Capitolo 21: Giuseppe e i suoi fratelli
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- Introduzione
- Capitolo 1: L’origine del male
- Capitolo 2: La creazione
- Capitolo 3: La tentazione e la caduta
- Capitolo 4: Il piano della salvezza
- Capitolo 5: La prova di Caino e Abele
- Capitolo 6: Seth ed Enoc
- Capitolo 7: Il diluvio
- Capitolo 8: Dopo il diluvio
- Capitolo 9: La prima settimana
- Capitolo 10: La torre di Babele
- Capitolo 11: Dio chiama Abramo
- Capitolo 12: Abramo in Canaan
- Capitolo 13: Il sacrificio di Isacco
- Capitolo 14: La distruzione di Sodoma
- Capitolo 15: Il matrimonio di Isacco
- Capitolo 16: Giacobbe ed Esaù
- Capitolo 17: L’esilio di Giacobbe
- Capitolo 18: La lotta notturna
- Capitolo 19: Il ritorno di Giacobbe in Canaan
- Capitolo 20: Giuseppe in Egitto
- Capitolo 21: Giuseppe e i suoi fratelli
- Capitolo 22: Mosè
- Capitolo 23: Le piaghe d’Egitto
- Capitolo 24: La Pasqua
- Capitolo 25: L’esodo
- Capitolo 26: Dal mar Rosso al Sinai
- Capitolo 27: La legge proclamata al Sinai
- Capitolo 28: L’idolatria al Sinai
- Capitolo 29: Satana e la legge di Dio
- Capitolo 30: Il tabernacolo e il rituale
- Capitolo 31: Nadab e Abihu
- Capitolo 32: La legge e le alleanze
- Capitolo 33: Dal Sinai a Kades
- Capitolo 34: Le dodici spie
- Capitolo 35: La ribellione di Kore
- Capitolo 36: Israele nel deserto
- Capitolo 37: La roccia simbolica
- Capitolo 38: Il viaggio intorno a Edom
- Capitolo 39: La conquista di Basan
- Capitolo 40: Balaam
- Capitolo 41: L’apostasia al Giordano
- Capitolo 42: La ricapitolazione della legge
- Capitolo 43: La morte di Mosè
- Capitolo 44: Il passaggio del giordano
- Capitolo 45: La vittoria di Gerico
- Capitolo 46: Benedizioni e maledizioni
- Capitolo 47: L’alleanza con i gabaoniti
- Capitolo 48: La spartizione del territorio di Canaan
- Capitolo 49: Le ultime parole di Giosuè
- Capitolo 50: Le decime e le offerte
- Capitolo 51: Dio si occupa dei poveri
- Capitolo 52: Le feste annuali
- Capitolo 53: I primi giudici
- Capitolo 54: Sansone
- Capitolo 55: Il piccolo Samuele
- Capitolo 56: Eli e i suoi figli
- Capitolo 57: L’arca presa dai filistei
- Capitolo 58: Le scuole dei profeti
- Capitolo 59: Il primo re d’Israele
- Capitolo 60: La presunzione di Saul
- Capitolo 61: Saul respinto da Dio
- Capitolo 62: L’unzione di Davide
- Capitolo 63: Davide e Golia
- Capitolo 64: Davide il fuggiasco
- Capitolo 65: La generosità di Davide
- Capitolo 66: La morte di Saul
- Capitolo 67: Spiritismo antico e moderno
- Capitolo 68: Davide a Tsiklag
- Capitolo 69: L’incoronazione di Davide
- Capitolo 70: Il regno di Davide
- Capitolo 71: Il peccato e il pentimento di Davide
- Capitolo 72: La ribellione di Absalom
- Capitolo 73: Gli ultimi anni di Davide
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Capitolo 21: Giuseppe e i suoi fratelli
I preparativi, in vista dell’imminente carestia, cominciarono proprio all’inizio del periodo di maggiore prosperità. Sotto la guida di Giuseppe, in tutte le principali località dell’Egitto furono costruiti enormi magazzini per conservare il raccolto in eccedenza. Questa politica continuò per tutti e sette gli anni di abbondanza, finché la quantità di grano conservata divenne incalcolabile. I sette anni di difficoltà predetti da Giuseppe stavano per iniziare. “...E ci fu carestia in tutti i paesi; ma in tutto il paese d’Egitto c’era del pane. Poi la carestia s’estese a tutto il paese d’Egitto, e il popolo gridò a Faraone per aver del pane. E Faraone disse a tutti gli Egiziani: Andate da Giuseppe, e fate quello che vi dirà. La carestia era sparsa su tutta la superficie del paese, e Giuseppe aperse tutti i depositi e vendé grano agli Egiziani...”. Genesi 41:54-56.PP 184.1
La carestia si diffuse e interessò tutto il paese di Canaan; nella zona in cui abitava Giacobbe fu particolarmente grave. Avendo saputo dell’abbondante approvvigionamento ordinato dal re d’Egitto, dieci dei figli del patriarca partirono per acquistare del grano. Quando arrivarono, furono inviati dal viceré a cui vennero presentati insieme ad altri postulanti. Essi “...si prostrarono davanti a lui con la faccia a terra... E Giuseppe riconobbe i suoi fratelli, ma essi non riconobbero lui”. Genesi 42:6, 8. Il suo nome ebraico era stato sostituito con un altro appellativo, impostogli dal re; inoltre, il primo ministro d’Egitto assomigliava veramente poco al ragazzo che essi avevano venduto agli ismaeliti. Quando Giuseppe vide i suoi fratelli inchinarsi davanti a lui, in segno di rispetto, si ricordò dei suoi sogni. Le scene del passato affiorarono con chiarezza alla sua mente. Osservando quel gruppo, scoprì subito che mancava Beniamino: era forse rimasto vittima di quegli uomini crudeli e traditori? Era deciso a conoscere la verità. “...Voi siete delle spie!” disse severamente. “Siete venuti per vedere i luoghi sforniti dei paese!” Genesi 42:9.PP 184.2
Essi risposero: “...No, signor mio; i tuoi servitori son venuti a comprar de’ viveri. Siamo tutti figliuoli d’uno stesso uomo; siamo gente sincera, i tuoi servitori non son delle spie”. Genesi 42:10, 11. Giuseppe voleva sapere se in loro prevaleva ancora l’atteggiamento arrogante che conosceva così bene; inoltre, desiderava avere notizie della sua famiglia. Sapeva che le loro dichiarazioni, probabilmente, non sarebbero state sincere. Ripeté l’accusa ed essi replicarono: “...Noi, tuoi servitori, siamo dodici fratelli, figliuoli di uno stesso uomo, del paese di Canaan. Ed ecco, il più giovane è oggi con nostro padre e uno non è più”. Genesi 42:13.PP 184.3
Il governatore finse di dubitare dell’autenticità del loro racconto, considerandoli come delle spie. Dichiarò quindi che li avrebbe messi alla prova: chiese che uno di loro ritornasse a casa e conducesse il fratello minore in Egitto, mentre gli altri sarebbero rimasti. Se non avessero ubbidito, avrebbero subìto il trattamento riservato alle spie. Ma i figli di Giacobbe non avevano il coraggio di accettare quella proposta: il tempo necessario per attuarla avrebbe costretto le loro famiglie a soffrire la fame. Del resto chi avrebbe voluto affrontare il viaggio da solo, lasciando gli altri fratelli in prigione? Con quali parole avrebbe spiegato la situazione al padre? Ormai si profilava davanti a loro la prospettiva di una condanna a morte o alla schiavitù. Se Beniamino fosse stato portato in Egitto avrebbe certamente condiviso il loro destino. Decisero quindi di rimanere e soffrire insieme, piuttosto che addolorare ulteriormente il padre con la perdita dell’unico figlio che gli rimaneva. Furono quindi gettati in prigione e vi rimasero per tre giorni.PP 185.1
Il carattere dei figli di Giacobbe era cambiato durante gli anni in cui Giuseppe era vissuto lontano da loro. In passato erano stati invidiosi, facilmente irritabili, falsi, crudeli e vendicativi; ora invece, provati dalle difficoltà, si dimostravano altruisti, sinceri e affezionati al padre. Nonostante fossero ormai uomini maturi, rispettavano l’autorità paterna.PP 185.2
I tre giorni trascorsi nella prigione egiziana permisero ai fratelli di riflettere seriamente sui loro errori passati. Se non avessero fatto venire Beniamino in Egitto, la loro condanna come spie sarebbe stata certa. D’altra parte, vi erano poche speranze che il padre acconsentisse a lasciar andare il suo ultimo figlio. Il terzo giorno Giuseppe li fece chiamare; non aveva il coraggio di trattenerli ancora. Suo padre e le famiglie della sua casa forse soffrivano già la fame. “...Fate questo, e vivrete” disse Giuseppe. “Io temo Iddio! Se siete gente sincera, uno di voi fratelli resti qui incatenato nella vostra prigione, e voi, andate, portate del grano per la necessità delle vostre famiglie; e menatemi il vostro fratello più giovine; così le vostre parole saranno verificate, e voi non morrete...”. Genesi 42:18-20.PP 185.3
Tutti accettarono la proposta, sebbene temessero che il padre non permettesse la partenza di Beniamino. Giuseppe aveva comunicato con loro tramite un interprete ed essi, pensando di non essere capiti, parlavano liberamente fra loro in sua presenza. Si accusavano per il modo in cui lo avevano trattato: “...Sì, noi fummo colpevoli verso il nostro fratello, giacché vedemmo l’angoscia dell’anima sua quando egli ci supplicava, e non gli demmo ascolto! Ecco perché ci viene addosso quest’angoscia”. Genesi 42:21. Ruben, che a Dotan aveva progettato un piano per liberarlo, aggiunse: “...Non ve lo dicevo io: Non commettete questo peccato contro il fanciullo? Ma voi non mi voleste dare ascolto. Perciò, ecco, che il sangue ci è ridomandato”. Genesi 42:22. Giuseppe ascoltava: non riuscendo a controllare la sua emozione uscì e pianse. Al suo ritorno, ordinò che Simeone fosse incatenato in loro presenza e portato in prigione. Scelse Simeone perché era stato l’istigatore dei suoi fratelli e il principale artefice del loro misfatto.PP 185.4
Prima di permettere la partenza dei fratelli, Giuseppe dispose che ricevessero i rifornimenti di grano. Ordinò che il denaro di ognuno fosse nascosto all’imboccatura dei sacchi. Inoltre, essi ebbero il foraggio per nutrire gli animali durante il viaggio di ritorno. Lungo la strada uno di loro, aprendo il sacco, vi trovò con sorpresa il proprio denaro. Informò gli altri della scoperta: tutti ne furono allarmati e perplessi e dicevano l’uno all’altro: “Che è mai questo che Dio ci ha fatto?” Genesi 42:28. Era forse un segno delle benedizioni divine? Oppure il Signore aveva permesso che ciò avvenisse per punirli delle loro colpe e trascinarli in una situazione ancora più difficile? Conclusero che Dio fosse a conoscenza dei loro crimini e li stesse punendo.PP 186.1
Giacobbe aspettava con impazienza il ritorno dei figli: appena arrivarono, tutto l’accampamento si riunì intorno a loro. Essi raccontarono al padre ciò che era successo. Tutti furono presi dall’agitazione e dallo spavento: il comportamento del governatore egiziano faceva pensare a qualche piano malvagio. I loro timori furono confermati quando aprirono i sacchi: ognuno vi trovò il proprio denaro. Preso dall’angoscia, il vecchio padre esclamò: “...Voi m’avete privato dei miei figliuoli! Giuseppe non è più, Simeone non è più, e mi volete togliere anche Beniamino! Tutto questo cade addosso a me!” E Ruben disse a suo padre: ‘Se non te lo rimeno, fa’ morire i miei due figliuoli! Affidalo a me, io te lo ricondurrò”. Genesi 42:36, 37. Quella proposta, dettata dall’impulsività, non tranquillizzò Giacobbe che rispose: “...Il mio figliuolo non scenderà con voi; poiché il suo fratello è morto, e questo solo è rimasto: se gli succedesse qualche disgrazia durante il vostro viaggio, fareste scendere con cordoglio la mia canizie nel soggiorno dei morti”. Genesi 42:38.PP 186.2
Ma la siccità continuava e le scorte di grano portate dall’Egitto erano quasi esaurite. I figli di Giacobbe sapevano che sarebbe stato inutile ritornare in Egitto senza Beniamino. Era difficile che il padre cambiasse idea; decisero di non insistere e attesero. Lo spettro della fame si avvicinava sempre più: il vecchio patriarca leggeva sul volto di tutti i membri dell’accampamento le privazioni che sopportavano. Allora disse: “...Tornate a comprarci un po’ di viveri. Giuda gli rispose dicendo: Quell’uomo ce lo dichiarò positivamente: Non vedrete la mia faccia, se il vostro fratello non sarà con voi. Se tu mandi il nostro fratello con noi, noi scenderemo e ti compreremo dei viveri; ma, se non lo mandi, non scenderemo; perché quell’uomo ci ha detto: Non vedrete la mia faccia, se il vostro fratello non sarà con voi”. Genesi 43:2-5. A quelle parole il vecchio padre esitò e Giuda continuò: “...Lascia venire il fanciullo con me, e ci leveremo e anderemo; e noi vivremo e non morremo: né noi, né tu, né i nostri piccini”. Genesi 43:8. Egli si offrì come garante per suo fratello: se non fosse riuscito a restituire Beniamino a suo padre, il disonore sarebbe ricaduto su di lui, per tutta la vita.PP 186.3
Giacobbe non poté più rifiutare il suo consenso e ordinò ai figli di fare i preparativi per il viaggio. Voleva che essi portassero in dono al governatore ciò che il paese ancora offriva, nonostante la terribile carestia: “...Un po’ di balsamo, un po’ di miele, degli aromi e della mirra, de’ pistacchi e delle mandorle” (Genesi 43:11) e anche una quantità doppia di denaro. “Prendete anche il vostro fratello” disse “e levatevi, tornate da quell’uomo”. Genesi 43:13. Al momento della partenza per quel viaggio pieno d’incognite, il vecchio padre si alzò e alzando le mani al cielo, pronunciò questa preghiera: “...L’Iddio onnipotente vi faccia trovar grazia dinanzi a quell’uomo, sì ch’egli vi rilasci l’altro vostro fratello e Beniamino. E se debbo esser privato dei miei figliuoli, ch’io lo sia!” Genesi 43:14.PP 187.1
I fratelli tornarono di nuovo in Egitto e si presentarono a Giuseppe. Appena egli vide Beniamino, il figlio di sua madre, provò una profonda commozione. Nascose i suoi sentimenti e ordinò che fossero accompagnati a casa sua e venissero fatti i preparativi necessari perché potessero pranzare con lui. Quando i figli di Giacobbe furono condotti nel palazzo del governatore si allarmarono, temendo di essere stati chiamati a rendere conto del denaro trovato nei loro sacchi. Pensavano, infatti, che si trattasse di un espediente destinato a fornire il pretesto per una condanna alla schiavitù. Molto preoccupati, consultarono l’intendente della casa, raccontandogli le circostanze della loro visita in Egitto: per provare la loro innocenza avevano riportato indietro la somma ritrovata nei sacchi, insieme al denaro per comprare altro cibo. Aggiunsero: “...Noi non sappiamo chi avesse messo il nostro denaro nei nostri sacchi”. L’uomo replicò: “Datevi pace, non temete, l’Iddio vostro e l’Iddio del vostro padre ha messo un tesoro nei vostri sacchi. Io ebbi il vostro danaro...”. Genesi 43:23. Si tranquillizzarono quando anche Simeone, liberato dalla prigione, si unì a loro e capirono che Dio li aveva benedetti.PP 187.2
Quando il governatore arrivò gli offrirono i loro doni e umilmente “s’inchinarono fino a terra davanti a lui”. Genesi 43:26. Così egli si ricordò ancora dei suoi sogni e dopo aver salutato gli ospiti chiese con impazienza: “...Vostro padre, il vecchio di cui mi parlaste, sta egli bene? Vive egli ancora? E quelli risposero: Il padre nostro, tuo servo, sta bene; vive ancora”. Allora Giuseppe si fermò davanti a Beniamino e disse: “È questo il vostro fratello più giovine di cui mi parlaste?... Iddio ti sia propizio, figliuol mio!” (Genesi 43:27-29), ma vinto dall’emozione non poté dire più niente. Entrò nella sua camera e pianse.PP 188.1
Riacquistato l’autocontrollo, Giuseppe ritornò nella sala e tutti si prepararono per la festa. Secondo le leggi di casta, era proibito agli egiziani mangiare con gli stranieri. Perciò i figli di Giacobbe ebbero a disposizione un tavolo riservato. Il governatore, in considerazione del suo alto rango, mangiava in un tavolo a parte, come gli altri egiziani. Quando tutti furono seduti, i fratelli notarono con stupore che erano stati sistemati per ordine di età. “Giuseppe fe’ loro portare delle vivande che aveva dinanzi” (Genesi 43:34), ma la porzione di Beniamino era cinque volte maggiore di quella dei suoi fratelli. Manifestando questa preferenza, Giuseppe voleva accertare se il fratello più piccolo, come era accaduto per lui in precedenza, fosse oggetto di odio e invidia. Pensando che il governatore non comprendesse la loro lingua, i fratelli parlavano fra loro liberamente; egli poté così conoscere i loro veri sentimenti. Li volle mettere alla prova ancora una volta e ordinò che prima della loro partenza la sua coppa d’argento fosse nascosta nel sacco del fratello più giovane.PP 188.2
I figli di Giacobbe partirono felici per il viaggio di ritorno. Simeone e Beniamino erano con loro, gli animali erano carichi di grano e tutti pensavano di aver superato il pericolo. Erano appena arrivati alla periferia della città quando furono raggiunti dall’intendente del governatore, che rivolse loro questa domanda: “...Perché avete reso mal per bene? Non è quella la coppa nella quale il mio signore beve, e della quale si serve per indovinare? Avete fatto male a far questo!” Genesi 44:4, 5. Si riteneva che quella coppa avesse la capacità di rivelare la presenza di veleno contenuto in qualsiasi sostanza che vi fosse stata versata. A quei tempi le coppe di questo tipo erano preziose per proteggersi dagli assassini.PP 188.3
All’accusa dell’intendente, essi risposero: “...Perché il mio signore ci rivolge parole come queste? Iddio preservi i tuoi servitori dal fare una tal cosa! Ecco, noi t’abbiam riportato dal paese di Canaan il denaro che avevam trovato alla bocca de’ nostri sacchi; come dunque avremmo rubato dell’argento o dell’oro dalla casa del tuo signore? Quello de’ tuoi servitori presso il quale si troverà la coppa, sia messo a morte; e noi pure saremo schiavi del tuo signore”. Genesi 44:7-9.PP 188.4
“...Ebbene, sia fatto come dite” disse l’intendente “colui presso il quale essa sarà trovata, sarà mio schiavo; e voi sarete innocenti”. Genesi 44:10. La ricerca iniziò immediatamente. “In tutta fretta, ognuno d’essi mise giù il suo sacco a terra...” (Genesi 44:11) e l’inserviente li esaminò tutti, da quello di Ruben fino a quello del più giovane: la coppa fu trovata proprio nel sacco di Beniamino.PP 189.1
I fratelli si stracciarono le vesti, per manifestare la loro profonda sofferenza, e lentamente ritornarono in città. Il giuramento che avevano pronunciato condannava Beniamino a una vita di schiavitù. Seguirono l’intendente fino al palazzo. Il governatore era ancora là ed essi si gettarono ai suoi piedi. “...Che azione è questa che avete fatta?” egli disse. “Non lo sapete che un uomo come me ha potere d’indovinare?” Genesi 44:15. Giuseppe agiva in modo da condurli a riconoscere il loro errore. Egli non aveva mai preteso di avere capacità divinatorie, ma voleva che i fratelli credessero che poteva conoscere i segreti della loro vita.PP 189.2
Giuda rispose: “Che diremo al mio signore? Quali parole useremo? O come ci giustificheremo? Dio ha ritrovato l’iniquità de’ tuoi servitori. Ecco, siamo schiavi del mio signore: tanto noi, quanto colui in mano del quale è stata trovata la coppa”. Genesi 44:16.PP 189.3
“Mi guardi Iddio dal far questo!” fu la risposta. “L’uomo in man del quale è stata trovata la coppa, sarà mio schiavo; quanto a voi, risalite in pace dal padre vostro”. Genesi 44:17. Profondamente angosciato Giuda si avvicinò al governatore ed esclamò: “Di grazia, signor mio, permetti al tuo servitore di far udire una parola al mio signore, e non s’accenda l’ira tua contro il tuo servitore! Poiché tu sei come Faraone”. Genesi 44:18. Con toccante eloquenza Giuda descrisse il dolore di suo padre per la morte di Giuseppe e la sua riluttanza a permettere che Beniamino si recasse con loro in Egitto: infatti egli era l’unico figlio di Rachele rimastogli e Giacobbe lo amava teneramente. Quindi aggiunse: “Or dunque, quando giungerò da mio padre, tuo servitore, se il fanciullo, all’anima del quale la sua è legata, non è con noi, avverrà che, come avrà veduto che il fanciullo non c’è, egli morrà; e i tuoi servitori avranno fatto scendere con cordoglio la canizie del tuo servitore nostro padre nel soggiorno de’ morti. Ora, siccome il tuo servitore s’è reso garante del fanciullo presso mio padre, e gli ha detto: Se non te lo riconduco sarò per sempre colpevole verso mio padre deh, permetti ora che il tuo servitore rimanga schiavo del mio signore, invece del fanciullo, e che il fanciullo se ne torni coi suoi fratelli. Perché, come farei a risalire da mio padre senz’aver meco il fanciullo? Ah, ch’io non vegga il dolore che ne verrebbe a mio padre!” Genesi 44:30-34.PP 189.4
Giuseppe era soddisfatto: aveva visto i frutti del vero pentimento. Subito dopo aver ascoltato la nobile offerta di Giuda ordinò di essere lasciato solo con i suoi fratelli. Allora egli pianse ad alta voce e gridò: “Io son Giuseppe; mio padre vive egli tuttora?” Genesi 45:2. I suoi fratelli rimasero come paralizzati, stupiti e intimoriti. Il governatore d’Egitto era il loro fratello Giuseppe, lo stesso che avevano invidiato, progettando di ucciderlo e vendendolo come schiavo! La loro cattiveria li aveva travolti. Ricordarono come avevano disprezzato i suoi sogni e cosa avevano fatto per evitarne l’adempimento. Solo ora capivano che in realtà essi stessi avevano contribuito a realizzare quei presagi. Erano completamente in potere di Giuseppe ed egli avrebbe senza dubbio vendicato il torto subìto.PP 190.1
Di fronte al loro imbarazzo egli disse con gentilezza: “Deh, avvicinatevi a me!” Essi si avvicinarono ed egli continuò: “Io son Giuseppe, vostro fratello, che voi vendeste perché fosse menato in Egitto. Ma ora non vi contristate, né vi dolga d’avermi venduto perch’io fossi menato qua; poiché Iddio m’ha mandato innanzi a voi per conservarvi in vita”. Genesi 45:4, 5. Vedendo che avevano già sofferto abbastanza per la crudeltà commessa nei suoi confronti, con generosità cercò di fugare i loro timori e di alleviare l’amarezza del loro rimorso.PP 190.2
“Infatti” continuò “sono due anni che la carestia è nel paese; e ce ne saranno altri cinque, durante i quali non ci sarà né aratura né messe. Ma Dio mi ha mandato dinanzi a voi, perché sia conservato di voi un resto sulla terra, e per salvarvi la vita con una grande liberazione. Non siete dunque voi che m’avete mandato qua, ma è Dio; Egli m’ha stabilito come padre di Faraone, signore di tutta la sua casa, e governatore di tutto il paese d’Egitto. Affrettatevi a risalire da mio padre, e ditegli: Così dice il tuo figliuolo Giuseppe: Iddio mi ha stabilito signore di tutto l’Egitto; scendi da me; non tardare; tu dimorerai nel paese di Goscen, e sarai vicino a me; tu e i tuoi figliuoli, i figliuoli dei tuoi figliuoli, i tuoi greggi, i tuoi armenti, e tutto quello che possiedi. E quivi io ti sostenterò (perché ci saranno ancora cinque anni di carestia), onde tu non sia ridotto alla miseria, tu, la tua famiglia e tutto quello che possiedi. Ed ecco, voi vedete coi vostri occhi, e il mio fratello Beniamino vede con gli occhi suoi, ch’è proprio la bocca mia quella che vi parla”. Genesi 45:6-12.PP 190.3
“E gettatosi al collo di Beniamino, suo fratello, pianse; e Beniamino pianse sul collo di lui. Baciò pure tutti i suoi fratelli, piangendo. E, dopo questo, i suoi fratelli si misero a parlare con lui”. Genesi 45:14, 15. Essi confessarono umilmente i loro errori e ottennero il suo perdono. Avevano sofferto a lungo per la preoccupazione e il rimorso e ora erano felici perché era ancora vivo.PP 191.1
Il faraone venne subito a sapere ciò che era successo e, desiderando manifestare la sua gratitudine a Giuseppe, confermò l’invito già espresso dal governatore alla sua famiglia dicendo: “...Il meglio di tutto il paese d’Egitto sarà vostro”. Genesi 45:20. Ai fratelli furono donate provviste abbondanti, carri e tutto ciò che era necessario per il trasferimento in Egitto delle loro famiglie e dei servi. A Beniamino, Giuseppe accordò doni maggiori di quelli concessi agli altri. Temendo che sorgessero dei litigi, durante il viaggio di ritorno a casa, quando furono sul punto di partire Giuseppe li esortò con queste parole: “Non ci siano, per via, delle dispute fra voi”. Genesi 45:24.PP 191.2
I figli di Giacobbe tornarono dal padre con la felice notizia: “Giuseppe vive tutt’ora, ed è il governatore di tutto il paese d’Egitto”. Genesi 45:26. Il vecchio patriarca fu sopraffatto dallo stupore: non riusciva a credere alle parole che aveva sentito. Infine, quando vide la lunga fila di carri e animali carichi, e si rese conto che Beniamino era tornato, ne fu convinto e pieno di gioia esclamò: “Basta; il mio figliuolo Giuseppe vive tuttora; io andrò, e lo vedrò prima di morire”. Genesi 45:28.PP 191.3
I dieci fratelli dovevano compiere ancora un atto di umiltà: confessarono al padre il loro inganno, il crimine che per così tanti anni aveva amareggiato la sua e la loro vita. Giacobbe non aveva mai sospettato che essi avessero commesso una colpa così grave. Ora tutto si era risolto positivamente e così egli li perdonò e li benedisse. I fratelli di Giuseppe partirono subito per l’Egitto, insieme a Giacobbe, alle loro famiglie, ai greggi, alle mandrie e ai numerosi servi. Il viaggio si svolse in un clima di grande gioia. Quando il gruppo giunse a Beer-Sceba, il patriarca offrì dei sacrifici di ringraziamento all’Eterno, invocando un segno della sua protezione. In una visione notturna egli udì la voce di Dio, che gli disse: “...Io sono Iddio, l’Iddio di tuo padre; non temere di scendere in Egitto, perché là ti farò diventare una grande nazione. Io scenderò con te in Egitto, e te ne farò anche sicuramente risalire”. Genesi 46:3, 4.PP 191.4
La promessa: “Non temere di scendere in Egitto, perché là ti farò diventare una grande nazione”, aveva un profondo significato. Ad Abramo era stata promessa una discendenza numerosa come le stelle, ma fino ad allora il popolo eletto non era aumentato di numero in modo significativo.PP 191.5
Inoltre la terra di Canaan non poteva offrire a una nazione, come quella promessa da Dio, la possibilità di svilupparsi, poiché era abitata da potenti tribù pagane che l’avrebbero occupata ancora per quattro generazioni. Infine, se i discendenti d’Israele fossero diventati un popolo numeroso nella terra di Canaan, si sarebbero trovati di fronte a due sole alternative: cacciare gli abitanti dal paese oppure unirsi a loro, perdendo la propria identità. Nessuna delle soluzioni era conforme al piano divino: se si fossero uniti ai cananei, infatti, essi avrebbero corso il rischio di essere sedotti dall’idolatria. L’Egitto era quindi la terra più adatta per realizzare il progetto divino, tanto più che ai discendenti di Giacobbe fu offerta una zona fertile e ricca d’acqua, che favorì un rapido sviluppo. Inoltre, la resistenza che questa loro occupazione incontrò in Egitto — “...poiché gli Egiziani hanno in abominio tutti i pastori” (Genesi 46:34) — li aiutò a rimanere un popolo ben identificabile e separato, estraneo alle tradizioni religiose del paese.PP 192.1
Arrivato in Egitto, Giacobbe e il suo numeroso seguito si recarono direttamente nella terra di Goscen, dove giunse anche Giuseppe sul cocchio reale, scortato da un seguito principesco. In quel momento Giuseppe sembrò dimenticare lo splendore in cui era abituato a vivere e la dignità della sua posizione: un unico pensiero riempiva la sua mente e suscitava in lui una profonda commozione. Appena vide che i viaggiatori si avvicinavano, non riuscì più a controllare l’ardente affetto che aveva dovuto soffocare per tanto tempo: saltò dal suo carro e si affrettò a porgere il benvenuto a suo padre. “...Gli si gettò al collo, e pianse lungamente sul collo di lui. E Israele disse a Giuseppe: Ora, ch’io muoia pure, giacché ho veduto la tua faccia, e tu vivi ancora!” Genesi 46:29, 30.PP 192.2
Giuseppe presentò cinque dei suoi fratelli al faraone, che gli assegnò la regione di Goscen come territorio per la sua famiglia. In segno di gratitudine nei confronti del suo primo ministro, il sovrano avrebbe voluto onorare quegli uomini nominandoli ufficiali di stato. Giuseppe, sempre fedele all’Eterno, volle però risparmiare ai suoi fratelli le tentazioni a cui sarebbero stati esposti in una corte pagana e consigliò loro, durante la discussione con il re, di parlare con franchezza della loro occupazione. I figli di Giacobbe seguirono il suo consiglio, sottolineando che non erano giunti in Egitto per rimanervi per sempre e che si riservavano la possibilità di partire, se un giorno l’avessero desiderato. Il re, tenendo fede alla sua prima offerta, destinò loro la “parte migliore del paese”, la zona di Goscen.PP 192.3
Non molto tempo dopo Giuseppe presentò al re anche suo padre. Il patriarca non era abituato alle corti reali: la sua vita, trascorsa fra i magnifici scenari della natura, lo aveva portato a contatto con un Re più potente. Egli era consapevole di questa superiorità: sollevò le mani e benedisse il faraone. Al momento dell’incontro con Giuseppe, Giacobbe lo aveva salutato come se, dopo tante angosce e tristezze, egli fosse ormai pronto a morire. Invece gli furono concessi altri diciassette anni di sereno riposo a Goscen. Durante questo periodo della sua vita, così tranquillo e diverso dai precedenti, il patriarca poté vedere nei suoi figli i segni di un sincero pentimento. Vide inoltre che la sua famiglia si trovava ora in una condizione ottimale per svilupparsi e diventare una grande nazione. La sua fede si aggrappò alla promessa del futuro insediamento in Canaan. Giacobbe fu circondato da tutti i favori e dall’affetto che il primo ministro d’Egitto poteva concedere. Felice di vivere nel paese governato dal figlio, che per tanto tempo aveva considerato perso, egli affrontò sereno la morte. Quando sentì che si stava avvicinando la fine, Giacobbe chiamò Giuseppe. Era ancora fermamente sicuro della promessa divina riguardante il possesso di Canaan, e disse: “Deh, non mi seppellire in Egitto! Ma, quando giacerò coi miei padri, portami fuori d’Egitto, e seppelliscimi nel loro sepolcro!” Genesi 47:29, 30. Giuseppe promise; ma suo padre, non soddisfatto, gli chiese un giuramento solenne, secondo il quale un giorno le sue spoglie sarebbero state sepolte nella caverna di Macpela, accanto a quelle dei suoi padri.PP 192.4
Ma Giacobbe doveva affrontare un altro problema importante: i figli di Giuseppe dovevano essere considerati figli d’Israele. Giuseppe, dopo una lunga discussione con suo padre, portò con sé Efraim e Manasse. Questi giovani, per la linea materna potevano ottenere le cariche più alte del sacerdozio egiziano; inoltre, se avessero scelto di unirsi agli egiziani, la posizione del padre destinava loro un avvenire di ricchezze e onori. Ma Giuseppe desiderava che essi facessero parte del suo popolo. Nell’interesse dei suoi figli, egli rinunciò a tutti gli onori della corte d’Egitto per vivere fra le tribù di pastori che, seppure disprezzate, custodivano il messaggio divino. Giacobbe disse: “E ora, i tuoi due figliuoli che ti son nati nel paese d’Egitto prima ch’io venissi da te in Egitto, sono miei. Efraim e Manasse saranno miei, come Ruben e Simeone”. Genesi 48:5. Egli li adottò come suoi figli: essi avrebbero dato origine a due tribù distinte. In questo modo i privilegi del diritto alla primogenitura, che Ruben aveva perso, venivano concessi a Giuseppe raddoppiati.PP 193.1
La vista di Giacobbe era ormai offuscata per l’età: egli non aveva notato la presenza dei giovani ma ora, scorgendone il profilo, disse: “Questi chi sono?” Una volta ricevuta la risposta aggiunse: “...Deh, fa’, che si appressino a me, e io li benedirò”. Genesi 48:8, 9. Appena si avvicinarono il patriarca li abbracciò e li baciò, ponendo le mani sul loro capo in segno di benedizione. Poi pronunciò questa preghiera: “...L’Iddio, nel cui cospetto camminarono i miei padri Abrahamo e Isacco, l’Iddio ch’è stato il mio pastore dacché esisto fino a questo giorno, l’angelo che mi ha liberato da ogni male, benedica questi fanciulli...”. Genesi 48:15, 16. Il patriarca non contava su di sé; la sua sicurezza non si fondava più sull’astuzia o sulle capacità umane. Dio stesso lo aveva protetto e sostenuto: non si lamentava dei giorni tristi del passato, perché quelle prove e quelle sofferenze non erano più considerate come delle avversità. Ricordava solo l’amore e la misericordia divini, che lo avevano accompagnato durante tutto il suo pellegrinaggio.PP 193.2
Dopo la benedizione, Giacobbe fece a suo figlio una dichiarazione che avrebbe rappresentato per le generazioni future, nei lunghi anni di dura schiavitù, una testimonianza della sua fede: “...Ecco, io muoio; ma Dio sarà con voi, e vi ricondurrà nel paese dei vostri padri”. Genesi 48:21.PP 194.1
Poco prima della sua morte tutti i figli si riunirono intorno al padre. Egli li chiamò e disse loro: “Adunatevi e vi annunzierò ciò che vi avverrà nei giorni a venire. Adunatevi e ascoltate, o figliuoli di Giacobbe! Date ascolto a Israele, vostro padre”. Genesi 49:1, 2.PP 194.2
Aveva pensato spesso, e con preoccupazione, al loro futuro e si era sforzato di immaginare la storia delle varie tribù. Ora che i suoi figli attendevano di ricevere da lui l’ultima benedizione, lo Spirito di Dio lo ispirò, rivelandogli in una visione profetica il futuro dei suoi discendenti. Giacobbe pronunciò il nome dei suoi figli, uno dopo l’altro, descrivendo il carattere di ognuno, e predisse in breve la storia delle tribù a cui essi avrebbero dato origine.PP 194.3
“Ruben, tu sei il mio primogenito, la mia forza, la primizia del mio vigore, eminente in dignità ed eminente in forza”. Genesi 49:3.PP 194.4
Il padre aveva descritto così quella che sarebbe potuta essere la posizione di Ruben in quanto primogenito. Ma il grave peccato commesso a Migdal-Eder lo aveva reso indegno di ricevere la benedizione del diritto di primogenitura. E Giacobbe continuò: “Impetuoso come l’acqua, tu non avrai la preminenza”. Genesi 49:4.PP 194.5
Il sacerdozio fu affidato a Levi, il regno e la promessa messianica a Giuda e una parte doppia di eredità a Giuseppe. La tribù di Ruben non avrebbe avuto nessuna terra in Israele, né sarebbe stata numerosa come quelle di Giuda, Giuseppe o Dan; inoltre, sarebbe stata la prima a essere deportata. Dopo Ruben, venivano in ordine di età Simeone e Levi. Insieme avevano compiuto la strage degli abitanti di Sichem, e insieme erano stati i principali responsabili della deportazione di Giuseppe. Di loro fu dichiarato: “Io li dividerò in Giacobbe, e li disperderò in Israele”. Genesi 49:7.PP 194.6
Al momento dell’ingresso d’Israele in Canaan, Simeone era la tribù più piccola. Mosè, nella sua ultima benedizione, non la citò. Nella spartizione della terra di Canaan questa tribù ebbe solo una piccola parte del territorio di Giuda e le sue famiglie, diventate in seguito potenti, formarono diverse colonie situate all’esterno della terra santa. Neppure Levi ricevette un’eredità, se si escludono quarantotto città, sparse in varie parti del paese. La sua tribù rimase tuttavia fedele all’Eterno, quando le altre tradirono Dio, e assicurò la continuità dei servizi sacri nel santuario. In questo modo la maledizione pronunciata su Simeone e Levi si trasformò in un’esperienza positiva. La benedizione suprema, rappresentata dal diritto di primogenitura, fu trasferita a Giuda. Il significato del nome — che vuol dire lode — si manifesta chiaramente nella storia di questa tribù, che Giacobbe annunciò nella sua profezia: “Giuda, te loderanno i tuoi fratelli; la tua mano sarà sulla cervice de’ tuoi nemici; i figliuoli di tuo padre si prostreranno dinanzi a te. Giuda è un giovine leone; tu risali dalla preda, figliuol mio; egli si china, s’accovaccia come un leone, come una leonessa: chi lo farà levare? Lo scettro non sarà mosso da Giuda, né il bastone del comando di fra i suoi piedi, finché venga Colui che darà il riposo, e al quale ubbidiranno i popoli”. Genesi 49:8-10.PP 195.1
Il leone, re della foresta, è un simbolo adatto per questa tribù, dalla quale vennero Davide e il Figlio di Davide, Sciloh, il vero “leone della tribù di Giuda” davanti al quale tutte le potenze s’inchineranno e tutte le nazioni renderanno omaggio alla fine dei tempi.PP 195.2
Giacobbe predisse un futuro favorevole per la maggior parte dei suoi figli: l’ultimo fu Giuseppe. Quando il padre invocò su di lui, “sulla fronte del principe dei suoi fratelli”, la benedizione divina si commosse: “Giuseppe è un ramo d’albero fruttifero; ramo d’albero fruttifero vicino a una sorgente; i suoi rami si stendono sopra il muro. Gli arcieri l’hanno provocato, gli han lanciato dei dardi, l’hanno perseguitato; ma l’arco suo è rimasto saldo; le sue braccia e le sue mani sono state rinforzate dalle mani del Potente di Giacobbe, da colui ch’è il pastore e la roccia d’Israele, dall’Iddio di tuo padre che t’aiuterà, e dall’Altissimo che ti benedirà con benedizioni del cielo di sopra, con benedizioni dell’abisso che giace di sotto, con benedizioni delle mammelle e del seno materno. Le benedizioni di tuo padre sorpassano le benedizioni dei miei progenitori, fino a raggiungere la cima delle colline eterne. Esse saranno sul capo di Giuseppe, sulla fronte del principe dei suoi fratelli”. Genesi 49:22-26.PP 195.3
L’affetto di Giacobbe era sempre stato profondo e vivo: amava i suoi figli teneramente e la testimonianza che rese di loro in punto di morte non era suggerita da parzialità, né da risentimento. Egli li aveva perdonati tutti e li amò sino alla fine, manifestando questo suo sentimento con parole di incoraggiamento e speranza. Ispirato da Dio, tuttavia, egli dichiarò la verità, per quanto dolorosa essa fosse.PP 196.1
Dopo aver pronunciato le benedizioni, Giacobbe ripeté le indicazioni riguardanti il luogo della sua sepoltura: “...Io sto per essere riunito al mio popolo; seppellitemi coi miei padri nella spelonca... ch’è nel campo di Macpela... Quivi furon sepolti Abrahamo e Sara sua moglie; quivi furon sepolti Isacco e Rebecca sua moglie, e quivi io seppellii Lea”. Genesi 49:29-31. In questo modo, anche l’ultimo atto della sua vita fu una testimonianza della sua fede nella promessa di Dio.PP 196.2
Gli ultimi anni della vita di Giacobbe furono simili a un tramonto ricco di serenità e riposo dopo una giornata di fatiche e preoccupazioni. Le nuvole avevano oscurato il suo cammino, ma ora il suo sole tramontava in un cielo limpido e i raggi del cielo illuminarono i suoi ultimi giorni. Le Scritture affermano: “...In sulla sera vi sarà luce”. Zaccaria 14:7. “Osserva l’uomo integro e considera l’uomo retto; perché v’è una posterità per l’uomo di pace”. Salmi 37:37.PP 196.3
Giacobbe aveva commesso gravi errori e provato profonde sofferenze. Sin da quando l’inganno nei confronti del padre e del fratello lo aveva costretto a fuggire dall’accampamento paterno, egli si trovò a dover affrontare molti anni di lavoro, preoccupazioni e dolore. Fuggiasco, senza casa, separato dalla madre — che non rivide più — egli lavorò per sette anni per la donna che amava, per subire in realtà un vergognoso inganno. Dedicò vent’anni al servizio di un parente avido e astuto; vide aumentare i suoi beni e crescere i suoi figli, ma le contese e le divisioni della sua famiglia gli impedirono di rallegrarsene. Provò l’angoscia per il disonore ricaduto su sua figlia e per la vendetta dei suoi fratelli. Soffrì per la morte di Rachele, per il crimine contro natura commesso da Ruben, per il peccato di Giuda, per l’invidia e il crudele inganno commesso nei confronti di Giuseppe. Come è lunga e terribile la lista degli errori di cui sopportò le conseguenze! Più volte aveva dovuto subire gli effetti negativi della sua prima colpa: più volte vide che i figli ricadevano nei peccati di cui egli stesso era stato responsabile. Ma quella dolorosa disciplina portò infine i suoi frutti; la prova, sia pur dolorosa, aveva reso “un pacifico frutto di giustizia”. Ebrei 12:11.PP 196.4
La Parola ispirata ricorda in modo imparziale gli errori degli uomini giusti, che hanno goduto del favore di Dio. Per questo motivo, le loro colpe risultano spesso più evidenti delle loro virtù. Ciò ha stupito molti e ha fornito a chi non è credente un motivo per ridicolizzare la Bibbia. Tuttavia, il fatto che le vicende bibliche non siano state modificate in modo da renderle più positive, e che i lati negativi dei personaggi più importanti non siano stati eliminati, è una delle prove maggiori in favore dell’attendibilità delle Scritture. L’uomo è così condizionato dai pregiudizi che è impossibile pensare che il racconto delle vicende umane sia del tutto obiettivo. Ma se la Bibbia fosse stata scritta da autori profani, senza dubbio avrebbe messo in maggiore evidenza gli aspetti positivi dei suoi protagonisti. Noi disponiamo invece di un racconto fedele e imparziale della loro esperienza.PP 196.5
Anche gli uomini a cui Dio ha affidato grandi responsabilità sono stati travolti dalla tentazione e hanno sbagliato. A volte non si sono comportati diversamente da noi che lottiamo, dubitiamo e spesso sbagliamo. Le loro vite ci sono state rivelate con tutte le loro colpe e le loro debolezze perché rappresentino per noi un incoraggiamento e un consiglio. Se i personaggi della Bibbia ci fossero stati presentati come esseri perfetti, noi, di fronte alla fragilità della nostra natura, ai nostri errori e ai nostri fallimenti, ci saremmo abbandonati alla disperazione. Le Scritture ci mostrano che anche altri, nel passato, hanno lottato contro lo scoraggiamento e come noi sono stati sopraffatti dalla tentazione. La consapevolezza che, nonostante tutto questo, siano stati sostenuti dalla grazia divina e abbiano trionfato, costituisce per noi un incoraggiamento a continuare la nostra lotta per la giustizia. Nonostante gli errori, essi ricostruirono la loro fede e furono benedetti da Dio: allo stesso modo, anche noi possiamo superare le difficoltà, grazie alla forza di Gesù. D’altra parte, il racconto delle loro esperienze può rappresentare per noi un avvertimento, perché ci insegna che per nessun motivo Dio considererà innocente chi è colpevole. Il Signore conosce le mancanze degli uomini che ha favorito maggiormente: Egli le considera con più severità di quelle di chi ha avuto privilegi e responsabilità minori.PP 197.1
Dopo la sepoltura di Giacobbe i fratelli di Giuseppe dimenticarono la sua generosità nei loro confronti. Consapevoli delle loro colpe, divennero diffidenti e sospettosi. Forse — pensavano — egli aveva solo ritardato la sua vendetta per rispetto del padre e ora li avrebbe colpiti con una punizione a lungo meditata. Non osando rivolgersi direttamente a lui, gli inviarono questo messaggio: “...Tuo padre, prima di morire, dette quest’ordine: Dite così a Giuseppe: Deh, perdona ora ai tuoi fratelli il loro misfatto e il loro peccato, perché t’hanno fatto del male. Deh, perdona dunque il misfatto de’ servi dell’Iddio di tuo padre”. Genesi 50:16, 17. Il messaggio commosse Giuseppe fino alle lacrime. I suoi fratelli, incoraggiati, vennero da lui e gli si gettarono ai piedi dicendo: “Ecco, siamo tuoi servi”. Giuseppe li amava in modo profondo e disinteressato: il fatto che essi lo avessero creduto animato da un desiderio di vendetta, lo rattristò. “Non temete” disse “poiché son io forse al posto di Dio? Voi avete pensato del male contro a me; ma Dio ha pensato di convertirlo in bene, per compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso. Ora dunque non temete; io sostenterò voi e i vostri figliuoli...”. Genesi 50:19-21.PP 197.2
La vita di Giuseppe simboleggia quella del Cristo. L’invidia aveva spinto i suoi fratelli a venderlo come schiavo: in questo modo essi pensavano di impedire che diventasse più potente di loro. Quando Giuseppe fu deportato in Egitto, sperarono di non essere più tormentati dai suoi sogni e di aver fatto il possibile perché non si realizzassero. Tuttavia, Dio fece in modo che essi stessi attuassero ciò che avevano cercato di impedire. Anche i sacerdoti e gli ebrei più autorevoli nutrivano invidia per il Cristo, perché temevano che egli accentrasse su di sé l’attenzione del popolo. Così, per impedirgli di diventare re, lo condannarono a morte, realizzando proprio quel piano che avevano voluto ostacolare.PP 198.1
La schiavitù in Egitto permise a Giuseppe di diventare il salvatore della famiglia di suo padre. Questo fatto non rende meno grave la colpa dei suoi fratelli. La crocifissione del Cristo, eseguita dai suoi nemici, permise che diventasse il Redentore, il Salvatore dell’umanità perduta, il Sovrano di tutto il mondo. L’intervento divino controllò gli eventi per la gloria di Dio e per il bene dell’umanità: tuttavia quel crimine rimane, in tutta la sua atrocità, come se quell’intervento non fosse mai avvenuto.PP 198.2
Come Giuseppe fu venduto ai mercanti dai suoi fratelli, così anche il Cristo fu abbandonato ai suoi peggiori nemici da uno dei discepoli. Per la sua onestà, Giuseppe fu accusato ingiustamente e gettato in prigione; il Cristo fu disprezzato e rifiutato proprio perché la sua giustizia e la sua vita di rinuncia costituivano un costante rimprovero per i peccatori. Benché egli fosse totalmente innocente, fu condannato in base a false testimonianze. La bontà e la pazienza di Giuseppe, di fronte all’ingiustizia e alla violenza, la sua propensione al perdono e la sua nobile generosità nei confronti dei fratelli rappresentano la pazienza che il Salvatore stesso manifestò nella sua vita. Gesù non si lamentò per la cattiveria e gli abusi dei malvagi. Come allora perdonò i suoi assassini, ancora oggi è disposto a perdonare tutti coloro che si rivolgono a lui per confessare i loro peccati ed esserne liberati.PP 198.3
Dopo la morte di suo padre, Giuseppe visse ancora per quarantaquattro anni; poté vedere “...i figliuoli di Efraim, fino alla terza generazione; anche i figliuoli di Makir, figliuolo di Manasse, nacquero sulle sue ginocchia”. Genesi 50:23. Egli vide il suo popolo crescere e prosperare e conservò sempre la certezza che Dio avrebbe ricondotto Israele nella terra promessa.PP 199.1
Quando vide che la morte si avvicinava, Giuseppe convocò tutta la sua famiglia. Benché avesse ricevuto grandi onori nel paese dei faraoni, l’Egitto rimaneva sempre per lui la terra dell’esilio. Con il suo ultimo atto, egli volle far capire che il suo futuro era proiettato in Israele. Le sue ultime parole furono: “...Dio per certo vi visiterà; e vi farà salire, da questo paese, nel paese che promise con giuramento ad Abrahamo, a Isacco e a Giacobbe”. Genesi 50:24. Infine fece giurare solennemente ai figli d’Israele che essi avrebbero portato le sue ossa con loro, al ritorno nella terra di Canaan. “Poi Giuseppe morì, in età di centodieci anni; e fu imbalsamato, e posto in una bara d’Egitto”. Genesi 50:26.PP 199.2
Durante i secoli di schiavitù che seguirono, quella sepoltura ricordò agli israeliti le parole pronunciate da Giuseppe in punto di morte. Esse furono una testimonianza e ricordarono loro che il soggiorno d’Israele in Egitto sarebbe stato transitorio. Tutto ciò aiutò a proiettare le loro speranze nella terra promessa, nella certezza che sarebbe giunto il momento della loro liberazione.PP 199.3