Molti si schierarono dalla parte di Kore, sicuri di averla vinta su Aronne.PP 336.3

    Quando i ribelli furono davanti a Dio “...la gloria dell’Eterno apparve a tutta la raunanza”. Il Signore comunicò a Mosè e Aronne questo avvertimento: “Separatevi da questa raunanza, e io li consumerò in un attimo... Ma essi, prostratisi con la faccia a terra, dissero: O Dio, Dio degli spiriti d’ogni carne! Un uomo solo ha peccato, e ti adireresti tu contro tutta la raunanza?” Numeri 16:21, 22. Kore si era appena allontanato dalla folla per raggiungere Dathan e Abiram quando Mosè, accompagnato dai settanta anziani, rivolse al gruppo dei ribelli l’ultimo appello. Molti ubbidirono all’invito. Prima di pronunciare questo messaggio, Mosè aveva ordinato da parte di Dio: “...Allontanatevi dalle tende di questi uomini malvagi, e non toccate nulla di ciò che è loro, affinché non abbiate a perire a cagione di tutti i loro peccati”. Numeri 16:26. Il popolo ubbidì per paura di una catastrofe imminente. I capi ribelli si videro abbandonati, ma la loro arroganza non diminuì. Rimasero in piedi davanti alle loro tende, circondati dalle famiglie, sfidando il giudizio divino.PP 336.4

    Allora Mosè dichiarò in nome del Dio d’Israele, davanti a tutto il popolo: “Da questo conoscerete che l’Eterno mi ha mandato per fare tutte queste cose, e che io non le ho fatte di mia testa. Se questa gente muore come muoion tutti gli uomini, se la loro sorte è la sorte comune a tutti gli uomini, l’Eterno non mi ha mandato; ma se l’Eterno fa una cosa nuova, se la terra apre la sua bocca e li ingoia con tutto quello che appartiene loro e s’essi scendon vivi nel soggiorno dei morti, allora riconoscerete che questi uomini hanno disprezzato l’Eterno”. Numeri 16:28-30.PP 337.1

    Tutti gli israeliti avevano lo sguardo fisso su Mosè e attendevano terrorizzati. Quando egli finì di parlare la terra si spalancò e i ribelli precipitarono in una voragine con tutto ciò che apparteneva loro. Così “essi scomparvero di mezzo all’assemblea”. La folla fuggì atterrita, consapevole della propria complicità nella congiura. Ma non era tutto. Un fuoco proveniente dalla nube consumò i duecentocinquanta prìncipi che avevano offerto l’incenso nel santuario. Costoro, non essendo i promotori della ribellione, non furono distrutti con i principali cospiratori perché potessero vederne la punizione. Pur avendo la possibilità di pentirsi, essi rimasero dalla parte dei ribelli e ne condivisero la sorte.PP 337.2

    Mosè aveva supplicato il popolo di sottrarsi alla distruzione imminente. Se in quel momento Kore e i suoi compagni si fossero pentiti e avessero chiesto perdono, Dio non li avrebbe puniti. La loro caparbietà li condannò a morire. Tutto Israele aveva partecipato alla sommossa, solidarizzando più o meno apertamente con i ribelli; tuttavia Dio dimostrò la sua grande bontà distinguendo tra i capi della rivolta, i loro seguaci e il popolo, che si era lasciato ingannare. Gli israeliti ebbero dunque la possibilità di pentirsi. Avevano ricevuto prove schiaccianti della propria colpevolezza e dell’onestà di Mosè. La chiara manifestazione della potenza divina aveva rimosso ogni dubbio. Gesù, l’Angelo che guidava gli ebrei, tentò di salvarli dalla distruzione offrendo loro il perdono. Il giudizio divino era imminente, e costituiva un pressante invito al pentimento. Dio stesso era intervenuto a fermare la rivolta e qualsiasi tentativo di resistenza. Se gli israeliti si fossero piegati alla volontà divina, si sarebbero salvati. Invece essi erano fuggiti di fronte al castigo dei loro compagni per paura di essere distrutti. Non avevano compreso il loro errore. Quella notte tornarono alle loro tende terrorizzati ma non pentiti.PP 337.3

    Kore e gli altri ribelli avevano ingannato molti, inducendoli a pensare di avere subìto la tirannia di Mosè. Se ora queste persone avessero ammesso la colpevolezza di Kore e dei suoi compagni e l’innocenza di Mosè, sarebbero stati costretti ad accettare la condanna all’esilio nel deserto, in quanto essa proveniva da Dio. Non volendo accogliere questa possibilità, tentarono di convincersi che Mosè li aveva raggirati. Avevano sperato con tutte le loro forze in un cambiamento, che sostituisse ai rimproveri di Mosè le lusinghe di Kore, ai conflitti e alle ansietà una vita facile e serena. Gli uomini che erano morti li avevano adulati, professando grande interesse e amore per loro: tutti erano stati sedotti dall’apparente bontà di Kore e dei suoi compagni, e avevano voluto attribuire alle presunte mancanze di Mosè le disgrazie che avevano colpito Israele.PP 338.1

    Non esiste insulto più grave verso Dio che disprezzare e rifiutare gli strumenti di cui Egli si vorrebbe servire per salvare gli uomini. Gli israeliti però non si limitarono a questo: decisero di uccidere Mosè e Aronne. Non si resero conto della necessità di chiedere perdono a Dio per le loro gravi colpe. Dio aveva concesso una notte di riflessione: gli israeliti però non colsero questa opportunità di pentirsi e confessare i propri errori e tentarono invece di escogitare un espediente per contrastare l’evidenza delle prove che li condannavano. Odiavano ancora gli uomini che Dio aveva scelto, e si allearono per resistere alla loro autorità. Satana stava deformando la capacità di giudizio degli ebrei, per portarli inavvertitamente verso la catastrofe.PP 338.2

    Udendo il grido di Kore e dei suoi compagni, mentre precipitavano nella voragine, tutti gli israeliti erano fuggiti spaventati, e si erano detti: “...Che la terra non inghiottisca noi pure”. Numeri 16:34. “Il giorno seguente, tutta la raunanza de’ figliuoli d’Israele mormorò contro Mosè e Aronne dicendo: Voi avete fatto morire il popolo dell’Eterno”. Numeri 16:41. Il popolo si preparava ad aggredire i propri capi, due uomini leali e pronti al sacrificio. Dio manifestò la sua gloria attraverso la nuvola, che si posò sopra il santuario. Da quel punto udì una voce che disse a Mosè e Aronne: “Toglietevi di mezzo a questa raunanza, e io li consumerò in un attimo...”. Numeri 16:45.PP 338.3

    Mosè non doveva temere nessuna conseguenza: non ebbe paura e non scappò, abbandonando i suoi compagni alla morte. Rimase fermo, dimostrando in questa terribile crisi la sincerità del suo interesse per la gente che il Signore gli aveva affidato. Mosè implorò Dio di non distruggere il popolo della promessa: la sua intercessione impedì che la punizione colpisse i ribelli sterminandoli completamente.PP 338.4

    Ma l’angelo della morte aveva già iniziato la sua opera: il suo flagello stava già spargendo la morte. Seguendo le direttive del fratello, Aronne prese un incensiere e lo portò in fretta in mezzo al popolo, per fare “l’espiazione per essi”. “E si fermò tra i morti e i vivi”: quando il fumo dell’incenso salì e le preghiere di Mosè dal santuario giunsero fino a Dio, il flagello si fermò. Quattordicimila israeliti avevano pagato con la vita la loro protesta.PP 338.5

    Il Signore stava per fornire una nuova legittimazione al conferimento del sacerdozio alla famiglia di Aronne. Ognuna delle dodici tribù, per ordine divino, doveva preparare un bastone sul quale scrivere il proprio nome: su quella di Levi fu scolpito il nome di Aronne. I bastoni furono posti nel santuario, “davanti alla testimonianza”. Dio avrebbe fatto fiorire il bastone della tribù a cui era stato assegnato il sacerdozio. L’indomani “...la verga d’Aronne per la casa di Levi aveva fiorito, gettato dei bottoni, sbocciato dei fiori e maturato delle mandorle”. Numeri 17:8. Questo segno doveva dimostrare al popolo la sacralità dell’elezione di Aronne: il bastone miracoloso fu conservato nel santuario, perché costituisse una testimonianza anche per le generazioni future. La disputa sul sacerdozio si era risolta.PP 339.1

    A questo punto il fatto che Mosè e Aronne avessero parlato perché investiti dell’autorità divina era inconfutabile; gli israeliti erano costretti a rassegnarsi alla condanna a morire nel deserto. “...Ecco” esclamarono “periamo! Siam perduti, siam tutti perduti!” Numeri 17:12. Confessarono di avere commesso un errore nel ribellarsi ai propri capi e riconobbero che la punizione di Kore e dei suoi compagni era stata giusta.PP 339.2

    Kore era animato, anche se su scala ridotta, dallo stesso spirito che aveva caratterizzato la ribellione di Satana. L’orgoglio e l’ambizione avevano spinto Lucifero a lamentarsi del governo di Dio e a cercare di sovvertire l’ordine del cielo. Fin dal fallimento di questo suo primo tentativo, egli si sforzò di infondere anche negli uomini l’invidia, la discordia e l’ambizione. Con questo obiettivo, Satana influenzò Kore, Dathan e Abiram, facendo leva sul loro orgoglio per fomentare gelosie, sospetto e ribellione. Satana fece in modo che essi rifiutassero l’autorità degli uomini che il Signore aveva nominato, e quindi anche la sovranità di colui che li aveva scelti. Lamentandosi di Mosè e Aronne, i ribelli offendevano Dio. Accecati dal loro errore, erano assolutamente convinti di essere nel giusto: Satana li spinse ad accusare di disonestà proprio le persone che, fedeli ai princìpi divini, avevano denunciato la loro condotta.PP 339.3

    I mali che provocarono la rovina di Kore esistono anche oggi. L’orgoglio e l’ambizione sono sentimenti molto diffusi. Quando un uomo li accetta e li coltiva, finisce per essere dominato dall’invidia e dalla volontà di calpestare i suoi simili: i pensieri si allontanano dall’influsso di Dio, cedendo inconsapevolmente al male. Molti, anche tra coloro che si professano cristiani, cadono nell’errore di Kore e dei suoi compagni. Tutti i loro sforzi e i loro progetti sono concentrati su un unico obiettivo: l’autoesaltazione. Sono disposti a deformare la realtà, pur di riscuotere il consenso e l’appoggio della gente e arrivano perfino a calunniare e diffamare chi ha deciso di essere coerente con i princìpi divini. Poiché le loro azioni sono dettate da fini egoistici, attribuiscono le stesse motivazioni a quanti agiscono con onestà. Continuano a mentire a se stessi e agli altri, opponendosi a ogni forza contraria e alla fine si convincono di essere dalla parte della ragione. Così, mentre si sforzano di distruggere la fiducia della gente negli uomini che Dio ha scelto, queste persone credono di essere impegnate in una giusta causa, in un servizio utile al Signore.PP 339.4

    Gli ebrei non volevano sottomettersi alle direttive e alle restrizioni divine. Erano insofferenti a ogni imposizione e non volevano ricevere rimproveri: questo era il motivo delle loro lamentele nei confronti di Mosè. Se egli li avesse lasciati liberi di agire non si sarebbero ribellati. In tutta la storia della chiesa chiunque abbia voluto essere fedele a Dio ha dovuto affrontare le stesse difficoltà.PP 340.1

    Quando un individuo scende a compromessi con le proprie passioni, permette a Satana di controllare la sua mente, e così diventa sempre più malvagio. La sua sensibilità morale diminuisce, oscurando la capacità di giudizio, e cedere al male risulta sempre più facile. Tutte le manifestazioni dell’amore di Dio, anche le più evidenti, vengono respinte; infine diventa impossibile cambiare il proprio comportamento deviante e il concetto di colpa perde ogni significato. Chi proclama con coerenza la Parola di Dio, e condanna le azioni malvage dei propri simili, troppo spesso incorre nella collera di chi è colpevole. Correggere un comportamento sbagliato significa affrontare dolori e sacrifici, a cui spesso non si è disposti. Allora, molti reagiscono opponendosi a quanti sono fedeli ai princìpi divini, considerando i loro rimproveri inopportuni e severi. Come Kore, dichiarano di non essere colpevoli e difendono chi si comporta come loro, affermando che sono proprio le riprensioni ingiuste a causare difficoltà e problemi. Questo inganno placa le loro coscienze, e così gli invidiosi e i ribelli hanno successo nel seminare la discordia, ostacolando gli sforzi di coloro che vorrebbero agire in modo costruttivo per la chiesa. Ogni progresso promosso da coloro che Dio ha chiamato a guidare la sua opera suscita il sospetto e viene frainteso. Ciò che succede oggi avvenne anche al tempo di Lutero, di Wesley e di altri riformatori.PP 340.2

    L’atteggiamento di Kore sarebbe stato diverso, se egli avesse riconosciuto che tutte le direttive e i rimproveri rivolti a Israele provenivano da Dio. Il Signore aveva dimostrato molte volte di essere la vera guida d’Israele. Ma Kore e i suoi compagni respinsero anche l’evidenza: erano così accecati dall’ambizione che le più straordinarie manifestazioni del potere di Dio non riuscirono a dissuaderli dal loro proposito, e arrivarono perfino ad attribuirle ad agenti umani o satanici. Il popolo si comportò nello stesso modo: il giorno dopo la distruzione di Kore e dei suoi complici, si recò da Mosè e Aronne con questa accusa: “Voi avete fatto morire il popolo dell’Eterno”. Numeri 16:41.PP 341.1

    Benché gli israeliti avessero avuto le prove più convincenti della disapprovazione di Dio per il loro atteggiamento — la distruzione degli uomini che li avevano ingannati — essi osarono attribuire il giudizio divino a Satana. Dichiararono infatti che Mosè e Aronne avevano causato la morte di uomini onesti e fedeli a Dio, servendosi del potere del male. Questa calunnia segnò la loro condanna. Avevano peccato contro lo Spirito Santo: erano diventati insensibili all’influsso della grazia divina. “A chiunque parli contro il figliuol dell’uomo” disse Gesù, “sarà perdonato; ma a chiunque parli contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato...”. Matteo 12:32. Il Cristo pronunciò queste parole quando gli ebrei attribuirono all’azione di Beelzebub i suoi miracoli. Il Signore comunica con l’uomo attraverso lo Spirito Santo: coloro che rifiutano questo mezzo, ritenendolo satanico, interrompono ogni contatto tra sé e Dio.PP 341.2

    Lo Spirito Santo, infatti, è lo strumento dell’influsso divino sull’uomo: esso agisce sulla coscienza, inducendo chi è colpevole a capire il proprio errore e a pentirsi. Quando l’azione dello Spirito incontra un rifiuto definitivo, il Signore non può fare più nulla, perché l’ultima risorsa della grazia divina è stata respinta: il trasgressore ha chiuso ogni possibile comunicazione con Dio. Per questo genere di persone non esiste infatti nessun’altra possibilità di recupero. “Lascialo!” (Osea 4:17): questo è l’ordine divino. Perché “...non resta più alcun sacrificio per i peccati; rimangono una terribile attesa del giudizio e l’ardor d’un fuoco che divorerà gli avversari”. Ebrei 10:26, 27.PP 341.3

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