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Patriarchi e profeti - Contents
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    Capitolo 43: La morte di Mosè

    Dio, guidando la storia del suo popolo ha dimostrato amore e misericordia, e allo stesso tempo ha fornito le prove più evidenti della sua assoluta giustizia, come traspare da un lato dalle grandi benedizioni che ha concesso agli israeliti e da questa toccante immagine: “Pari all’aquila che desta la sua nidiata, si libera a volo sopra i suoi piccini, spiega le sue ali, li prende e li porta sulle penne, l’Eterno solo l’ha condotto”. Deuteronomio 32:11, 12. E dall’altro, dalla tempestività e severità con cui ha punito gli israeliti quando peccavano.PP 398.1

    Dio ha manifestato il suo amore donando il suo unico Figlio per redimere l’umanità perduta. Il Cristo venne in terra per rivelare agli uomini il carattere del Padre attraverso una vita attiva caratterizzata da compassione e tenerezza divine. Tuttavia lo stesso Cristo dichiarò: “Finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà”. Matteo 5:18. Quella voce che con pazienza e suppliche accorate invita il peccatore a rivolgersi a lui per trovare perdono e pace, nel giorno del giudizio intimerà a coloro che respingono la sua misericordia: “Andate via da me, maledetti”. Matteo 25:41. Tutta la Bibbia presenta Dio sia come un tenero padre sia come un giusto giudice. Per quanto il Signore desideri mostrare la sua misericordia e perdoni “l’iniquità, la trasgressione e il peccato” tuttavia “non terrà il colpevole per innocente”. Esodo 34:7.PP 398.2

    Il grande Sovrano delle nazioni aveva dichiarato che Mosè non avrebbe guidato le schiere d’Israele nella terra promessa e questa sentenza non fu revocata, neanche dalle suppliche più accorate del fedele collaboratore di Dio. Pur sapendo di dover morire, Mosè non smise neanche per un attimo di preoccuparsi per il popolo d’Israele, continuando a prepararlo per entrare nella terra promessa. Ubbidendo all’ordine divino, Mosè e Giosuè entrarono nel tabernacolo, mentre la colonna di nuvole si spostava davanti alla porta, dove Giosuè ricevette solennemente la responsabilità di guidare il popolo. La missione di Mosè, come guida del popolo d’Israele era conclusa ma, per l’amore che provava per il suo popolo, dimenticando se stesso e davanti a tutta l’assemblea d’Israele rivolse al suo successore queste belle parole di conforto nel nome di Dio: “...Sii forte e fatti animo, poiché tu sei quello che introdurrai i figliuoli d’Israele nel paese che giurai di dar loro; e io sarò teco”. Deuteronomio 31:23. Poi, indirizzandosi agli anziani e ai capi del popolo, li esortò solennemente a ubbidire alle istruzioni che aveva comunicato loro da parte di Dio.PP 398.3

    Il popolo, guardando quell’uomo canuto che ben presto li avrebbe lasciati, lo vide sotto una nuova luce e apprezzò le tenere attenzioni, i saggi consigli e il lavoro instancabile di Mosè. Quante volte quando i peccati del popolo avevano provocato la giusta condanna divina le preghiere di Mosè lo avevano risparmiato! Ma ora il dolore degli israeliti era reso più acuto dal rimorso. Ricordavano con amarezza che era stata la loro costante ribellione a indurre Mosè a commettere quel peccato per cui doveva morire.PP 399.1

    Per gli israeliti la separazione del loro amato capo sarebbe stata più dolorosa di qualsiasi altro rimprovero che avrebbero potuto ricevere se Mosè fosse rimasto ancora fra loro. Dio voleva che capissero che non dovevano rendere difficile la vita al loro futuro condottiero come avevano fatto con Mosè. Dio si rivela al suo popolo offrendogli preziose benedizioni, ma quando non vengono apprezzate le ritira perché si renda conto dei suoi peccati e ritorni a lui con tutto il cuore.PP 399.2

    In quello stesso giorno Mosè ricevette quest’ordine: “Sali... sul monte Nebo... e mira il paese di Canaan, ch’io do a possedere ai figliuoli d’Israele. Tu morrai sul monte sul quale stai per salire, e sarai riunito al tuo popolo”. Deuteronomio 32:49, 50.PP 399.3

    Spesso Mosè, ubbidendo agli ordini divini, si era allontanato dall’accampamento per stare in comunione con Dio. Ma questa volta doveva partire per un viaggio misterioso: andava a rimettere la propria vita nelle mani del Creatore. Mosè sapeva di dover morire da solo; nessun amico terreno lo avrebbe confortato nella sua ultima ora. La prospettiva era angosciante e il suo cuore fremeva. Ma la prova più severa era separarsi da quel popolo di cui si era preso cura, a cui si era unito dedicandogli tutta la sua vita. Mosè aveva imparato ad avere fiducia in Dio, ad affidarsi con vera fede, insieme a Israele, alla misericordia e all’amore divini.PP 399.4

    Per l’ultima volta, davanti al popolo riunito, guidato dallo Spirito di Dio benedisse ogni tribù con parole sublimi e toccanti, concludendo così: “O Ieshurun, nessuno è pari a Dio che, sul carro de’ cieli, corre in tuo aiuto, che, nella sua maestà, s’avanza sulle nubi: l’Iddio che ab antico è il tuo rifugio; e sotto a te stanno le braccia eterne. Egli scaccia d’innanzi a te il nemico, e ti dice: Distruggi! Israele starà sicuro nella sua dimora; la sorgente di Giacobbe sgorgherà solitaria in un paese di frumento e di mosto, e dove il cielo stilla la rugiada. Te felice, o Israele! Chi è pari a te, un popolo salvato dall’Eterno, ch’è lo scudo che ti protegge, e la spada che ti fa trionfare?” Deuteronomio 33:26-29.PP 399.5

    Mosè si allontanò dalla comunità, dirigendosi in silenzio e da solo verso la montagna. Salì sul “monte Nebo, in vetta al Pisga”. Su quella cima solitaria osservò il nitido paesaggio che si profilava davanti a lui. Molto lontano, a occidente, si estendevano le acque azzurre del mar Morto; a nord il monte Hermon si slanciava verso il cielo, a est c’era la pianura di Moab e più in là Basan, teatro dei recenti trionfi d’Israele e a sud, infine, si intravedeva il deserto in cui avevano vagato così a lungo.PP 400.1

    Mosè rivide la sua vita piena di vicissitudini e difficoltà sin dal momento in cui aveva abbandonato gli onori della corte e la prospettiva di regnare in Egitto, per unire il suo destino a quello del popolo scelto da Dio. Gli vennero in mente i lunghi anni trascorsi nel deserto con il gregge di Jethro, l’apparizione dell’Angelo nel pruno ardente, la chiamata per liberare Israele. Vide nuovamente i potenti miracoli che Dio aveva compiuto in favore del suo popolo, la grande bontà che Dio aveva dimostrato assistendolo negli anni in cui il popolo, per essersi ribellato, aveva vagato nel deserto. Nonostante le sue preghiere e i suoi sforzi soltanto due uomini del gruppo degli israeliti che aveva lasciato l’Egitto, si erano dimostrati sufficientemente fedeli da poter entrare nella terra promessa. Riesaminando la sua vita, le prove e i sacrifici affrontati, Mosè pensava che fosse stato tutto inutile.PP 400.2

    Tuttavia non disprezzò il compito che gli era stato affidato: sapeva che era stato Dio stesso a chiedergli di compiere quella missione. Mosè, che quando fu chiamato a liberare Israele dalla schiavitù non voleva accettare questa responsabilità, dal momento in cui l’assunse, la mantenne sino alla fine. Perfino quando il Signore gli aveva proposto di togliergli l’incarico e annientare quel popolo ribelle, Mosè non aveva acconsentito. Nonostante avesse dovuto affrontare grosse prove, egli aveva ricevuto consolanti dimostrazioni dell’approvazione divina; durante il soggiorno nel deserto era stato arricchito dalle manifestazioni della potenza e della gloria di Dio, e sperimentato il suo amore. Sentiva che era stata una decisione saggia aver scelto di soffrire insieme al popolo, piuttosto che godere dei piaceri del peccato per breve tempo.PP 400.3

    Esaminando la sua esperienza di capo del popolo di Dio, constatò che c’era una sola nota stonata: una trasgressione che lo condannava a morte. Ma fu rassicurato al pensiero che il Signore richiede il pentimento e la fede nel sacrificio promesso; allora Mosè confessò il suo peccato implorando il perdono nel nome di Gesù.PP 400.4

    Ed ecco delinearsi il panorama della terra promessa. Vide passare tutte le regioni di quel paese. Non in modo vago e confuso a causa della distanza ma come un quadro di una chiarezza e bellezza straordinarie. Non vedeva la terra promessa così com’era allora, ma come sarebbe diventata in seguito alle benedizioni divine, quando l’avrebbe posseduta Israele, e gli parve come il giardino dell’Eden. Le montagne erano rivestite di cedri del Libano; sulle colline, verdi e ricche di ulivi, si poteva gustare il profumo delle viti; ampie e fertili pianure erano ricche di fiori e vi crescevano palme tropicali; vedeva i campi ondeggianti di grano e orzo, le vallate ridenti, allietate dal mormorio dei ruscelli e dal canto degli uccelli; più in là belle città, giardini e laghi ricchi di pesci; sui fianchi delle colline pascolavano i greggi e tra le rocce le api custodivano i loro tesori. Era davvero un paese simile a quello che Mosè, ispirato da Dio, aveva descritto a Israele: “...Benedetto dall’Eterno coi doni più preziosi del cielo, con la rugiada, con le acque dell’abisso che giace in basso, coi frutti più preziosi che il sole matura... coi migliori prodotti dei monti antichi... coi doni più preziosi della terra e di quanto essa racchiude”. Deuteronomio 33:13-15.PP 401.1

    Mosè vide quando il popolo eletto, si sarebbe stabilito in Canaan, vide che ogni tribù aveva un proprio territorio; venne a conoscenza anche della lunga e triste storia degli israeliti dopo il loro insediamento nella terra promessa, fatto di apostasie e punizioni. Vide gli ebrei soggiogati, dispersi fra i pagani, prigionieri in terre lontane, con le loro città in rovina. Li vide anche tornare nella terra dei loro padri e, infine, oppressi dal dominio di Roma.PP 401.2

    Guardando attraverso il tempo gli fu anche mostrato il primo avvento del Salvatore; vide Gesù molto piccolo, a Betlemme. Udì le schiere degli angeli prorompere nel gioioso canto di lode a Dio e di pace verso gli uomini. Osservò in cielo la stella che guidava i magi dall’oriente fino a Gesù, e mentre ricordava le parole profetiche — “Un astro sorge da Giacobbe, e uno scettro s’eleva da Israele” (Numeri 24:17) — una grande luce illuminava la sua mente. Contemplò l’umile vita del Cristo a Nazaret, la sua missione caratterizzata dall’amore, dalla simpatia e dal desiderio di alleviare le sofferenze, che venne rifiutata da una nazione orgogliosa e incredula. Udì con stupore come questo popolo esaltasse apparentemente la legge di Dio, mentre ingannava e respingeva colui che gli aveva affidato questa legge. Vide Gesù sul monte degli Ulivi dare l’addio alla città da lui tanto amata. E quando Mosè constatò che quel popolo, così benedetto da Dio e per il quale aveva tanto lavorato, pregato e si era sacrificato, per il quale aveva voluto che il suo nome fosse cancellato dal libro della vita, veniva rigettato, e quando udì queste terribili parole: “Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta” (Matteo 23:38), il suo cuore fu stretto dalla morsa dell’angoscia e lacrime amare scesero dai suoi occhi. Mosè comprese la tristezza del Figlio di Dio.PP 401.3

    Seguì il Salvatore al Getsemani, ne vide l’agonia nel giardino, il tradimento, gli insulti, la flagellazione e la crocifissione. Comprese che come egli aveva innalzato il serpente nel deserto, anche il Figlio di Dio doveva essere innalzato affinché chiunque avrebbe creduto in lui “non sarebbe perito ma avrebbe avuto vita eterna”. Giovanni 3:16. E appena Mosè vide l’ipocrisia e l’odio diabolico che la nazione ebraica manifestò nei confronti del proprio Redentore, l’Angelo potente che aveva guidato i suoi padri, fu addolorato e si indignò. Mosè udì il grido angoscioso del Cristo: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Marco 15:34); e lo vide inerme nella tomba nuova di Giuseppe mentre la disperazione più cupa avvolgeva il mondo. Ma ecco il Cristo risorgere come un conquistatore, ascendere al cielo insieme agli angeli che lo adoravano, guidare folle di “prigionieri”. Vide le porte splendenti aprirsi per riceverlo, e gli eserciti del cielo dare il benvenuto al loro condottiero con canti di trionfo. Gli fu rivelato che anche lui sarebbe stato fra coloro che avrebbero atteso il Salvatore per aprirgli le porte eterne. Quelle immagini lo resero pienamente felice. Come apparivano piccoli i sacrifici e le prove della sua vita se paragonati a quelli del Figlio di Dio! Quanto erano lievi, rispetto a quel “grande, smisurato, eterno peso di gloria”. 2 Corinzi 4:17. Gioì perché, anche se in misura ridotta, gli era stato concesso di partecipare alle sofferenze del Cristo.PP 402.1

    Mosè vide i discepoli di Gesù annunciare il messaggio del Vangelo al mondo. Comprese che, nonostante il popolo d’Israele “secondo la carne” non fosse riuscito a raggiungere l’ideale a cui Dio lo aveva chiamato — non diventando la luce del mondo, disprezzando la misericordia divina, non ricevendo le benedizioni come popolo eletto — il Signore non aveva respinto i discendenti di Abramo. Il piano glorioso che l’Eterno voleva che Israele eseguisse, doveva essere adempiuto. Tutti coloro che grazie al Cristo sarebbero diventati figli della fede, sarebbero stati considerati progenie di Abramo, eredi del patto. Come Abramo, essi sarebbero stati chiamati a custodire e a far conoscere al mondo la legge di Dio e il messaggio di suo Figlio. Mosè vide brillare la luce del Vangelo, che i discepoli di Gesù annunciavano a coloro che “giacevano... nell’ombra” (Matteo 4:16), e davanti al quale vide schierarsi, dai paesi dei gentili, migliaia di persone. Si rallegrò per la crescita e la prosperità d’Israele.PP 402.2

    In un’altra scena gli fu mostrata l’opera che compiva Satana per indurre gli ebrei a respingere il Cristo, pur professando di onorare la legge del Padre. Vide cadere anche il mondo cristiano nello stesso inganno: affermando di accettare il Cristo e respingendo la legge di Dio; e mentre prima aveva sentito i sacerdoti e gli anziani gridare: “Crocifiggilo, Crocifiggilo!”, ora coloro che si professavano cristiani gridavano: “Eliminate la legge!” Vide il comandamento del sabato, calpestato e sostituito da una falsa istituzione, e ancora una volta Mosè, meravigliato, inorridì. Come potevano affermare di credere in Cristo e temere Dio respingendo la legge annunciata dalla sua stessa voce sul monte sacro e su cui è fondato il governo dei cieli e della terra? Mosè constatò con gioia che almeno alcuni fedeli onoravano ed esaltavano la legge di Dio. Egli vide l’ultima grande lotta in cui le potenze terrene cercavano di distruggere coloro che osservavano la legge. Vide il tempo in cui Dio avrebbe punito gli abitanti della terra per la loro malvagità, proteggendo nel giorno dell’ira divina coloro che rispettavano il suo nome. Udì il patto di pace stipulato da Dio con chi era rimasto fedele alla sua legge, una voce proveniente dal cielo scosse la terra. Vide il ritorno del Cristo in gloria e i giusti risorgere per la vita eterna: insieme ai santi viventi, traslati senza aver visto la morte, salivano alla città di Dio innalzando canti di gioia.PP 403.1

    Gli apparve la visione della terra liberata dalla maledizione, ancora più bella della terra promessa che gli era stata mostrata poco prima. Proprio là, dove il peccato e la morte non possono entrare, i salvati trovavano una dimora eterna. Mosè contemplò, pervaso da una gioia indicibile, l’adempimento di una liberazione gloriosa, al di là delle sue speranze più ottimistiche. Finiti per sempre i pellegrinaggi terreni, l’Israele di Dio entrava, alla fine, in un paese magnifico.PP 403.2

    La visione svanì, e agli occhi di Mosè apparve in lontananza la terra di Canaan; ed egli, come un guerriero stanco, si sdraio per riposarsi. “Mosè, servo dell’Eterno, morì quivi, nel paese di Moab, come l’Eterno aveva comandato E l’Eterno lo seppellì nella valle, nel paese di Moab dirimpetto a Beth-Peor e nessuno fino a questo giorno ha mai saputo dove fosse la sua tomba”. Deuteronomio 34:5, 6. Molti di coloro che non avevano voluto ascoltare i messaggi di Mosè quando era in vita, se avessero trovato la sua tomba forse l’avrebbero adorata. È per questo che il corpo di quel fedele servitore di Dio fu nascosto dagli angeli, che lo seppellirono e vegliarono sulla sua tomba solitaria.PP 403.3

    “Non è mai più sorto in Israele un profeta simile a Mosè, col quale l’Eterno abbia trattato faccia a faccia. Niuno è stato simile a lui in tutti quei segni e miracoli che Dio lo mandò a fare... né simile a lui in tutti quegli atti potenti e in tutte quelle gran cose tremende, che Mosè fece dinanzi agli occhi di tutto Israele”. Deuteronomio 34:10-12.PP 403.4

    Se Mosè non avesse trascurato di riconoscere che era stato Dio a far scaturire l’acqua dalla roccia di Kades, macchiando la sua vita con quel peccato, sarebbe entrato nella terra promessa e sarebbe stato traslato in cielo senza vedere la morte. Egli, comunque, non rimase a lungo nella tomba; il Cristo stesso, con gli angeli che avevano sepolto Mosè, sarebbe sceso dal cielo per richiamarlo dal sonno dei giusti. Satana aveva esultato perché era riuscito a far peccare Mosè e a renderlo quindi soggetto alla morte. Il grande avversario dichiarava che la sentenza divina, “Sei polvere e in polvere ritornerai” (Genesi 3:19), lo rendeva signore dei morti. Precedentemente, la morte non era mai stata vinta e Satana sosteneva che tutti coloro che giacevano nella tomba erano suoi prigionieri per sempre.PP 404.1

    Ma il Cristo, per la prima volta, avrebbe ridato la vita a un morto. Quando il Principe della vita si avvicinò alla tomba, insieme agli angeli, Satana temette che la sua supremazia fosse in pericolo. Si mise a protestare, sostenuto dai suoi seguaci, per un’invasione di territorio che rivendicava come suo. Si era vantato di aver reso prigionieri i figli di Dio e aveva dichiarato che perfino Mosè non aveva potuto osservare la legge divina. Quest’ultimo, infatti, si era attribuito la gloria dovuta all’Eterno proprio lo stesso peccato che era costato a Satana il suo allontanamento dal cielo — cadendo, per questa trasgressione, sotto il suo dominio. Il primo traditore contestò, come aveva fatto all’inizio, il governo divino e si lamentò dell’ingiustizia che Dio avrebbe dimostrato nei suoi confronti.PP 404.2

    Il Cristo non si abbassò a contendere con Satana. Avrebbe potuto rinfacciargli la terribile opera che aveva compiuto in cielo, provocando con l’inganno la rovina di molti dei suoi abitanti; avrebbe potuto ricordargli la falsità che aveva dimostrato in Eden, tentando Adamo. Facendo quindi cadere sull’umanità la maledizione della morte avrebbe anche potuto ricordargli che era stato lui a indurre Israele a lamentarsi e a ribellarsi, a mettere alla prova la grande pazienza del loro capo che in un momento di debolezza aveva peccato, cadendo sotto il dominio della morte. Ma il Cristo rimise tutto nelle mani del Padre, dicendo: “Ti sgridi il Signore”. Giuda 1:9. Il Salvatore non entrò in polemica con il tentatore, ma aprì una prima breccia nella fortezza del suo avversario, ridando la vita a Mosè. Questo atto dava a Satana una prova perentoria della superiorità del Figlio di Dio: i giusti sarebbero risuscitati. La certezza della risurrezione dai morti privava Satana della sua preda.PP 404.3

    Il peccato di Mosè, i suoi meriti, lo rendevano un prigioniero legittimo di Satana e della morte ma egli, nel nome del Redentore ottenne la grazia e risuscitò a vita immortale; uscì dalla tomba glorificato per salire con il suo Liberatore verso la città di Dio.PP 405.1

    Prima del sacrificio del Cristo, nulla illustrava in maniera più eloquente la giustizia e l’amore di Dio della vita di Mosè. Dio impedì a Mosè di entrare in Canaan per insegnare una lezione che non dovremmo mai dimenticare; il Creatore richiede un’ubbidienza rigorosa e gli uomini devono stare attenti a non attribuirsi la gloria dovuta solo a lui. Pur non potendo esaudire la preghiera di Mosè, permettendogli di condividere l’eredità d’Israele, l’Eterno non dimenticò né abbandonò il suo servo. Il Dio dei cieli conosceva le sofferenze che Mosè aveva provato; aveva notato il servizio fedele compiuto in quei lunghi anni di lotta e di prove, e sulla cima del monte Pisga, chiamò Mosè a un’eredità infinitamente più gloriosa di quella della Canaan terrena.PP 405.2

    Mosè fu presente insieme a Elia, il profeta che era stato traslato sul monte della trasfigurazione, per portare al Figlio la luce e la gloria del Padre. Così si adempì la preghiera di Mosè, pronunciata tanti secoli prima. Egli rimase sulla “buona montagna”, all’interno della terra del suo popolo, per offrire una testimonianza di colui sul quale si fondavano tutte le speranze d’Israele. Questo è l’ultimo episodio della storia di un uomo così onorato dal cielo.PP 405.3

    Come Mosè stesso dichiarò a Israele, egli prefigurava il Cristo: “L’Eterno il tuo Dio, ti susciterà un profeta come me, in mezzo a te, d’infra i tuoi fratelli; a quello darete ascolto”. Deuteronomio 18:15. Dio ritenne opportuno educare Mosè alla scuola dell’afflizione e della povertà per prepararlo a guidare le schiere d’Israele nella Canaan terrena. L’Israele di Dio, nel suo viaggio verso la Canaan celeste, ha un Capo che, pur non avendo bisogno di prepararsi per essere una guida, ha voluto diventare perfetto attraverso la sofferenza. Infatti “...in quanto Egli stesso ha sofferto, essendo tentato, può soccorrere quelli che son tentati”. Ebrei 2:10, 12. Il nostro Redentore non dimostrò nessuna debolezza o imperfezione; tuttavia morì per ottenere per noi l’accesso alla terra promessa.PP 405.4

    “E Mosè fu bensì fedele in tutta la casa di Dio come servitore per testimoniar delle cose che dovevano esser dette; ma Cristo lo è come Figlio sopra la sua casa; e la sua casa siamo noi se riteniam ferma sino alla fine la nostra franchezza e il vanto della nostra speranza”. Ebrei 3:5, 6.PP 405.5

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