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Patriarchi e profeti - Contents
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    Capitolo 36: Israele nel deserto

    Gli israeliti vagarono nel deserto per quasi quarant’anni. “Or il tempo che durarono le nostre marce” racconta Mosè “da Kades-Barnea al passaggio del torrente di Zered, fu di trentotto anni, finché tutta quella generazione degli uomini di guerra scomparve interamente dal campo, come l’Eterno l’aveva loro giurato. E infatti la mano dell’Eterno fu contro a loro per sterminarli dal campo, finché fossero del tutto scomparsi”. Deuteronomio 2:14, 15.PP 342.1

    Durante quel lungo periodo, Israele fu costantemente costretto a scontrarsi con la dura realtà della condanna divina.PP 342.2

    Ribellandosi a Kades, gli ebrei avevano rifiutato Dio perciò Egli decise di abbandonarli a se stessi per qualche tempo. Avevano tradito il patto con il Signore, e quindi non potevano più praticare la circoncisione, simbolo della promessa divina.PP 342.3

    Chiedendo di ritornare in Egitto, gli israeliti avevano dimostrato di non meritare la libertà. Quindi, anche la celebrazione della Pasqua — che commemorava la liberazione dalla schiavitù — venne sospesa.PP 342.4

    I servizi del santuario, invece, continuarono come sempre, per testimoniare che Dio non aveva abbandonato completamente il suo popolo. Egli provvedeva ancora a tutte le loro necessità. “Poiché l’Eterno il tuo Dio, ti ha benedetto in tutta l’opera delle tue mani” disse Mosè ricordando le vicende di quel lungo pellegrinaggio “t’ha seguito nel tuo viaggio attraverso questo gran deserto; l’Eterno, il tuo Dio, è stato teco durante questi quarant’anni e non t’è mancato nulla”. Deuteronomio 2:7. L’inno dei leviti, riportato da Nehemia, descrive con chiarezza le premure che Dio dimostrò per Israele, nonostante la condanna. “Tu nella tua immensa misericordia non li abbandonasti nel deserto” scrive Nehemia “...la colonna di nuvola che stava su loro non cessò di guidarli durante il giorno per il loro cammino, e la colonna di fuoco non cessò di rischiarare loro la via per la quale doveano camminare. E desti loro il Tuo buono spirito per istruirli, e non rifiutasti la Tua manna alle loro bocche, e desti loro dell’acqua quando erano assetati. Per quarant’anni li sostentasti nel deserto, e non mancò loro nulla; le loro vesti non si logorarono e i loro piedi non si gonfiarono”. Neemia 9:19-21.PP 342.5

    L’esilio d’Israele nel deserto ebbe la funzione di preparare le nuove generazioni all’ingresso nella terra promessa: non fu soltanto una punizione per i ribelli e i contestatori. Mosè infatti aveva detto: “...Come un uomo corregge il suo figliuolo, così l’Iddio tuo, l’Eterno, corregge te... per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, e se tu osserveresti o no i Suoi comandamenti. Egli dunque t’ha umiliato, t’ha fatto provar la fame, poi t’ha nutrito di manna che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avean mai conosciuta, per insegnarti che l’uomo non vive soltanto di pane, ma vive di tutto quello che la bocca dell’Eterno avrà ordinato”. Deuteronomio 8:5, 2, 3.PP 343.1

    “Egli lo trovò in una terra deserta, in una solitudine piena d’urli e di desolazione. Egli lo circondò, ne prese cura, lo custodì come la pupilla dell’occhio suo”. Deuteronomio 32:10.PP 343.2

    “In tutte le loro distrette, Egli stesso fu in distretta, e l’angelo della sua faccia lo salvò; nel suo amore e nella sua longanimità ei li redense; se li tolse in ispalla, e sempre li portò nei tempi andati”. Isaia 63:9.PP 343.3

    Tuttavia, il resoconto di quei quarant’anni nel deserto presenta da parte degli ebrei soltanto tentativi di rivolta contro il Signore. La ribellione di Kore aveva causato la morte di quattordicimila uomini. Quello stesso spirito di contestazione nei confronti dell’autorità di Dio si manifestò ancora in altre occasioni. Una legge divina stabiliva che i discendenti degli egiziani dovevano rimanere esclusi dalla comunità degli ebrei fino alla terza generazione. Un gruppo numeroso, appartenente a questa categoria, aveva lasciato l’Egitto per seguire il popolo degli schiavi. Un giorno avvenne che il figlio di una donna israelita e di un egiziano lasciò il posto assegnatogli, ai margini dell’accampamento, e rivendicò il diritto di piantare la sua tenda nella zona riservata agli israeliti.PP 343.4

    Nacque una disputa, e il caso fu sottoposto all’esame dei giudici. Essi emisero una sentenza sfavorevole al contestatore. Allora l’uomo maledisse i giudici e, in un impeto di rabbia, bestemmiò il nome di Dio. Fu immediatamente portato davanti a Mosè. Benché esistesse il comandamento: “Chi maledice suo padre e sua madre deve essere messo a morte” (Esodo 21:17), nessuna norma esistente prevedeva un caso simile. Il crimine commesso era così terribile che fu richiesta a Dio una direttiva specifica. In attesa della manifestazione della volontà divina, l’uomo fu imprigionato. La sentenza, pronunciata direttamente dal Signore, stabilì che egli sarebbe stato condotto fuori dal campo e lapidato.PP 343.5

    Coloro che erano stati testimoni della bestemmia posero le mani sulla testa del condannato, confermando solennemente l’accusa; poi scagliarono le prime pietre, lasciando ai presenti il compito di eseguire la sentenza.PP 343.6

    In seguito al fatto, fu istituita una legge contro questo reato: “E parla ai figliuoli d’Israele, e di’ loro: Chiunque maledirà il suo Dio porterà la pena del suo peccato. E chi bestemmia il nome dell’Eterno dovrà esser messo a morte. Tutta la raunanza lo dovrà lapidare. Sia straniero o nativo del paese, quando bestemmi il nome dell’Eterno, sarà messo a morte”. Levitico 24:15, 16.PP 344.1

    Alcuni, considerando la severità con cui venne punita una frase pronunciata in un momento di rabbia, dubitano dell’amore e della giustizia di Dio. Quella condanna esemplare doveva ricordare l’importanza del rispetto per il nome di Dio. Se l’errore di quell’uomo fosse rimasto impunito, altri lo avrebbero commesso, e ciò avrebbe provocato forse la perdita di molte vite umane.PP 344.2

    Il gruppo eterogeneo che aveva seguito Israele nell’esodo dall’Egitto aveva esposto il popolo a continue difficoltà e tentazioni. Gli stranieri che ne facevano parte avevano aderito al culto del vero Dio solo in modo formale: l’ambiente culturale pagano da cui provenivano continuava a influenzare il loro comportamento e le loro abitudini. In modo più o meno evidente, essi erano ancora legati a forme religiose idolatriche, e dimostravano scarso rispetto per il Signore. Erano sempre i primi a fomentare la discordia e a lamentarsi, inducendo gli ebrei ad aderire alle pratiche pagane e a ribellarsi contro Dio.PP 344.3

    Gli israeliti avevano appena ripreso il loro cammino nel deserto, quando si verificò un caso di trasgressione del sabato: le circostanze in cui il fatto avvenne resero la colpa ancora più grave. La condanna che Dio aveva pronunciato contro gli israeliti, colpevoli di aver adorato il vitello d’oro, aveva creato infatti un clima di rivolta. Un ebreo, adirato per essere stato escluso dalla terra di Canaan, decise di sfidare la legge divina andando a raccogliere la legna di sabato. Per tutto il periodo in cui Israele visse nel deserto, fu rigidamente proibito accendere il fuoco durante il settimo giorno: d’altra parte, ciò era superfluo, data la temperatura. L’ordine fu revocato nella terra di Canaan, dove il clima rigido rendeva necessario riscaldarsi. L’azione di quell’uomo costituiva quindi una violazione deliberata del quarto comandamento. Il gesto non era stato causato da trascuratezza o ignoranza, ma da presunzione.PP 344.4

    L’uomo fu colto sul fatto e portato davanti a Mosè. Chi trasgrediva il comandamento del sabato doveva essere punito con la morte, ma Dio non aveva rivelato le modalità della condanna. Mosè presentò il caso al Signore e ricevette quest’ordine: “...Quell’uomo deve essere messo a morte; tutta la raunanza lo lapiderà fuori del campo”. Numeri 15:35. La bestemmia e la deliberata trasgressione del sabato prevedevano la stessa pena: l’essenza di queste trasgressioni è infatti il disprezzo dell’autorità di Dio.PP 344.5

    Oggi molti rifiutano di ammettere che il sabato sia stato istituito alla creazione, e affermano che si tratta di una prescrizione per gli ebrei. Essi sostengono che se fosse ancora vincolante, i trasgressori dovrebbero essere puniti con la morte. Queste persone dimenticano che chi bestemmiò fu punito come chi trasgredì il sabato. Il terzo comandamento, che condanna l’oltraggio al nome di Dio, certamente non era valido solo per gli ebrei. L’argomento che richiama la condanna a morte si dovrebbe quindi applicare non solo al quarto comandamento, ma anche al terzo, al quinto e a quasi tutti gli altri dieci, che però sono considerati ancora validi. Anche se Dio oggi non colpisce materialmente chi trasgredisce i comandamenti, la Bibbia dichiara che la conseguenza del peccato è la morte. Il giudizio finale dimostrerà che questo è il destino di coloro che violano la legge sacra.PP 345.1

    Ripetendo di settimana in settimana il miracolo della manna, durante i quarant’anni nel deserto, il Signore ricordava al suo popolo di osservare il sabato. Tuttavia, questo esempio non fu sufficiente a rendere ubbidienti gli israeliti. Essi non osarono mai trasgredire apertamente l’ordine divino, perché temevano una punizione esemplare, ma lo osservarono in modo del tutto superficiale. Dio dichiarò attraverso un suo profeta: “Profanarono grandemente i miei sabati”. Cfr. Ezechiele 20:13-24. Questo comportamento era stato uno dei motivi per cui il Signore aveva deciso di escludere dal possesso della terra promessa la prima generazione di ebrei vissuti nel deserto. Nonostante questa condanna, neppure la generazione successiva imparò la lezione e durante quei quarant’anni di pellegrinaggio l’osservanza del sabato fu quasi abbandonata. Le colpe degli israeliti furono così gravi che Dio, pur non proibendo loro di entrare in Canaan, dichiarò che dopo l’insediamento nella terra promessa, sarebbero stati dispersi fra i popoli pagani.PP 345.2

    Dopo il soggiorno a Kades il popolo si diresse verso il deserto. Quando finì il periodo dell’esilio, in quell’ambiente desolato, “...tutta la raunanza dei figliuoli d’Israele arrivò al deserto di Tsin il primo mese, e il popolo si fermò a Kades....”. Numeri 20:1.PP 345.3

    Miriam morì e fu sepolta in quel luogo. Milioni di ebrei erano usciti dall’Egitto, pieni di speranze, e avevano gioito per il trionfo del Signore, danzando e cantando sulle rive del mar Rosso. Condannati dalle loro colpe, subirono tutti lo stesso destino: la morte nel deserto, al termine di una vita randagia e priva di pace. La nuova generazione avrebbe imparato la lezione? “Con tutto ciò peccarono ancora, e non credettero alle Sue meraviglie... Quand’Ei li uccideva, essi Lo ricercavano e tornavano bramosi di ritrovare Iddio; e si ricordavano che Dio è la loro rocca, è l’Iddio altissimo, il loro Redentore”. Salmi 78:32-35. Il loro pentimento, però, non era profondo e sincero: perseguitati dai loro nemici, gli israeliti si rivolgevano a colui che li poteva liberare ma “il loro cuore non era diritto verso Lui, e non eran fedeli al Suo patto. Ma Egli, che è pietoso, che perdona l’iniquità e non distrugge il peccatore, più volte rattenne la Sua ira, e non lasciò divampare tutto il Suo cruccio. Ei si ricordò che essi erano carne, un fiato che passa e non ritorna”. Salmi 78:37-39.PP 345.4

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